Giugno 2002

PICCOLI COMUNI DA SALVARE

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Il Paese dei campanili
Ilario Carpegna  
 
 

 

 

L’Italia del
disagio insediativo è fatta invece di Comuni a rischio di estinzione
concentrati nel Sud e nelle Isole, nelle aree interne del Centro o al di sopra dei seicento
metri di altitudine.

  Esiste un’Italia di dimensioni piccole, piccolissime, microscopiche, dove la realtà è maiuscola, la qualità della vita è alta, gli standard economici elevati, il commercio e l’imprenditoria sono ben avviati, la disoccupazione è fisiologica e la voglia di andare a inurbarsi, inscatolandosi in città, proprio non esiste. Questa Italia, in aree del Nord ricca e florida, si riflette in uno specchio che, soprattutto al Mezzogiorno, deforma una realtà diversa, anch’essa fatta di piccole dimensioni, ma che invecchia in fretta e dove gli esercizi chiudono, il turismo langue, i conti correnti sono più poveri e i giovani sono costretti ad emigrare per trovare lavoro.
Per questo Paese “doppio”, che vive o sopravvive nei “Comuni polvere”, ricchissimo di sapori e di tradizioni, di storia e di cultura, di biblioteche e di dimore storiche, di chiese e di conventi, è stato fotografato da una serie di indagini. Le ricerche colgono le tendenze di un’Italia che, al pari della Francia, pullula di piccoli centri: per l’esattezza, 3.644, tutti sotto i duemila abitanti, vale a dire il 45 per cento del totale, per un’estensione in chilometri quadrati pari a un quarto della superficie nazionale.

