Giugno 2002

IL CORSIVO

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Ritorno al martirio
Aldo Bello
 
 

Secondo l’associazione ACS – Aiuto alla Chiesa che Soffre – i cristiani sono oggetto di discriminazione in Bosnia Erzegovina, Cuba, Uruguay, Algeria, Congo, Libia, nella più gran parte del Vicino Oriente, in India, Myanmar-Birmania, Cambogia, Hong Kong, Malaysia, Laos, Mindanao e Nepal; di discriminazione e persecuzione in Egitto, Iraq, Iran, Turchia, Yemen, Nigeria, Nord Benin, Indonesia e Pakistan; di persecuzione in Ruanda, Sudan, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Timor Est, Maldive e Vietnam.

  Centosessantamila morti nel 2000. Centosessantacinquemila nel 2001. Sono i dati accertati di un allarme mondiale: la persecuzione nei confronti dei cristiani sta crescendo praticamente in ogni angolo del pianeta, anche in aree nelle quali fino a qualche anno fa l’equilibrio religioso ed etnico (come, ad esempio, in Indonesia) sembrava un fatto acquisito. L’allarme riecheggia da più parti: dalle Nazioni Unite, dalle Organizzazioni dei diritti umani, dalla Commissione Giustizia e Pace, dalla Federazione protestante di Francia, dai Cristiani contro la tortura, dall’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre. Denunce, richieste di attenzione, interventi di difesa, riassunti in Rapporti sulla libertà religiosa nel mondo, l’ultimo dei quali è stato amplificato dalla sezione olandese di ACS, che ha reso note le cifre relative ai cristiani (non soltanto cattolici, ma cristiani di tutte le confessioni) e ha stilato una mappa di tutti i livelli di pressione, individuandoli in tre gradini di intolleranza: discriminazione, discriminazione con persecuzione, persecuzione tout court.
Il rapporto cita le proiezioni di un docente di Statistica di Richmond, David B. Barret, secondo il quale i martiri cristiani per la fede nel 2000 sono aumentati del dieci per cento rispetto all’anno precedente, con particolare accentuazione in India, Indonesia, Timor Est ed Egitto. In sintesi, sostengono i ricercatori olandesi, duecento milioni di cristiani soffrono a causa della loro religione.
Ovviamente, non sono i soli. Gli spazi di libertà religiosa si sono ristretti in misura sensibile in molti Paesi, e persino in Francia un progetto di legge, teoricamente contro le sette, è fermo in Parlamento dopo le proteste della Chiesa cattolica, della Comunità israelitica e dell’Unione evangelica. «Vengono introdotti criteri sanzionatori nei confronti delle idee da parte del ministero dell’Interno – chiarisce il direttore generale di ACS, Attilio Tamburrini. Si è detto e scritto tanto sull’Inquisizione, e ora la facciamo in chiave laicista?».

Rapida ricognizione delle situazioni nelle diverse aree di peggioramento. Irrigidimento non previsto a Cuba. L’Africa è un dramma, una specie di mondo al suicidio per scontri tribali finanziati da chi ha giganteschi interessi: «Qui l’attività del missionario, ma anche del missionario laico di Médecins sans frontières, è ogni giorno a rischio». In Sudan la situazione si complica perché alcuni gruppi armati hanno perso connotazione politica e si sono trasformati in bande che non rispondono più a nessuno, e la loro guerriglia si somma a quella scatenata dal nord del Paese per l’islamizzazione forzata. Le Molucche e l’Indonesia sono due ferite incancrenite dall’odio tribale. Di fatto, qui, siamo al massacro. L’Islam è un problema anche dal punto di vista della denuncia: «C’è il grave handicap che i Paesi considerati a torto o a ragione più filo-occidentali, come l’Arabia Saudita, sono i più duri dal punto di vista religioso». In tutti i Paesi islamici le conversioni o sono proibite esplicitamente, o rese di fatto impossibili dalla pressione sociale. Gravissima, poi, la situazione in Cina, in Vietnam, nella Corea del Nord, e ovunque siano al potere regimi marxisti, ideologicamente negatori di ogni espressione religiosa.

