La costituzione dell'Unione europea sarà
un compromesso tra diverse tradizioni politiche, tra diversi valori
e tra diverse tradizioni nazionali.
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mano a mano che si avvicina la decisione sul futuro istituzionale
dellUnione europea, le polemiche tra le forze politiche si fanno
più aspre. La cosa non deve meravigliare, e anzi ha aspetti
positivi. Chi ricordi la ratifica del trattato di Maastricht, ricorderà
anche come esso suscitò pochissima discussione. Eppure, gran
parte degli accesi europeisti di oggi votarono allora contro quellatto
fondamentale per lEuropa. Tra lindifferenza di allora,
e le polemiche di oggi, chiunque crede nella democrazia ha il dovere
di preferire le polemiche e lo scontro tra le diverse visioni dellEuropa.
Perché lEuropa non è più una delle tante
questioni dellagenda politica del Parlamento e del governo,
ma è la questione che determina la gran parte dellagenda
politica stessa. I beni pubblici e la redistribuzione del futuro
che sono lessenza della politica saranno in parte del
tutto rilevante decisi dal modello di Europa che verrà realizzato.
Proprio per questo bisogna distinguere tra la polemica che fa parte
del gioco quasi autoreferenziale della politica e le differenze reali
sul modello di Europa. In questi ultimi tempi abbiamo assistito da
parte di alcune forze politiche (la Lega) allaffermazione di
una posizione fortemente critica nei confronti della visione dellUnione
europea come replica su scala continentale degli Stati nazionali.
Della visione dellUnione europea come nuovo luogo e nuova fonte
della sovranità nel nostro Continente, dove gli Stati membri,
i loro governi e i loro Parlamenti dovrebbero diventare lequivalente
di quelli del Nevada o della Louisiana.
Si può naturalmente credere che il miglior destino per lEuropa
sia proprio questo. Ma è del tutto legittimo che vi sia anche
chi abbia una visione diversa, e la proponga ai cittadini. E
preoccupante, dal punto di vista democratico, che vi sia chi ritenga
che sullEuropa non è consentito né avere visioni
diverse da quelle di una certa sinistra europea, né poterle
porre come programma politico e di governo. Vi sono pochi dubbi
che queste visioni alternative avrebbero tutto da guadagnare dal
fatto di venire espresse in termini meno forti, e soprattutto meno
violenti in alcuni aspetti.
Ma vi è certo una buona dose di ipocrisia nel condannare
da un lato chi fa uso di questo linguaggio, e nel considerare dallaltro
normale che alcuni molti, in verità si riferiscano
costantemente al liberismo internazionale come alla causa della
miseria di centinaia di milioni di persone nel mondo, o alle multinazionali
farmaceutiche come alle responsabili delle morti per Aids nei Paesi
del Terzo Mondo. Ma, al di là del modo criticabile con il
quale vengono espresse, quali sono i veri punti forti di queste
visioni alternative dellEuropa? In primo luogo, che lUnione
europea debba essere un modello peculiare, che preservi le identità
politiche e culturali delle sue nazioni. In secondo luogo, che lEuropa
non debba essere costruita attraverso una cessione definitiva di
sovranità verso lUnione, ma debba fondarsi sullesercizio
congiunto delle sovranità da parte degli Stati membri.
La prima tesi è tanto poco assurda che è stata fatta
propria da statisti come Chirac e Blair. La seconda rispecchia il
processo che ha portato alla Banca centrale europea e alla moneta
unica, come ha autorevolmente affermato il presidente Carlo Azeglio
Ciampi.
Chiunque condivida una visione politica ed economica liberale non
può ignorare come la costruzione delle nuove istituzioni
dellUnione, se da un lato deve assicurare la produzione di
tutti quei beni pubblici europei che i cittadini desiderano, dallaltro
deve essere tale da non aumentare la quantità totale di potere
nel nostro Continente, che finalmente sarebbe destinato a pesare
sui cittadini medesimi.
Questa è una preoccupazione del tutto assente nella gran
parte della sinistra europea, a conferma della tesi autorevolmente
sostenuta da Ralf Dahrendorf, ovvero che la sinistra è diventata
europeista non per intima convinzione, ma come sostituto del fallimento
del proprio secolare progetto politico.
La costituzione dellUnione europea sarà un compromesso
tra diverse tradizioni politiche, tra diversi valori e tra diverse
tradizioni nazionali. Questo è necessario, se lEuropa
unita deve essere una realtà nella quale si possano rispecchiare
tutti i cittadini. Ricondurre la discussione alla realtà
dei progetti alternativi è quindi utile a tutti, specialmente
a coloro che sostengono le tesi meno convenzionali. Ma le censure
preventive non hanno né significato né utilità
in un Paese democratico.