Aree immense e disomogenee, dove le potenzialità – diverse, ma spesso vincenti – sono state quasi sempre esaltate nelle regioni settentrionali e quasi sempre depresse in quelle meridionali.
L’11,1 per cento dei piccoli Comuni (406) fa parte di una compagine intermedia, che non presenta eccedenze di alcun segno particolarmente evidenti ed è localizzato soprattutto nel Centro (Alto Lazio, Umbria e Toscana), con brevi estensioni anche al Nord-Est (Veneto) e in Lombardia.
L’Italia del disagio insediativo è fatta invece di Comuni a rischio di estinzione (1.867, pari al 51,2 per cento di quelli presi in esame) concentrati nel Sud e nelle Isole, nelle aree interne del Centro o al di sopra dei 600 metri di altitudine nell’entroterra appenninico ligure, piemontese, dell’Alta Toscana e delle province di Parma e Piacenza. Pur con alcune differenze, questo insieme di Comuni presenta caratteristiche analoghe di spopolamento, di deficit imprenditoriale, di carenza di servizi, di scarsa attenzione al territorio e alle sue potenzialità.
E’ soprattutto questa l’Italia che ha bisogno di aiuti per non scomparire, che siano in grado di favorire una crescita economica e un riequilibrio territoriale. In che modo? Anche una proposta di legge può aiutare, soprattutto se promuove l’esercizio associato delle funzioni, agevolazioni economiche e fiscali, incentivi per gli insediamenti, per le attività economiche, la scuola e la formazione. Ciò che conta, è promuovere e sostenere economicamente le attività lavorative, sociali e culturali esercitate nei piccoli Comuni, favorendone la competitività, tutelando e valorizzando il patrimonio naturale e storico-culturale che custodiscono, assicurando ai cittadini un sistema efficiente di servizi territoriali, per far sì che non si traduca in un handicap l’abitare in un piccolo comune della Calabria, della Basilicata, del Gargano interno o dell’Appennino tosco-emiliano.
Secondo una lettura più raffinata, la ricognizione di questa geografia comunale consente di rilevare, come bilancio di un lungo periodo, le conseguenze delle macrodecisioni adottate negli anni Cinquanta, che hanno segnato le discontinuità dello sviluppo italiano post-bellico: la riforma Segni, il balzo della grande industria del vecchio “Triangolo”, e l’intervento straordinario dello Stato. Grazie alla coincidenza delle tre storiche scelte della modernizzazione, si è però interrotta un’evoluzione, di tipo lineare, del rapporto popolazione-territorio, che si era protratta in Italia dal Rinascimento alla prima metà del ventesimo secolo. Laddove tali operazioni “di modello” non si rivelavano sufficienti a creare reddito, si provvedeva a distribuire un’integrazione con l’espediente delle pensioni di invalidità civile e di quelle “figurative” a salariati agricoli. Dal cambiamento è così risultata tagliata fuori una popolazione residuale, non coinvolta nel grande ciclo migratorio interno (1951-1971) e neppure protagonista di iniziative locali di sviluppo: gran parte di essa si ritrova in dati raccolti ed elaborati da diverse indagini.
Al contrario, le città medie hanno irrobustito la loro armatura urbana, per divenire interpreti di rilevanti performance di benessere e di qualità della vita.
Sintomatica la lettura dei dati di ricerca effettuata dal sindaco di Spineda (Cremona), un paese di 630 abitanti: «E’ ora che i Comuni ricchi e prosperi del Nord si impegnino direttamente al Sud, e per farlo bastano idee semplici, quali ad esempio gemellaggi che portino nei piccoli centri del Meridione competenze, risorse e know-how dal Nord».
Specchiarsi nella “corona del successo” – com’è stata definita – non deve essere facile per i Comuni “parenti poveri” del Sud. In questa corona c’è un gruppo numeroso (854 “campanili”) che interessa in maniera quasi esclusiva il Nord-Est: tutti i comuni di questa fascia si collocano in Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia (ma anche in Lombardia), con sporadiche apparizioni nelle Marche e in Val d’Aosta, e, pur caratterizzati come gli altri da “dimensioni ridotte”, partecipano e sono inseriti all’interno del processo di crescita economica, produttiva e culturale che investe anche i centri urbani più grandi. Le ricerche confermano che spendono molto in investimenti sul turismo. Tutti gli indicatori di presenze, sia in termini di impatto sociale (presenze per abitante) sia territoriale (per chilometro quadrato) eccedono non solo il dato corrispondente dei Comuni del disagio e quelli sotto i duemila abitanti, ma anche la media nazionale. In particolare, è la struttura ricettiva alberghiera ed extralberghiera ad attrarre.
Una vocazione turistica molto più accentuata si ritrova nel secondo gruppo di eccellenza (517 Comuni, pari al 14,2 per cento), che abbraccia il Nord-Ovest e in particolare il Piemonte e la Val d’Aosta. In questo caso la qualità della vita emerge anche dagli elevati indici dell’assistenza sanitaria e sociale, così come dalle buone performance del commercio. Fanno parte di quest’area molti Comuni famosi, accomunati dal forte legame con le aree montane, che non sono però aree marginali o marginalizzate, bensì tessuti economici e produttivi di forte valenza e di stretto legame con le zone vicine, particolarmente vivaci e vitali.