E’ stato scritto che ci eravamo abituati a pensare al martirio (alla morte subita in nome della testimonianza resa alla fede cristiana professata) come ad una realtà lontana, e persino remota, confinata in secoli dimenticati o in regioni marginali, oppure a un evento individuale, conseguenza dell’audacia di qualche missionario o del coraggio di qualche profeta scomodo. Da parecchi anni a questa parte, invece, la velocità della comunicazione ci ha reso consapevoli di una dimensione vasta e consistente del fenomeno: è il ritorno alla possibilità quotidiana, e non eccezionale, del martirio, per cui vescovi, presbiteri, missionari, religiose, semplici fedeli delle confessioni cristiane e d’ogni latitudine del pianeta testimoniano fino al sangue che vale la pena di vivere e morire per Cristo, che essere battezzati è un fatto impegnativo, capace di determinare il senso della vita e la stessa morte fisica. Anche oggi, come una volta, stilare questi innumerevoli “sommersi” della storia significa ristabilire la dignità e riaffermare quelle verità di fede che i persecutori vorrebbero annientare con loro, trasformandosi in carnefici.

Calzante la cronaca quattrocentesca di Konstantin Michailovic, serbo di Ostroviça, rapito dai turchi poco più che ventenne per esser fatto musulmano a forza e arruolato nel celebre corpo dei giannizzeri. Dalle sue esperienze di insider della macchina bellica islamica, il riluttante convertito ricavò i dati per un prezioso manuale sui presupposti e le modalità del jihad, o guerra santa, tra musulmani e occidentali. Questo, il vero contenuto della sua Cronaca turca, ovvero Memorie di un giannizzero, nelle quali si afferma: «Chiamano lo Spirito Santo Roch Ullach, l’anima la chiamano d’jan, gli angeli feriisteler, il paradiso dienet, l’inferno ifsy chalvetii, il diavolo fegiiatar. Considerano noi cristiani un popolo di smarriti, perché crediamo e confessiamo la Santa Trinità. Per questo hanno chiamato i cristiani Kaury, cioè smarriti o rinnegati».
Dunque, l’espansionismo degli islamici «è simile al mare, che mai cresce o diminuisce, e così i pagani non hanno mai pace, sono sempre in movimento». Come le acque dolci e buone quando si immettono nel mare e si mescolano con la sua acqua diventano aspre e salate, così «i prigionieri cristiani vengono convertiti deportandoli in mezzo ai pagani, in modo che si guastino come le acque dei fiumi nel mare».
Rileggendo in proiezione contemporanea queste pagine, si è portati a dedurre che l’America non abbia compreso il carattere epocale e culturale del “nuovo terrorismo”. Come ha notato Francesco Cossiga, nascondersi dietro la “tolleranza”, il rifiuto del concetto stesso di “guerriglia di religione”, il sostenere (come si è fatto in Italia e in Germania nei confronti delle Brigate Rosse e della Rote Armée Fraktion) la pura laicità criminale comune del terrorismo di bin Laden, può certo far parte della prudenza diplomatica, ma a lungo non della saggezza politica o della strategia antiterrorismo. Oggi dobbiamo prendere atto che il “nuovo terrorismo” è un terrorismo religioso che si appella alla superiorità di una certa concezione dell’Islam, che esclude non soltanto la “verità”, anche parziale, degli altri, soprattutto dei cristiani e degli ebrei, e poi anche degli occidentali in generale, ma anche e persino il loro diritto a essere “diversi”, e dunque ad “essere come sono”.
Detto questo, un occidentale, cristiano e liberale, non invoca la “guerra di religione” contro l’Islam, ma la piena e decisa difesa dalle guerre di religione altrui. Un occidentale, cristiano e liberale, a Poitiers non poteva che stare fra le schiere di Carlo Martello, a Lepanto con il Tercio di Cerdeña sulle navi di don Giovanni d’Austria, a Vienna con il Re Polacco e il Principe di Savoia-Carignano. E, oggi, non può che stare risolutamente con gli americani, gli inglesi, i francesi e gli italiani in Afghanistan.

