Giugno 2002

L’EUROPA UTILE

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Il grande progetto
Mario Pinzauti  
 
 

 

 

Risultati tangibili
e vicini
sono ora promessi
dall'Europa utile
anche per un
più importante
impegno:
quello contro
la disoccupazione.

  Non ci sono solo rose e fiori, archi di trionfo e battimani per l’Europa utile, l’Europa al lavoro per migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini. Noi, su questa Rivista, lo abbiamo detto più volte. Ora lo dicono anche altri e non solo i sofferenti di eurofobia e gli euroscettici, perfino gli addetti ai lavori delle istituzioni comunitarie. Ecco ad esempio il più autorevole tra questi signori, il Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, dichiarare recentemente (alla vigilia del “summit” dei capi di Stato e di Governo dell’Unione svoltosi il 15 e il 16 marzo a Barcellona): «Esiste ancora una notevole forbice tra gli impegni presi e la loro traduzione pratica».
Ed ecco, più o meno nello stesso periodo, il commissario europeo per l’ambiente, Margot Wallstrom, definire e condannare con un pesante aggettivo, «deludenti», i risultati ottenuti dalle direttive comunitarie emanate quattro anni fa in materia di emissioni tossiche. Queste direttive, ha precisato la Wallstrom, sono state applicate solo in 5 dei 15 Paesi dell’Unione. Tra i dieci che ancora non l’hanno fatto, e che per questo dovranno affrontare il giudizio della Corte di Giustizia europea di Lussemburgo, vi è l’Italia, assieme a Francia, Germania, Regno Unito, Grecia, Spagna, Austria, Irlanda, Danimarca e Finlandia.
Detto questo, aggiunto che vi è qualcosa di fondato alla base di certe polemiche, ad esempio quella che, sulle colonne del Corriere della Sera, ha opposto Alberto Ronchey e Romano Prodi a proposito della cura, anzi del puntiglio, con cui alcuni gruppi di lavoro della Commissione Europea affrontano problemi come la forma dei cetrioli e altri di non primissima importanza, fatte queste e altre doverose ammissioni resta tuttavia il fatto che l’Europa utile esiste e opera e che per quanto fa non solo ottiene spesso applausi e fiori ma anche li merita. Chi ha pazienza, tempo e vista bastanti per avventurarsi nel mare magnum cartaceo degli atti dell’Unione Europea (80 mila pagine!) o si contenta del più ridotto ma sempre abbondantissimo flusso di notizie e documenti fornito dalle pubblicazioni e dai siti Internet delle istituzioni europee è infatti premiato e confortato da scoperte interessanti e istruttive.

