Tre momenti da tenere bene
a mente: perché solo dopo che tutti i Sud del Sud
saranno stati
recuperati,
il Mezzogiorno
e lItalia potranno dirsi veramente ancorati
allEuropa.
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Negli
ultimi anni, leconomia meridionale ha più volte segnalato
di avere invertito il trend negativo in atto dal 1992, portandosi
a un livello di crescita che lascia sperar bene per il futuro. Naturalmente,
questi segnali non sono privi di contraddizioni e di limiti, e tuttavia
è necessario registrarli e renderli noti allopinione
pubblica, che spesso ha del Mezzogiorno limmagine di uneconomia
e di una società statiche, che ormai non corrispondono più
alla realtà.
Più iniziative imprenditoriali. Per il quinto anno consecutivo,
il Sud ha messo in carniere il primato della crescita di nuove imprese,
con oltre 45 mila nuove unità, cifra parecchio più
alta rispetto alle 29 mila del Nord-Ovest, alle 25 mila del Centro
e alle 20 mila del Nord-Est.
E probabile che una parte di queste imprese siano soltanto
formalmente nuove, trattandosi di regolarizzazioni di
imprese già sommerse. Ma anche così non viene meno
il motivo di essere ottimisti. Infatti, il mondo politico e industriale
ha posto come condizione di strategia dellattenzione per lintero
Paese lemersione delle imprese in ombra, fenomeno
che in Italia rappresenta il doppio della media europea e nel Sud
si aggrava ulteriormente.
Rimangono, comunque, un carico fiscale eccessivo e unestrema
rigidità del mercato del lavoro, che inducono molto spesso
le imprese meridionali a restare nel sommerso, con implicazioni
economiche e sociali di estrema gravità.
I successi dellexport. Le esportazioni provenienti dalle
regioni meridionali sono cresciute negli ultimi cinque anni del
67 per cento, contro una media nazionale del 35 per cento. Si tratta
di un dato estremamente interessante, e sicuramente sottostimato,
perché non comprende i semilavorati che entrano nei prodotti
esportati dalle regioni centro-settentrionali.
Più lavoro. Loccupazione, inchiodata alla cifra di
5,7 milioni di unità fino al 1997, ha ricominciato a crescere,
superando i sei milioni, facendo sì che per la prima volta,
dopo molti anni, il tasso di disoccupazione scendesse, anche se
di poco, al di sotto del 20 per cento.
E tuttavia, mentre il Centro-Nord ha raggiunto il livello di occupazione
del 60 per cento, pari alla media europea, nel Sud lavorano solo
42 persone su cento in età lavorativa. E un divario
assolutamente inaccettabile per un Paese come il nostro, che vuol
giocare un ruolo di primo piano nella competizione internazionale.
Una ragione di più, questa, per smetterla di considerare
il Sud la palla al piede dellItalia e ritenerlo invece la
sua più grande opportunità di sviluppo.
Nel Mezzogiorno vivono oltre sei milioni di giovani (con età
fra 15 e 34 anni). Di questi, soltanto tre su dieci lavorano. Giovani
con unistruzione media di buon livello, con una voglia crescente
di rimboccarsi le maniche e costruire il proprio futuro in modo
propositivo. Inoltre, nel Mezzogiorno non mancano gli spazi che
nel Nord sono sempre più ristretti. Anche lo sviluppo delle
nuove tecnologie è da considerarsi una grande opportunità
del Sud, perché annulla o almeno riduce fortemente la perifericità
delle imprese localizzate nelle regioni meridionali.
Eppure, questi elementi non sembrano sufficienti a fare del Sud
una destinazione attraente per chi voglia investire. Sappiamo che
lItalia è agli ultimi posti nella classifica europea
di attrazione di investimenti (un mercato di ben 620 miliardi di
euro: a tanto ammontano gli investimenti esteri entrati nellUnione
europea nel 2000, di cui in Italia sono arrivati soltanto 11 miliardi,
cioè il 2 per cento), ma soprattutto è sconfortante
scoprire che solo il 7 per cento dei posti di lavoro prodotti in
Italia dagli investimenti stranieri sono localizzati nel Mezzogiorno.
Occorre sostenere con forza la necessità, da qui al 2006,
di accelerare al massimo leconomia meridionale, di innestare
un fattore di crescita almeno doppio rispetto allattuale,
che consenta di realizzare un deciso riequilibrio con la parte più
sviluppata del Paese. Questo è possibile, ce lo dicono numerosi
esempi di Paesi che con politiche economiche mirate in pochi anni
sono riusciti a ottenere trend di sviluppo tali da annullare divari
storici di reddito e di occupazione.
