Conciliare
il globale
e il locale
è un elemento
essenziale
per restituire
alla politica
dignità
ed efficacia.
|
|
La globalizzazione è iniziata
molti anni fa con la decisione di dare al commercio la massima dimensione
internazionale. LUruguay Round era destinato ad aiutare lo sviluppo
del Terzo Mondo, agevolandone la partecipazione nellambito del
WTO (World Trade Organization), che aveva sostituito il GATT (General
Agreement Trade and Tarif) allinizio del 1995. Ma già
nel 1969, quando per la prima volta luomo mise piede sulla luna
e poté vedere il nostro pianeta dallo spazio, si era determinato
quello che in matematica si chiama un passaggio al limite:
in questo caso, delle dimensioni della Terra, mentre laumento
della velocità dei trasporti e delle comunicazioni in genere
rivoluzionava anche i concetti di spazio, di distanza e di tempo.
Nell89, crollato il Muro di Berlino, iniziava il tracollo del
regime sovietico e si accelerava il processo evolutivo di regioni
sempre più numerose del mondo verso la democrazia e leconomia
di mercato. Parallelamente, si andava sviluppando la società
dellinformazione, con la rivoluzione determinata dalla convergenza
fra le industrie tecnologiche dei media e delle telecomunicazioni
(TMT).
Una formazione permanente di alta qualità è la chiave
di accesso alla costruzione di una società che consenta la
crescita delle individualità, senza che sia messa in secondo
piano la solidarietà, con il versante complementare della coesione
sociale.
Non esistono formule semplici per governare la società complessa
nella quale viviamo. Lo Stato nazionale è oscillante fra il
globale e il locale. Molti operatori economici pensano globalmente,
mentre molti cittadini pensano localmente e sono preoccupati al cospetto
di una realtà che non riescono a padroneggiare. Conciliare
il globale e il locale è quindi un elemento essenziale per
restituire alla politica che è sintesi degli interessi
anche conflittuali dignità ed efficacia. Dunque è
doveroso sviluppare un dialogo a livello mondiale con le organizzazioni
della società civile sui valori della democrazia occidentale,
che rappresentano la base della legittimità del potere. Sono:
la democrazia politica e la difesa dei diritti umani; la giustizia
sociale nella libertà; la partecipazione dei cittadini ai processi
decisionali. Si tratta di difendere i princìpi e i valori delle
dichiarazioni delle Nazioni Unite, condivisi dalla volontà
della grande maggioranza dei popoli e che costituiscono il fondamento
di una civiltà che non è soltanto occidentale, ma che
appartiene allumanità intera. Questo, per sommi capi,
fa parte del dibattito aperto dopo l11 settembre quando, con
lattacco terroristico a New York e al Pentagono, è esploso
il primo conflitto dellera postmoderna. Lattacco
ha fatto esplicitamente capire che il monopolarismo americano non
è più una garanzia di sicurezza né per gli statunitensi
né per i loro alleati. Ciò pone drammaticamente la necessità
di una politica della globalizzazione in grado di rispondere
alle emergenze, non più governabili a livello nazionale.
Prima emergenza fra tutte, quella del riequilibrio delle differenze
economiche e delle realtà sociali fra i Paesi del Nord e
del Sud del mondo. Detto in termini crudi: se la situazione attuale
si prolungherà nel tempo, fra un decennio soltanto i Paesi
ricchi saranno il 18 per cento e i poveri l82 per cento: ciò
creerà una situazione oggettivamente esplosiva. Già
nel 1974 il leader algerino Boumedienne aveva detto: «Se il
Nord ricco non si impegna a cercare soluzioni ai gravi problemi
dello sviluppo del Sud, un giorno milioni di emarginati dei Paesi
della fame verranno nei Paesi ricchi in cerca della loro sopravvivenza.
E non verranno in spirito di pace».
Gandhi affermava che il mondo ha risorse sufficienti per tutti,
ma non sufficienti per soddisfare lavidità di tanti.
Nel 1929, nel pieno della drammatica crisi mondiale, Keynes scriveva:
«Saranno necessari cento anni perché i valori negativi
sui quali fino ad oggi si è sviluppata leconomia (lavarizia,
legoismo, lavidità, il desiderio di prevaricazione
e di possesso, la priorità data sempre allavere più
che allessere) siano sostituiti da valori positivi come la
solidarietà, la comprensione, lo spirito di servizio e di
fratellanza, la generosità...».