Per esempio, il Nord

Un grumo di case perfettamente ordinate lungo i seicento metri della strada principale, avvolte dalla nebbia d’inverno, infestate dalle zanzare d’estate, assediate da un gran mare di risaie: siamo a Villa Biscossi, un paese si ottantuno anime censite dall’Istat, in provincia di Pavia. Villa Biscossi non può riconoscersi in alcuna classifica del disagio. Il reddito medio è elevato; i servizi comunali agli anziani, che costituiscono buona parte della popolazione, funzionano; l’economia, ricca di aziende agricole, non conosce rallentamenti; i pochi giovani che ci vivono, ogni fine settimana si lasciano il paese alle spalle e raggiungono i centri vicini, o fanno gruppo la sera con i ragazzi della zona in un pub che ha aperto i battenti alcuni anni fa. Essendo questi i punti di forza, si capisce bene perché il Comune, tutto immerso nel suo splendido isolamento, da sempre respinge le offerte di fusione con Mede, un centro di settemila abitanti a pochi chilometri di distanza.
La chiave di volta, che permette a questa comunità di vivere e non di sopravvivere, è nella gestione spartana dell’amministrazione, i cui numeri sono ben rapportati alle dimensioni. I consiglieri sono 12; la giunta conta due assessori; due dipendenti, che si scambiano spesso i ruoli, mandano avanti la macchina burocratica; il segretario è in convenzione; un obiettore di coscienza funge da jolly: ritira i medicinali per malati e anziani, li accompagna al mercato, all’ufficio postale più vicino (visto che in paese non c’è), in banca, negli altri uffici pubblici. Da 22 anni c’è lo stesso sindaco, a capo di una lista civica. I trasferimenti erariali bastano e avanzano per la manutenzione ordinaria. I servizi sono svolti in associazione con i paesi vicini. Per la gestione straordinaria, si pesca fra i contributi statali: nel 2001, sono stati pari a 54.456,814 euro. Con la buona amministrazione, non occorre inasprire la pressione fiscale: nessuno paga l’Ici; la tassa sui rifiuti è al minimo; i quattro alunni che frequentano le scuole pagano per il servizio di trasporto la simbolica cifra di 7,75 euro.

Per esempio, il Sud

Un presepio addossato su un solo versante della collina, dove risiede circa la metà delle 1.463 persone censite dall’Istat. L’abusivismo edilizio, cominciato a fine anni Sessanta, si vede poco, perché riguarda quella che gli abitanti chiamano “la Marina”, il doppione di paese che rappresenta l’altra faccia del centro costiero tirrenico di Sangineto, in provincia di Cosenza. Per vedere quell’ammasso di case e di immobili costruiti a ridosso della spiaggia, è necessario percorrere quattro chilometri di stradine tortuose: poi si ha di fronte il mare, che divora le facciate delle dimore disposte sottovento. Ecco il brutto risvolto di un piccolo Comune italiano del Sud che, sulla carta, dovrebbe essere un gioiello. La cornice che offre, infatti, è da paradiso terrestre. Incastonata nella parte settentrionale della Calabria, Sangineto ha tutto per essere un’oasi di sviluppo sociale ed economico: il mare (l’isola di Dino, con la sua splendida riserva floro-faunistica è a un tiro di sasso), i monti (è una delle porte d’ingresso al Parco del Pollino, mentre la Sila è a quaranta minuti di auto), e una quiete sociale invidiabile (la criminalità qui non ha mai attecchito, mentre assilla i paesi vicini, da Cetraro a Scalea).
Questo gioiello naturale, però, è stato sfregiato in assenza di un piano regolatore e nell’illusione che qualche albergo e una slavina di seconde case (l’Istat ne conta 1.370, soprattutto di politici e professionisti della Cosenza-bene) potessero portare benessere e sviluppo. I pini marini sulla spiaggia sono soltanto un ricordo di chi ha oggi da quarant’anni in su, e i cedri che avrebbero potuto rappresentare una ricchezza sono stati quasi tutti abbattuti. Spazio, invece, a colate di cemento, di cui oggi rimangono le case sul mare e molti scheletri di immobili non completati o abbandonati.
Mentre Sangineto conosceva questo periodo di falso sviluppo, le politiche nazionale e locale dormivano. Niente infrastrutture; l’autostrada gira larga, oltre le montagne; i depuratori soffocano d’estate; l’aeroporto più vicino è a Lametia; il porto di Cetraro non serve; maltrattati i beni culturali. Se la Marina piange, il paese-presepio non ride. Molti anziani, natalità sotto zero, scuole che chiudono, economia stagnante, negozi che chiudono, nuove attività che muoiono nella culla, giovani che emigrano. Benvenuti in un paese-simbolo del Sud che divora se stesso.

   
   
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