Fra laltro, se non ci riusciamo oggi, sarà molto più
difficile farlo in futuro, perché il sostegno dei fondi comunitari,
per qualche anno ancora, focalizzerà sulle regioni del Mezzogiorno
ingenti risorse, mentre negli anni successivi al 2006 è destinato
inevitabilmente a ridursi con lallargamento dellUnione
ai Paesi dellEst. Così pure in questo periodo occorre
impegnarsi a fondo per realizzare lArea di libero scambio
euro-mediterranea, progetto che può ridare al Sud centralità
strategica e farne il perno di una strategia di stabilità
e di pace per il mondo intero.
Ma come è possibile raggiungere questo obiettivo? Non cè
che una sola strada, obbligata: far crescere le imprese esistenti
e attrarre nuovi investimenti nel Mezzogiorno. Per far questo è
indispensabile superare gli handicap strutturali che riducono la
competitività delle nostre regioni. Quali sono?
1) La sicurezza, intesa come rafforzamento del controllo sul territorio
e lotta ai cartelli del crimine organizzato e agli altri fenomeni
di illegalità diffusa e di lavoro nero.
2) Sviluppo delle infrastrutture, il che significa adeguamento
dei sistemi idrici, elettrici, di trasporto, eccetera, agli standard
europei, (oggi il livello medio è inferiore al 50 per cento).
3) La politica fiscale, attraverso una riduzione delle imposte
sulle imprese e un sistema di incentivi automatici che spinga fortemente
verso il Sud nuovi investimenti dal Centro-Nord e dallestero.
4) La rigidità del lavoro, ancora più pesante a Sud
a causa della mancanza di opportunità, per cui la scelta
di un giovane meridionale ancora oggi troppo spesso è tra
rimanere disoccupato, entrare nellillegalità o nel
lavoro nero e senza alcuna tutela, emigrare.
Per avviare a soluzione questi problemi, siamo convinti che sia
necessario costruire da subito una strategia condivisa fra imprese,
amministrazioni, mondo del lavoro, che con diversi ruoli sappiano
farsi protagonisti di una straordinaria stagione di rilancio del
Sud, se davvero desideriamo che il Mezzogiorno, con uno sforzo comune
anche di tutta la sua classe dirigente, riesca a superare i suoi
secolari problemi, dare un contributo di vitalità e di energie
alla competitività internazionale dellItalia, diventi
la reale nuova frontiera di crescita e di equità sociale
per il Paese.
Guido De Marchi
Ci chiediamo, per lennesima volta:
quanti Sud ci sono? Il Sud non è un pianeta indistinto, omogeneo.
La sua geografia economica, produttiva, sociale, non può
cogliersi con un unico colpo docchio, caleidoscopica comè,
con aree sviluppate contigue ad aree arretrate, con nuclei industriali
che fronteggiano nuclei agricoli, con zone artigianali che sono
speculari a zone a disoccupazione permanente, con centri ad alta
densità demografica circondati da centri quasi del tutto
deserti per via dellemigrazione senza ritorni.
Ci sono dei Sud, e ci sono dei Sud del Sud a formare il pianeta
Mezzogiorno. Ci sono gli ultimi, gli esclusi, gli emarginati,
gli immobili, gli inerti: quelli che per ragioni orografiche, storiche,
sociali, formano ancora oggi losso del Mezzogiorno,
nuclei di espulsione delle forze giovani, con redditi assistenzialistici,
con rischio di desertificazione umana. Ma sono tutti Sud senza speranza?
E stato sottolineato che «luniverso degli ultimi
ha la sua geografia, i suoi confini, le sue differenze». Ha
luoghi precisamente individuati, una propria fisionomia, persino
un proprio lessico. E un proprio mestiere di vivere, che non è
eterno preludio consolatorio a unesistenza sospesa nel tempo,
ma un modo altro di scovare le opportunità di
crescita, più lenta, forse, meno riconosciuta, sicuramente:
un modo di abbandonare i vecchi ritmi antropologici e un tentativo
di entrare in una dimensione più moderna, o meno antica,
e di mettersi al passo con i tempi. Sono parecchi, questi Sud che
non intendono più essere Sud del Sud, e non soltanto per
puro spirito di emulazione, per semplice competitività, ma
perché è nella natura delluomo, nella sua psicologia,
nel suo codice genetico la condizione del risveglio, che può
emergere dimprovviso, esplodere senza avvisi preventivi e
proporsi come sfida per la crescita.