Per citare un caso recente, può venire a sapere che sono ormai arrivati a 570 i prodotti alimentari (carni, insaccati, formaggi, frutta, verdura, eccetera), di cui due marchi europei – esattamente DOP (Denominazione d’Origine Protetta) e STG (Specialità Tradizionali Garantite) – garantiscono la qualità e la difesa da ogni forma di contraffazione e di concorrenza sleale, dando al consumatore la certezza che ad esempio il Prosciutto di Parma è stato prodotto con carni suine e in fabbriche della città emiliana e che il Roquefort francese, o il Jambon delle Ardenne (Belgio) o la Bayerischer bier tedesca sono esattamente quello che, con le loro etichette, dichiarano di essere e non libere variazioni. Le quali variazioni – come gli spaghetti di grano tenero o la cioccolata fatta di non solo cacao – possono anche ottenere dall’Europa il riconoscimento del loro diritto all’esistenza: ma a condizione di confessare le loro generalità, soprattutto gli ingredienti, il luogo e i metodi di produzione.
E anche limitandoci a uno sguardo sulla più recente attività dell’Europa utile tante altre sono le scoperte importanti e istruttive. Una Direttiva della Commissione è appena intervenuta per limitare l’utilizzo di 43 prodotti chimici pericolosi per la salute umana impiegati per pitture, inchiostri di stampa, lacche, adesivi. Dal 1° aprile 2003, tra pochi mesi, saranno proibiti al pubblico, anche se resteranno disponibili per “gli utilizzatori professionali”, cioè coloro che, dovendoli impiegare per motivi di lavoro, sanno (o dovrebbero sapere!) come evitarne i rischi.
Cambiamo tema, spostiamo l’attenzione dagli interventi dell’Europa utile contro i rischi per la salute dei cittadini a quelli in difesa dei nostri portafogli: ingiustamente e anche inspiegabilmente alleggeriti, ad esempio, dai prezzi delle auto. Questi prezzi non solo sono alti ma sono abissalmente diversi tra un Paese e l’altro dell’Unione Europea. Infatti, varcando una frontiera dell’Europa comunitaria può accadere di pagare in più per lo stesso modello di macchina fino a 7.545 euro (pari a 14 milioni e 609.000 delle lire appena andate in pensione). E’ incredibile ma vero e anche documentato dai risultati di un’inchiesta della Commissione Europea su 80 modelli di macchine e 24 industrie automobilistiche. Ed è anche incredibile ma vero e documentato dall’inchiesta della Commissione che per questo problema non si riesce ad applicare la soluzione che dovrebbe essere la più facile oltre che più giusta in un sistema di Mercato Unico qual è, dal ‘93, da nove anni, l’Unione Europea: permettere al consumatore di acquistare la propria auto in uno dei Paesi dove i prezzi sono più bassi (Spagna, Grecia, Finlandia e Danimarca), tenendosi alla larga da quelli dove si paga di più, come Germania, Austria e Gran Bretagna. Questo elementare rimedio diventa di rara e incompleta praticabilità a causa di norme restrittive (volute dalle industrie automobilistiche ma accolte o subite dai governi nazionali) che rendono difficoltoso e, a cose fatte, poco conveniente comprare un’automobile in un altro Paese dell’Unione. Contro queste norme l’Europa utile è ora però in campo. E il commissario Monti – che si occupa dell’attuazione del Mercato Unico e della lotta alla concorrenza sleale – promette risultati tangibili in un prossimo futuro.