Sempre più numerosi sono coloro i quali comprendono che lestrema
povertà e lemarginazione sociale che ne deriva rendono
impossibili i legami fra gli esseri umani, mentre, al contrario,
una cultura alta, multietnica e multireligiosa, può
unirli. I movimenti politici sono lattuazione di movimenti
culturali; da qui, limportanza di costruire e vivere una nuova
cultura, quella di una pace intesa come valore permanente, di cui
sia elemento portante lo sviluppo, perché non cè
pace senza giustizia, e non cè giustizia senza eliminazione
degli squilibri economici e sociali. E esattamente questo
che deve sostituire la retorica del pacifismo e la sua strumentalizzazione
a fini di parte.
In cinese la parola crisi ha un duplice significato.
Il primo è uguale a quello tradizionale, il secondo nasce
dalla millenaria esperienza e saggezza di unantica civiltà
che considera la crisi anche come opportunità.
Nel momento colmo di preoccupazioni e di interrogativi, che stiamo
attraversando, dobbiamo dunque guardare al futuro con lottimismo
della volontà. Così soltanto comprenderemo che i rischi
che incombono sulla società mondiale possono mobilitare nuove
energie e promuovere, nel lungo periodo, uno sviluppo razionale
della condizione umana, favorendo la nascita di una nuova civiltà.
Francis Fukuyama, lautore de La fine della storia, sostiene
che lo sviluppo è un treno potente che non verrà fatto
deragliare dagli eventi recenti, per quanto dolorosi e senza precedenti.
La democrazia e i liberi mercati continueranno ad espandersi come
princìpi di organizzazione validi per gran parte del pianeta.
Il conflitto che può profilarsi (tra mondo occidentale e
mondo islamico, per intenderci) non è tra culture uguali
in lotta tra di loro, come si verificò tra le grandi potenze
europee del XIX secolo. Lo scontro può consistere in una
serie di azioni da parte di gruppi, la cui tradizionale esistenza
è sentita come minacciata dalla modernizzazione. La forza
della loro reazione riflette la gravità della minaccia. Eppure,
la difesa dei valori della scienza, dello sviluppo tecnologico e
della cultura occidentale moderna è stata sempre una caratteristica
dei settori progressisti delle società di ogni razza e religione.
Basterebbe, a conferma, scorrere la lista dei Premi Nobel!
Per molti secoli, lEuropa ha vissuto in condizioni paragonabili
a quelle odierne del Terzo e Quarto Mondo: ha conosciuto, cioè,
fame, carestie, epidemie, guerre, povertà. Per merito delle
rivoluzioni industriali e della ricchezza che hanno prodotto, questi
flagelli sono stati combattuti e quasi del tutto eliminati in buona
parte dellemisfero occidentale, dove si è simultaneamente
affermato un sistema istituzionale basato su tre fondamenti: il
libero mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione;
il rispetto dei diritti umani e la libertà di coscienza;
la separazione dei poteri e la democrazia. In questo contesto, comunque,
il libero mercato non deve essere considerato un puro e semplice
dogma, bensì uno strumento per il progresso dellumanità.
Vi sono ancora miliardi di uomini che vivono nellindigenza
e nellemarginazione. Una società che consente il formarsi
al suo interno di sottoclassi sistematicamente svantaggiate stratifica
serbatoi di rancore e di disperazione, cui attingono facilmente
criminalità, avventurismo, terrorismo.
Perciò lUnione europea, che rappresenta un nuovo tipo
di statualità multinazionale e post-nazionale, ha il dovere
di diventare un attore internazionale: deve contribuire al controllo
di uneconomia mondializzata, difendendo le nozioni di sviluppo
sostenibile e di prosperità condivisa che ne hanno accompagnato
levoluzione. Deve inoltre aiutare la comunità delle
nazioni a fronteggiare le nuove sfide che si delineano chiaramente
contro la stabilità mondiale: gravi squilibri socio-economici,
squilibri ecologici, proliferazione delle armi di distruzione di
massa, crisi finanziarie, crisi sistemiche, e via dicendo. LUe
può e deve divenire uno dei principali architetti del nuovo
ordine internazionale, nel rispetto di tutti, senza volontà
egemoniche. Al di fuori di questa prospettiva, diventerà
un continente arido, che avrà rinunciato soprattutto alla
sua tradizione (e vocazione) profondamente umanistica.
Sono molti coloro i quali ritengono che inserire questi concetti
nel processo di globalizzazione in atto sia unimpossibile
quadratura del cerchio. Ma non è della quadratura del cerchio
che bisogna preoccuparsi, bensì del centro del cerchio, che
è la valorizzazione dellindividuo, vale a dire il fine
stesso cui sono ordinate in democrazia le attività economiche,
politiche e culturali della società.
|