Alfred de Martigny
Tramonta in Germania il welfare post-bellico
I problemi della Germania riguardo al proprio bilancio governativo,
intanto, pongono fine ai compromessi politici che negli ultimi cinquantanni
hanno permesso sia il lassismo a livello di sistema federale sia
uno stato di welfare sempre in espansione per supportare leconomia.
Infatti è molto difficile, se non impossibile, che Berlino
riesca a pareggiare entro il 2004 il bilancio congiunto del governo
federale, 16 Länder, governi locali e tutti i sistemi di previdenza
sociale.
Il pareggio in due anni reclamato dal trattato di Maastricht sembra
pura retorica. Gli accomodamenti fiscali tedeschi sono il risultato
di un sistema politico da tempo superato: la fine è stata
segnata nel 1998 con lestromissione dal potere di Helmut Kohl.
Perché è stato Kohl che, nei governi che si sono succeduti,
ha fronteggiato quasi tutte le difficoltà, attingendo sempre
di più dal budget pubblico, sia che si trattasse di finanziare
progetti di nuove opere per ridurre le file dei disoccupati negli
anni di elezioni, sia di sovvenzionare le miniere di carbone altamente
antieconomiche della Ruhr, sia di rimpatriare la Germania
dellEst dallUnione Sovietica.
Questo ha funzionato fino a quando lUnione monetaria europea
ha stabilito che la partecipazione delle nazioni al sistema delleuro
sarebbe stata possibile solo a condizione di contenere i propri
debiti nazionali, fino a portarli al 60 per cento del Pil. La Germania
cera già arrivata. Non restava altra scelta per Berlino
che riconvergere la contabilità, puntando al pareggio. Poi
è arrivata la flessione economica e le entrate fiscali sono
scese sotto i livelli previsti.
Ora, come ci si è resi conto anche in Italia, tutte le soluzioni
durevoli nel tempo riguardo al deficit di bilancio comportano cambiamenti
radicali rispetto al funzionamento del Paese nellultimo mezzo
secolo. In primo luogo, la costituzione finanziaria tedesca deve
essere cambiata, separando le competenze finanziarie dei governi
federali da quelle statali (e locali). A causa dei fallimenti del
Länder nel tentare di tagliare i costi, i governi di Bonn o
di Berlino sono più volte stati costretti a condividere le
entrate fiscali. Questo ha reso lintero sistema fiscale così
complicato da far sì che è ormai impossibile stabilire
da quale livello provengano le varie entrate.
I programmi consistono nel combattere questo fenomeno mediante lintroduzione
di un Patto di Stabilità nazionale secondo i criteri del
progetto Ue. Ma i Länder sono fortemente contrari. Se ciò
non dovesse bastare, sarà necessario che Berlino metta sotto
controllo il deficit della previdenza sociale, tagliando le indennità
delle assicurazioni sanitarie, pensionistiche e di disoccupazione.
Questo non può assolutamente essere fatto adesso. La Germania
andrà al voto il 22 settembre. E nessun governo aumenta le
imposte o taglia le indennità pubbliche prima di unelezione,
a meno che non desideri essere cacciato.
Ciò significa che il bilancio del 2002 non potrà essere
modificato in maniera significativa, e dato che quello del 2003
deve essere ratificato in giugno, si può anche escludere
che saranno apportate delle grandi variazioni per lanno successivo.
Il compito dei futuri governi tedeschi è immane: saranno
obbligati a lavorare provocando danni finanziari alla maggior parte
degli elettori. Non devono fare niente di meno che smantellare il
pilastro sociale delleconomia sociale di mercato
della Germania del dopoguerra, in un Paese che con i cambiamenti
non è mai stato a proprio agio. Ed è, questa, la vera
fine del dopoguerra.
Allan Saunderson
E ora è di scena la Mitteleuropa
Gli eurocrati di Bruxelles si sono applicati ad esercitare ogni
loro benevolenza, pur di non mettere a disagio il governo tedesco
per i suoi conti pubblici. Ma neanche loro più di tanto riescono
a distrarci dal fatto che leconomia tedesca non è più
quella di una volta. E infatti, chi si provi col dito a seguire
il grafico della crescita del Pil germanico, nel decennio prima
e in quello dopo la riunificazione, si troverà ormai come
chi mette a confronto il profilo delle montagne delle Alpi con quello
appenninico. E accaduto insomma proprio il contrario di quanto
presumeva quellEuropa latina, che con Mitterrand, dopo il
crollo del Muro di Berlino, temeva la Germania unita. E perciò,
non per astratti idealismi, le impose di rinunciare al marco per
leuro. Poco senso ha ormai dire se fu bene o male. Più
interessante è invece notare che già agli inizi degli
anni Novanta poteva prevedersi che i Länder dellOriente
avrebbero reso la Germania più fragile e complicata, e non
più potente. Non solo per i danni ereditati dal comunismo.