Qualche esempio, a proposito di Sud ritenuti irredimibili. Gela,
in Sicilia; la calabrese Locride; la Barbagia, in Sardegna: tre
nomi di aree che fino a ieri solo a pronunciarli mettevano paura,
nomi di regioni difficili, sconosciuti alla maggior parte degli
italiani, nomi di universi storicamente oscuri, liquidati dallopinione
pubblica con sommaria superficialità. Eppure in ciascuno
ci sono fermenti sconosciuti fino a dieci anni fa soltanto, ci sono
nuovi protagonismi sociali ed economici, cè una leva
di giovani che intraprende, rischia, esce allo scoperto, intreccia
relazioni, produce, esporta.
Gela, ad esempio. Area del caos urbanistico, della malavita rapace,
della microcriminalità diffusa, della corruzione endemica.
Questa Gela, ora, non è più linferno. Quanti
di noi sanno che qui cè uno dei musei della Magna Grecia
più belli del mondo? Quanti hanno appreso che due altari
del V secolo a.C., ritrovati per caso qualche anno fa sotto una
montagna di sabbia, sono stati esposti per sei mesi al parigino
Louvre, che ha dedicato a queste opere uniche una mostra monografica?
Quanti sanno che Gela è diventata una delle pochissime città
del Sud in cui tutti gli studenti, dalle elementari alle medie,
hanno diritto a una refezione di qualità in edifici scolastici
modernissimi, messi su uno dopo laltro negli ultimi sei anni?
E non è finita: Gela ha messo su una delle aree industriali
più moderne della Sicilia. Novità assoluta anche questa.
Ci sono sessanta aziende che producono per il mercato e spesso esportano
anche oltre i confini europei, e dunque del tutto sganciate dalla
sempre meno incombente presenza del petrolchimico.
Piccoli, ma incoraggianti segnali si colgono anche nella Locride,
dove è bastato un vescovo di buona volontà, Giancarlo
Bregantini, per trapiantare la cultura della cooperazione trentina
in questo lembo dimenticato della Calabria. In tre anni, duemila
metri quadrati di serre sono diventati 150 mila. E nelle cooperative
lavorano anche figli di mafiosi che per la prima volta nella loro
vita si sono trovati di fronte a unalternativa. Intendiamoci:
è ovvio che non sia sufficiente un buon prete per cambiare
una realtà tendenzialmente omertosa, dove le occasioni di
sviluppo sono molto rare. Ma la sensazione che si coglie è
che dopo unepoca infinita anche qui la ndrangheta, la
mafia dalle scarpe lucide di una volta, quando non uccideva,
dunque prima della mutazione in una mafia a servizio permanente
dellomicidio, sia stata costretta a mollare una parte del
suo potere, rinunciando, forse non solo apparentemente, allegemonia
culturale in presenza della quale sarebbe stato impossibile persino
ipotizzare lemancipazione della società civile.
Così anche per la Barbagia, terra nella quale va morendo,
lentamente ma costantemente, il terribile codice di leggi non scritte,
ma applicate con inesorabile puntualità. Isola nellisola,
territorio aspro e di incomparabile bellezza, dove sopravvivono
pezzi di Medioevo; terra aliena allautorità, soprattutto
se promana dallo Stato; terra delle cronache dei sequestri di persona,
di centinaia di attentati che ogni anno colpiscono chiunque abbia
autorità pubblica, compresi i sindaci e i professori di scuola
media. Terra nella quale oggi si sta cominciando a crescere con
iniziative imprenditoriali autoctone: e ogni intrapresa che vi si
alloca è uno spiraglio di luce che si apre nella crosta barbaricina,
una ferita inferta al chiuso mondo neolitico che ha vissuto quasi
senza soluzione di continuità di pastorizia e di isolamento,
di ferocia e di incomunicabilità.
Tre esempi, dunque. Tre Sud del Sud che con vitalità endogena
si vanno riscattando, allineandosi grado a grado alla cultura più
evoluta che li circonda. Tre momenti da tenere bene a mente: perché
solo dopo che tutti i Sud del Sud saranno stati recuperati, il Mezzogiorno
e lItalia potranno dirsi veramente ancorati allEuropa.