Risultati tangibili e vicini sono ora promessi dall’Europa utile anche per un più importante impegno: quello contro la disoccupazione, il maggiore dei problemi dell’Unione. Su questa materia piani d’azione, direttive, raccomandazioni, da qualche mese stanno uscendo a getto continuo dalla Commissione e dal Parlamento Europeo, guidando e influenzando le decisioni del Consiglio dei Ministri, conquistando spazi sempre più ampi nelle scelte strategiche fatte dai Consigli europei (le riunioni di vertice dei capi di Stato e di Governo).
Grazie a queste iniziative sono tra l’altro in dirittura d’arrivo le misure per rendere riconosciuti e accettati in tutta l’Unione i diplomi e le qualifiche professionali ottenuti nel Paese di residenza. Sta così per cadere uno degli ostacoli che rendevano più teorico che pratico il diritto – solennemente garantito a tutti i cittadini europei dal Mercato Unico, a partire dal ‘93 – a scegliere il Paese dell’Unione dove, per loro, è più facile e conveniente lavorare. Altri ostacoli all’esercizio di questo diritto cadranno quando, tra pochi anni – lo hanno promesso i capi di Governo e di Stato dei 15 Paesi riuniti il 15 e il 16 marzo a Barcellona – entrerà in funzione la carta sanitaria europea (attualmente fuori dal Paese di normale residenza si può ottenere solo un’assistenza sanitaria per casi d’emergenza tramite il cosiddetto modulo E.111). E certamente incoraggerà i trasferimenti di lavoratori all’interno dell’Unione anche un altro beneficio annunciato a Barcellona: la possibilità di usufruire di ogni forma di pensione, quelle integrative comprese, in un qualsiasi Paese dell’Europa comunitaria.
Con questi interventi e altri di cui tra poco parleremo, l’Europa utile sta mettendo in orbita – e proprio (forse non è un caso!) mentre vara “Galileo”, la sua agenzia spaziale! – il più grande dei progetti in cui si è cimentata. E’ quello per creare, entro il 2010, venti milioni di nuovi posti di lavoro. Il grande progetto, lo sappiamo, non è nato oggi (fu proposto per la prima volta dal Consiglio Europeo svoltosi a Lisbona nel marzo del 2000), ma nei suoi primi due anni ha vissuto un’esistenza poco più che virtuale arrivando a rischiare, in certi momenti, una fine poco gloriosa: che sembrò probabile ad esempio quando, alla fine del 2001, si prese atto del fatto che, nel corso di quell’anno, il numero degli occupati nell’Unione era addirittura diminuito, sia pure di poco (circa 350 mila unità). Poi, recentemente, c’è stata una brusca e positiva correzione di rotta. Prima numerosi interventi della Commissione, in seguito le decisioni del Consiglio europeo di Barcellona hanno rimesso in corsa il progetto e gli hanno dato la credibilità che prima gli era mancata.
Una serie di fatti, tutti con la firma dell’Europa utile, dà forza a questa credibilità. I primi sono gli annunci della partenza di una serie di iniziative che da sole produrranno occupazione. “Galileo”, l’agenzia spaziale europea, darà lavoro a 100 mila persone. La liberalizzazione entro il 2004 dell’energia elettrica per le imprese farà risparmiare a queste ultime 15 miliardi di euro: che potranno essere utilizzati tra l’altro per offrire occupazione a diverse decine di migliaia di senza lavoro. Darà sicuramente occupazione ad altre decine di migliaia di persone il piano dell’Unione per lo sviluppo delle biotecnologie (settore dove già 1.570 sono le imprese impegnate). Lo stesso risultato si otterrà con la realizzazione della rete ferroviaria europea. E più ancora ci si aspetta dalla terapia d’urto sulla previdenza, la flessibilità e la mobilità messa in moto dall’Unione Europea nel corso di quest’anno.
Questa terapia prescrive anzitutto che la rassicurante (ma non per tutti) prospettiva del posto fisso ceda il passo, per un certo numero di lavoratori, ai cambi d’azienda e di mansioni. I più attivi e coloro che non mancheranno di aggiornare la loro formazione professionale ne trarranno benefici economici e più di una soddisfazione, prima tra tutte quella di creare occasioni di occupazione per persone oggi senza lavoro. Nell’Unione Europea solo il 16,4 degli occupati lavora per la stessa impresa per meno di un anno contro il 30 per cento degli Stati Uniti. Questi dati contribuiscono a far capire perché in America la disoccupazione, a differenza di quanto avviene in Europa, è percentualmente a livelli tutt’altro che drammatici. E altri dati lo chiariscono anche meglio. Nella nostra Europa comunitaria nel 1999 si è spostato per ragioni di lavoro o per cambiare residenza solo lo 0,1 per cento della popolazione, complessivamente 225 mila persone. E non ci sono stati trasferimenti apprezzabili neppure tra le varie regioni dei singoli Paesi. Questi trasferimenti hanno interessato l’1,2 per cento della popolazione, mentre quelli avvenuti tra le varie contee americane hanno coinvolto il 5,9 per cento dei cittadini. Ecco spiegata, guardando ad esempio al caso italiano, la contraddizione tra la scarsità di posti di lavoro in tante zone del Sud e la scarsità di manodopera disponibile in tante zone del Nord. Ed ecco in evidenza anche le principali cause del fallimento di tutti i tentativi messi in atto finora per creare una sorta di mercato europeo del lavoro.

Ma non è mai troppo tardi. Fatta e completata la diagnosi, dopo aver toccato i punti dolenti, l’Europa utile finalmente decide interventi adeguati. La terapia d’urto arrivata nel 2002 impegna l’Unione e i singoli governi a rendere operanti la flessibilità e la mobilità del lavoro. Afferma l’esigenza di elevare a 65 anni l’età pensionistica in tutta l’Unione. Definisce primarie esigenze l’aggiornamento continuo della formazione professionale e la creazione di precisi e funzionali collegamenti tra il mondo del lavoro e il mondo dell’istruzione, in modo tra l’altro che quest’ultimo indirizzi un sempre maggior numero di giovani verso studi che, come quelli di informatica e matematica, diano ai più solerti la sicurezza di una futura occupazione. Eccetera, eccetera.
Basterà tutto questo? Fino a non molti mesi fa era realistico rispondere con il dubbio. Ora si può rispondere con una speranza che è molto vicina alla fiducia. Ora le condizioni per rendere vincente il grande progetto cominciano ad esistere. Se resteranno vive, vegete e forti sino al 2010 sarà il trionfo dell’Europa utile.

   
   
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