Già prima della guerra la Germania Orientale produceva debiti
e bilanci dissestati. Anche i debiti dei latifondi dellEst
ebbero una non piccola parte nel disastro della Repubblica di Weimar.
E, del resto, un non minimo motivo del boom tedesco del secondo
dopoguerra fu che una Repubblica Federale, limitata ai Länder
occidentali, ereditò le aree da sempre più forti.
Ma forse a questo punto alcuni si sentiranno di replicare che poca
cosa in fondo sono i Länder orientali e saranno facili alla
lunga da riassorbire. E gli eurocrati di Bruxelles a loro volta
non mancherebbero poi di eccepire, disdegnosi, che oggi cè
lEuropa.
Il che è vero. Ma non è abbastanza per dar loro ragione.
Proprio lEuropa, allargandosi, ritornerà tra qualche
anno ai confini di quella che era la Mitteleuropa tedesca. I confini
dellEuropa si sposteranno, prima, circa a Königsberg,
la città di Kant, quindi, con linclusione degli Stati
Baltici, lavvolgeranno. Gli eurocrati, più colpevolmente
di tanti altri, non si sono accorti di essere tornati ai confini
della Prussia orientale, cioè di stare completando il reinglobamento
della parte più fragile dellImpero tedesco, comera
prima del 1914.
E gli esiti saranno questa volta più potenti di quelli della
riunificazione tedesca. Linclusione di Polonia, Ungheria,
Cechia, Slovenia e Slovacchia sortirà non solo il già
sgradevole effetto statistico di ridurre il reddito medio dellUnione
europea; ne aumenterà i surplus agricoli e gli oneri per
lEuropa latina, mentre la Germania si ricongiungerà
alla sua area dinfluenza naturale. E rieccoci alla Mitteleuropa,
che come fatto letterario ha il suo fascino, e tuttavia, come fatto
economico, mantiene pure le sue costanti. Anche se meno indagate,
forse perché non indurrebbero a un eccessivo ottimismo.
Per non dire della politica. Königsberg si chiama Kaliningrad,
ed è oggi una base della Marina Russa. I dissidi tra rumeni,
ungheresi e slovacchi non sono meno complicati di quelli tra serbi
e albanesi. Poi, sempre grazie alla lungimiranza degli eurocrati,
con la Turchia in Europa ci sarà pure da trovarsi a che fare
con il problema curdo e con la finanza ottomana.
Ecco riaffiorare insomma la geopolitica, e tutte le costanti della
Mitteleuropa. E il problema tedesco, che, chiuso fuori dalla
porta con leuro, se ne ritorna ancora più potente con
linclusione della sua area dinfluenza, e però
anche di maggior fragilità. Ed è il principale problema,
sul quale bisognerà riflettere bene, prima che un beota eurottimismo
a tutti i costi ci faccia poi amaramente pentire.
Pierfranco Bettetini
Se lItalia conta poco
Io sono convinto che, così come i cinque anni dellultima
legislatura sono stati cruciali per risanare i conti pubblici e
agganciare lItalia allEuropa della moneta, così
il prossimo quinquennio sarà decisivo per far sì che
lItalia divenga protagonista della politica europea. Oggi
troppo spesso, quando si discute delle grandi scelte dellUnione,
si sente parlare della posizione francese, tedesca, britannica,
persino spagnola. Quasi mai di quella italiana. Una situazione che
trovo umiliante. Il nostro Paese si è inserito in Europa,
ma ancora non conta per quanto potrebbe e dovrebbe, soprattutto
in vista delle grandi scelte istituzionali che ci aspettano.
Pensiamo al vertice di Nizza. LItalia ha spinto in modo lodevole
verso soluzioni più avanzate, più europee,
dei problemi che erano sul tappeto. Era lunico Paese che non
difendesse specifici interessi nazionali, ma una visione strategica
di sviluppo dellEuropa, che poi è nellinteresse
italiano di lungo periodo. Purtroppo il risultato, come tutti abbiamo
potuto constatare, è stato molto deludente. Ebbene, unItalia
che contasse di più in Europa avrebbe posto il veto alla
soluzione pasticciata che è uscita dal vertice. E viste le
posizioni di partenza, avrebbe potuto farlo non perché non
aveva ottenuto qualche cosa per sé, ma perché non
si era ottenuto abbastanza per lintegrazione europea.
Io ritengo che i compiti oggi affidati a me nel governo
dellEuropa siano piuttosto cruciali. In questa fase. Sto lavorando
per dare incisività ancora maggiore alla leva
della concorrenza, allo scopo di scardinare vecchie incrostazioni
e nuovi abusi nelleconomia europea. Cerco di porre le basi
per una cooperazione tra le autorità anti-trust a livello
mondiale, a cominciare dalle relazioni con gli americani. Più
in generale, se è vero che si apre un momento decisivo per
il ruolo dellItalia in Europa, è altrettanto vero che
stiamo vivendo una fase delicata ma promettente per quanto riguarda
il ruolo della Commissione. Ed è una battaglia nella quale
mi sento impegnato.