Alberto Pandolfi
Dati Svimez: loccupazione nel
Sud ha registrato dati eccellenti, indicando per il 2001 un incremento
del 2,7 per cento rispetto allanno precedente, e questo a
fronte dell1,8 per cento segnalato per il Centro-Nord. Si
erode lievemente lo storico divario, mentre una discreta industrializzazione
si esprime attraverso forme di elevata innovazione tanto organizzativa
(nelle strutture imprenditoriali e soprattutto nei sistemi territoriali
a carattere distrettuale) quanto per le alte tecnologie impiegate.
Lindustria si pone correttamente in posizione complementare
rispetto allagricoltura, settore che sostiene forti esportazioni,
e al turismo, che costituisce il necessario supporto per unefficiente
terziarizzazione, fenomeno anchesso in fase di espansione,
nel cui contesto nascono le nuove imprese incentrate prevalentemente
nella new economy.
La new economy trova fertili ambiti di incubazione grazie ai diversi
bacini universitari che testimoniano come il Sud, attualmente, possa
contare su una fondamentale infrastruttura immateriale, che costruisce
e consolida anno per anno un patrimonio culturale che sa proporre
il mercato come elemento prioritario rispetto agli interventi protezionistici
dello Stato.
Alle zone di luce che queste situazioni esprimono, continuano a
sovrapporsi però non poche zone dombra: fra queste,
sicuramente, la più importante è la questione morale
collegata ai problemi di criminalità organizzata presente
e, purtroppo, in costante espansione proprio tra i giovani, anzi
tra i giovanissimi, nellattuale legislazione tra i soggetti
meno incriminabili. Torna in mente quanto diceva Pasquale Saraceno
nel Rapporto del 1989: «Insomma, se la storia recente ha profondamente
cambiato i termini economici e tecnici della questione meridionale,
la sua essenza resta quella indicata dai grandi meridionalisti del
passato: quella, cioè, di una grande questione etico-politica,
che investe le stesse fondamenta morali della società nazionale
e dello Stato unitario... Da troppo tempo le notizie di delitti,
provenienti da alcune regioni meridionali, si susseguono con frequenza
impressionante... Il Mezzogiorno sempre più si impone allattenzione
dei non meridionali come una grande questione di ordine pubblico.
Sembra talvolta affiorare addirittura la tentazione di una semplicistica
identificazione della questione meridionale con la questione criminale».
Questo aspetto negativo di fondo si è consolidato anche perché,
nonostante i tanti fattori positivi, tende a sopravvivere ancora
oggi limmagine di un «Sud impastato di torpori e di
compromissioni, di affarismo e di politicantismo, di norme deformate
e deformanti, e di valori premoderni», come scrive Sergio
Zoppi (ex presidente del Formez), in una recente pubblicazione,
Una lezione di vita. Saraceno, la Svimez e il Mezzogiorno, dedicata
in particolare alla figura e allesperienza di Pasquale Saraceno
(1903-1991), coideatore e presidente (1974-1991) dellAssociazione
per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, che predispone ogni
anno un Rapporto sulleconomia delle regioni meridionali.
Secondo Zoppi, il grande obiettivo di Saraceno era sempre stato
lunificazione economica dellItalia attraverso lindustrializzazione
meridionale. Questo processo stentò a decollare finché
si tentò di imporlo forzosamente, con gli interventi straordinari
a favore delle regioni meridionali, ma poi si è andato sviluppando
in maniera abbastanza autonoma al termine di quegli interventi,
avviandosi verso un vero e proprio take-off, che ha anche portato
ad una terziarizzazione delleconomia. Si assiste allora a
un nuovo fenomeno: un forte incremento della propensione verso lautonoma
imprenditorialità, sorretta in particolare dalle nuove tecnologie
dellinformatica e della comunicazione. Un fenomeno, questo,
in forte controtendenza rispetto allatavica inclinazione meridionale
di mettersi alla ricerca di un posto fisso nel contesto degli apparati
statali.
Unultima parola, a proposito delle polemiche sulla Cassa per
il Mezzogiorno, che ebbe appunto funzione prevalente di finanziamento:
furono proprio i flussi finanziari destinati agli appalti dei grandi
lavori pubblici a innescare circoli viziosi, nei quali trovò
spazio anche la criminalità organizzata. Ma furono anche
quelle opere a creare infrastrutture indispensabili per regioni
che partivano da un totale sottosviluppo storico, reso ancora più
drammatico dagli eventi bellici. Questa lezione del passato serva
per il futuro del Sud.
Renato DAnna
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