Tautologico: ciascuno ha il diritto di esprimere il proprio pensiero. Altrettanto tautologico: chiunque ha il diritto di dissentire. Allora: subito dopo l’11 settembre alcuni sostennero che l’Occidente aveva “fabbricato il mostro” con le proprie mani: e questo procurò qualche sollievo e non poche rimozioni, così che l’attentato alle Twin Towers veniva recepito come una sorta di incidente domestico. Altri ebbero minor pudore, e conclusero elettivamente che le (mai realisticamente quantificate) diverse migliaia di morti di Manhattan quasi quasi ce l’eravamo meritate. L’interpretazione più esasperata (e più cinica) va accreditata al filosofo Jean Baudrillard: ciò che avevamo visto era una chimera, la strage non era stata strage, e non a un’ecatombe avevamo assistito, ma solo e semplicemente al suicidio delle due Torri Gemelle e dell’America. Svaniti gli aerei attentatori. Cancellati, relegati nel più cupo anonimato i morti. L’apatia e lo smemoramento come filosofia dell’esistenza apparvero a molti come la soluzione risolutiva. “Come se nulla fosse stato” divenne una riconfortante ideologia sospesa tra il nihilismo e la fuga dalla realtà.
Altra strada, e ben più ripida, quella imboccata da André Glucksman: gli occhi restano fermi sulla verità dell’accaduto – Manhattan violata, le Towers vulnerate, le grida disperate dei morituri, quelle dei superstiti – e l’umana requisitoria contro le elucubrazioni consolatorie degli strateghi del nihilismo. Linea rossa del ragionamento: non aiuta a resistere l’imperturbabilità stoica dei materialisti europei (col cuore a sinistra, col portafogli a destra), ma la finestra spalancata dalla quale emerge il grido delle persone colpite a morte, o consapevoli dell’irreparabilità di una morte imminente. Non le Torri implose resteranno impresse nella nostra memoria, ma la sagoma scomposta dell’uomo che si era gettato nel gran vuoto, Icaro senza neanche le ali posticce, insieme col gran panno bianco sventolato da una donna che così urlava il suo incubo dal quale non si sarebbe voluta svegliare mai, come Stephen immaginava nell’Ulisse di Joyce.

Sicché, a perpetua vergogna di certi intellettuali italioti, non la stoica ed evocatrice del Nulla imperturbabilità aiuterà a capire e a resistere, ma la dolente emozione di chi spalanca il cuore e ascolta l’eco della disperazione delle singole persone condannate e colpite a morte. Non sarà il nihilista di Dostoewskij, inaccessibile ormai all’uomo del Terzo Millennio, a renderci confidenti alla distruttività allo stato puro, alle rovine dietro e dentro di noi. Non sarà il Male, che pure la letteratura, insieme o anche prima della Storia, ha scavato a fondo, dai tragici greci a Flaubert, Pascal, Conrad, e soprattutto dai russi, il citato Dostoewskij, e Turgenev, Cechov, Lermontov, Chadajev, Puskin, fino ai gulag descritti da Salomov e Solzenicyn: un po’ tutti figli ideali (generati, o comunque preannunciati) di un’Emma Bovary che legge Walter Scott o George Sand scambiandoli banalmente con la vita, così come càpita agli essenzialisti musulmani che leggono il Corano ritenendo di scorgervi e dunque di possedere in esclusiva la legge unica, meccanica e spirituale, regolatrice dell’universo.
Gli scrittori possono conoscere – e descrivere – queste tentazioni. I politici possono conoscerle, ma non consentire che si trasformino in divenire effettuale e contingente. Devono capire il mondo e opporsi alla condizione di una contemporaneità chiusa in un involucro sepolcrale che preservi da paure, da occhi del ciclone, da delusioni. Un’Europa figlia (piaccia oppure no) dell’annuncio cristiano non può serrarsi nella ridotta buzzatiana, in attesa di Tartari che colpiscono già da tempo lungo e oltre tutti i confini. L’Europa che ritiene di potersi adagiare sugli allori (altrui) dopo la caduta del Muro di Berlino in realtà è un colloidale Giardino dei ciliegi cechoviano, nel quale i protagonisti del dramma ritengono di potersi mettere al riparo rintanandosi in un finto fondale floreale. Di fatto, il loro, il nostro mondo muta e l'aggressività dilaga. Le Towers sono crollate intorno a noi, così come le seghe abbattevano i ciuffi di ciliegi di Cechov, simbolo di un mondo che si voleva ritenere non vulnerabile, e che si scopriva mortale, proprio come l’umanità che apriva gli occhi sulla realtà nei minuti fatali in cui angeli saturnini generati da una religione monoteista impiccata fra spiritualismo ed edonismo, fra tradizione (inossidabile) e modernità (indotta a fatica proprio dal nemico Occidente), fra micidiali povertà e giganteschi privilegi di censo, lanciavano un’impossibile sfida all’universo occidentale.