Certo, la Commissione attualmente soffre di un acuirsi della storica
schizofrenia degli Stati membri, combattuti tra il desiderio di
recuperare spazi alla sovranità nazionale e la consapevolezza
che, siccome non riescono ad accordarsi, ci vuole qualcuno, al di
fuori delle logiche di cancelleria, che continui a spingere avanti
lintegrazione.
La visione strategica cè, ma non basta. Oltre alla
progettualità astratta, occorre soprattutto esercitare quotidianamente,
fino in fondo e con maggiore efficacia, i propri poteri. E tra questi,
la funzione di garante della concorrenza comporta sfide sempre più
dure, che la Commissione deve vincere.
E vero che la politica europea è al tempo stesso più
complessa, ma anche più lineare. Più complessa, perché
bisogna tenere in conto le posizioni di quindici Stati membri e
anche le variabili di politica interna di ciascuno di essi, che
su quelle posizioni possono influire. Più lineare perché,
rispetto alla politica italiana, si sa di poter lavorare con regole
più chiare e definite per quanto riguarda le responsabilità
e le competenze di ognuno. Cè dunque un gap di competitività
tra Italia ed Europa anche per quanto riguarda la vita politica.
Spero che al più presto si riesca a colmarlo.
Mario Monti
Se siamo virtuosi, facciamolo pesare
Lo scenario di fondo è quello delle previsioni iniziali,
quello delineato prima dell11 settembre, e addirittura quando
ancora si sperava che leconomia americana avrebbe soltanto
rallentato la sua crescita e ci si illudeva che lEuropa potesse
sostituirla nel trainare la crescita dellintera economia mondiale.
Allora, per lItalia, era stato preventivato un disavanzo pari
allo 0,8 per cento del Prodotto interno lordo, per la Germania uno
dell1,5 per cento e per la Francia uno dell1 per cento.
Superfluo rilevare come lItalia, fra i tre maggiori Paesi,
si presentasse fin dallinizio come quello diventato il più
virtuoso. In seguito al progressivo deterioramento del
quadro previsionale che ha investito lintera economia mondiale,
le stime recepite dalla stessa Commissione europea hanno prospettato
un disavanzo dell1,2 per cento per lItalia, dell1,6
per cento per la Francia e del 2,5 per cento per la Germania.
Questi dati hanno confermato che i tempi nei quali lItalia
era il Paese condannato ad inseguire, e con affanno, gli standard
di finanza pubblica fissati dalle norme che regolano lUnione
monetaria sono lontani: oggi i nostri conti sono più virtuosi
di quelli dei Paesi che negli anni passati costituivano il paradigma
della virtù finanziaria, e per di più presentano una
maggiore capacità di tenuta alle avversità del clima
economico mondiale. La situazione, dunque, è esattamente
opposta a quella che si era fatto credere, tanto che ora si dovrebbe
far valere la buona performance dei conti italiani per rafforzare
la dignità con la quale il nostro Paese partecipa allUem
che continua, invece, ad essere velata dal sospetto e dal pregiudizio.
Allepoca della polemica interna sul buco dei
nostri conti, quando Francia e soprattutto Germania non avevano
ancora aggiornato le loro stime e quindi sembrava che lItalia
fosse ancora una volta la pecora nera dellEuropa, il Commissario
Solbes aveva assunto una posizione severa, dicendo che non erano
ammessi sconfinamenti dai limiti di disavanzo preventivati e che,
semmai, si sarebbe giudicato caso per caso, intendendo che, a motivo
dellelevato indebitamento, allItalia non poteva essere
fatta alcuna concessione che eventualmente fosse stata fatta ad
altri. Il tono è poi cambiato a mano a mano che il deterioramento
della situazione economica e finanziaria tedesca è risultato
più accentuato e più dirette le implicazioni che ne
sarebbero derivate per i conti pubblici. Al punto che la Commissione
è stata disposta a concedere un disavanzo più vicino
al fatidico 3 per cento per questanno e per quello prossimo,
perché sul piano del governo delleconomia non ha ritenuto
opportuno imporre alla Germania manovre di aggiustamento. Ciò
però non esclude che la Germania, a motivo di un Prodotto
interno lordo pressoché doppio di quello italiano, anche
per lanno prossimo necessiterà per il finanziamento
del suo disavanzo di almeno il quadruplo delle risorse necessarie
per finanziare il disavanzo italiano. Sarà il caso di tenerne
conto, o no?
Alfredo Recanatesi
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