Giugno 2002

olocausto cristiano

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Chiedere una tregua a Dio?
s.b.
 
 

 

 

 

“Quanti cristiani
sono morti per
la loro fede nel
Novecento?
Non solo cattolici, ma cristiani di tutte le confessioni.
Forse tre milioni?”

  La situazione dei cristiani nel mondo musulmano è difficile di fronte all’insorgere dell’orgoglio islamico. Lo sanno da tempo i copti d’Egitto; i cristiani nel Sudan lacerato da una divisione fra Nord arabo-musulmano e Sud afro-cristiano e animista; quelli in Nigeria, in Algeria e altrove in Africa; quelli sterminati in Pakistan, nella vecchia Indocina e altrove in Asia; quelli – addirittura – abbattuti a colpi di mitra in Perù e in Colombia, perché contrari alle guerriglie e ai traffici di droga. Forse i cristiani meno in difficoltà vivono sotto il regime di Saddam Hussein, in Iraq, e sotto il governo baathista, in Siria. E’ una realtà del mondo contemporaneo troppo a lungo oscurata, che balza oggi all’attenzione generale.
Non sempre la vita è stata tanto dura per i cristiani nel mondo musulmano, come nei lunghi secoli dell’Impero Ottomano, quando avevano un loro statuto in posizione seconda rispetto ai sudditi islamici. I cristiani hanno vissuto in Oriente per lunghi periodi meglio di come vivevano gli ebrei in Europa. Le potenze “cristiane” si sono presentate per secoli come protettrici dei cristiani d’Oriente, spesso utilizzando i loro problemi ai fini dell’affermazione dei propri interessi. E’ la storia ambigua di quello che vuol dire uno “Stato cristiano”. La Francia laica d’inizio Novecento organizzò una manifestazione militare contro la Sublime Porta, perché questa ritardava a riconoscere un patriarca cattolico caldeo. Dopo la grande guerra, l’abbandono in cui sono stati lasciati gli armeni sia dalla Francia sia dagli Stati Uniti ha segnato la fine di questa protezione ambigua. E forse è stato meglio.
Tuttavia, i cristiani d’Oriente hanno sperato nei mandati occidentali; poi hanno confidato nel nazionalismo arabo o post-coloniale; infine si sono misurati con la rinascita dell’orgoglio musulmano e dell’integralismo. In Egitto, il papa Shenouda II, patriarca dei copti, ha ristrutturato la sua Chiesa per resistere alla pressione musulmana. Si rimane sempre sorpresi dalla limitata solidarietà dei cristiani d’Occidente. Ricordiamo negli anni Ottanta la vicenda di un gruppo di caldei costretti all’emigrazione dall’Iraq e ammassati a Istanbul in una condizione inumana. Solo un ministro dell’Interno italiano riuscì ad aprire una strada per loro. I cristiani d’Occidente hanno scelto un’attenzione ben diversa dalla solidarietà ebraica verso i correligionari in ogni parte del mondo.

«Tutte le guerre sono guerre di religione»: è stato il contestatissimo teologo cattolico Hans Küng a ventilare, una ventina di anni fa, questa diagnosi dei conflitti che insanguinano il mondo. I continui massacri di cristiani sono soltanto gli odiosi ultimi esempi di politiche e di fedi che vogliono asservire altre fedi. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e storico di professione, ha pubblicato un’attenta ricerca (Il secolo dei martiri) su quello che può legittimamente chiamarsi “l’olocausto cristiano”, non in contrapposizione, ma a fianco di quello del popolo ebreo. Chiede Riccardi: «Quanti cristiani sono morti per la loro fede nel Novecento? Non solo cattolici, ma cristiani di tutte le confessioni. Forse tre milioni?». Anche di più, se consideriamo che solo nella vecchia Unione Sovietica ne sono stati sterminati alcuni milioni, non meno di due.
L’affermazione di Küng sollevò scandalo perché non faceva sconti a nessuno, ma, correttamente, alcune distinzioni si debbono fare. Una in particolare: il massacro di persone innocenti, a motivo della loro fede, è ben altro dal combattere ed eventualmente morire in nome di un malinteso mandato divino, quando le vere ragioni possono essere più terrene e ignobili. Non si possono assimilare i carnefici alle vittime, i persecutori ai perseguitati, i terroristi agli inermi cittadini, chi attacca con chi legittimamente si difende.
Confusioni di questo tipo continuano a generare mostri. Le difficoltà maggiori si riscontrano nel mondo musulmano, nonostante gli sforzi di laicizzazione dei Paesi più avanzati e moderati dell’Islam: il Marocco, per citarne uno, non ha nulla a che vedere con l’Afghanistan dei talebani. E’ un’evoluzione che va aiutata, senza pretendere di azzerare i tempi di maturazione. Nel “tempo intermedio”, carico di angoscia e di fosche prospettive qual è quello in cui viviamo, la via d’uscita non può essere solo la guerra unilaterale, certa nelle devastazioni che produce, ambigua nei risultati.
L’Islam chieda una tregua al suo Dio, e rifletta sulla propria storia e sui comportamenti delle sue grandi masse integraliste. La “fede che sposta le montagne” è in grado di dare il massimo quando gli ostacoli sembrano insormontabili. Un sogno? Che sia. Altrimenti potrà essere olocausto ancora, ma questa volta planetario, barbaramente consumato in nome di una fede che ci è estranea.

   
   
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