Moriranno ancora cristiani, missionari o semplici fedeli, occidentali. Continueremo a registrare le cifre drammatiche dei massacri consumati ovunque la Cristianità abbia piantato radici: tenendo conto che nell’Oriente Vicino ed Estremo e nel Continente Nero ci sono milioni di essenzialisti pronti a morire in nome del loro Dio (che è diverso dal mio), mentre in Occidente si è pronti a sopravvivere prevaricando con semantiche stortignaccole su civiltà, cultura, ideali e altre minuterie, a patto che sia fatto salvo il grafico della crescita economica e produttiva. Allora, che saranno mai duecento milioni di cristiani discriminati e/o perseguitati, in grandissima parte da islamici legati a concezioni giurassiche del diritto, a scansioni tribali invalicabili, alla “sottomissione religiosa” sostenuta dalle armi invece che con la predicazione? Hanno qualcosa da dire le porpore che si ispirano alla limitata forza culturale e alla umanamente ed ecclesiasticamente rispettabile, ma incerta, confusa sapienza di maestro di un Giovanni XXIII, semmai rinnovatore, ma non certo riformatore della Chiesa cattolica?
E’ vero: l’Islam non ha soltanto bin Laden, ha avuto anche Averroè e gli altri filosofi (genericamente) arabi, i grandi aristotelici senza i quali probabilmente non sarebbero cresciuti né Tommaso D’Aquino né Anselmo di Canterbury né Bonaventura né Duns Scoto né altri spiriti magni del Medioevo. Ma è altrettanto vero che sul piano delle grandi correnti ideologiche, politiche ed ecclesiali, l’Europa ha avuto Lord Acton e, anche, John Henry Newman, britannici; Lacordaire, Montalembert, Lamennais e Ozanam, francesi; Cesare Balbo, Manzoni, Tommaseo, Rosmini, Gino Capponi, il poco fortunato Romolo Murri e il più fortunato Luigi Sturzo, in Italia. Cioè: ci sono anche radici europee che affondano meno nella tradizione della Rivoluzione francese e ancor meno in quella idealistica tedesca, e molto di più nelle teorie sullo Stato e sulla società di Locke, negli ideali della Rivoluzione britannica e soprattutto in quelli cristiani e democratici della Rivoluzione americana. In un terreno, insomma, nel quale è totale la libertà religiosa, e netta è la separazione tra Stato e Chiesa. Con la Chiesa, comunque, disarmata. E con lo Stato che è tenuto a difendere la propria civiltà e cultura.
Il che, com’è noto, nell’Islam non è stato, e non è. Mullah chiusi alla conoscenza del mondo, interpretando la shari’ah, incrociano sure e scimitarre, versetti e armi automatiche, fra moschee e santuari del terrore. E’ il volto sanguinario di una religione stravolta dai Dottori della Legge, il versante feroce di un monoteismo ambiguamente manipolato, sofisticamente proposto dai suoi intellettuali ortodossi, ostinatamente imposto, nella visione apocalittica di un finale scenario da Armageddon. Perché ad Allah, e solo ad Allah, appartengono il cielo e la terra. O no?

   
   
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