Giugno 2002

RIVOLUZIONI MONETARIE

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Dall’aureo all’euro
S. B.  
 
 

 

 

 

 
Con la sua riforma monetaria del 23 a.C., Augusto segnò il passaggio dalla monetizzazione repubblicana a quella imperiale. Uno degli aspetti più importanti di questa riforma fu di dare il via a una regolare produzione monetaria aurea, che durante la Repubblica era stata invece del tutto eccezionale. Così il sistema monetario romano da monometallico (argento) diveniva bimetallico (oro e argento). Moneta simbolo di questo nuovo corso fu l’aureus, che divenne il nominale di riferimento per le grandi transazioni commerciali e per l’accumulo di capitali.

Il primo gennaio 2002 (l’e-day, il giorno dell’euro) la nuova moneta transnazionale è stata introdotta. L’euro circola in non meno di 14,5 miliardi di banconote e 56 miliardi di pezzi metallici posti a disposizione. La sua adozione è stata definita «la più importante transizione monetaria della storia», una sfida senz’altro immane e ardua, sia per il suo valore economico e politico sia per lo straordinario numero di soggetti coinvolti. Ma non è la prima volta che nella storia d’Europa si riscontra il fenomeno per cui tante nazioni diverse – e per nazioni intendiamo ricollegarci al significato del termine latino: nationes, ovverosia “popoli”, “stirpi” – abbiano riconosciuto valida e quindi utilizzato la stessa moneta. Il precedente più antico e più importante per dimensioni è senz’altro quello messo in atto più di duemila anni fa nell’ambito dell’Impero romano, tanto simile all’eurosistema per ampiezza territoriale e per il numero dei popoli coinvolti che può risultare interessante azzardare un confronto tra i due fenomeni: l’ampio spazio cronologico che li separa e le condizioni politico-economiche indubbiamente diverse in cui essi si attuano ne metteranno senz’altro in luce le differenze, ma ne faranno scaturire anche i curiosi parallelismi.

Quella che sembra la più grande differenza fra i due fenomeni riguarda le diverse condizioni politiche che hanno portato a una circolazione unica. Come tutti sappiamo, infatti, l’adozione dell’euro quale valuta comune è stata una libera e ponderata scelta da parte di alcuni Paesi membri dell’Ue (Danimarca, Regno Unito e Svezia hanno procrastinato la loro partecipazione), nell’ottica di costruire una comune economia, primo e necessario passo per raggiungere quello che resta il sogno di tutti gli europeisti convinti, vale a dire l’unione politica degli Stati d’Europa. Nell’Impero romano, invece, il processo fu esattamente l’opposto. Infatti, la progressiva unificazione politica delle varie nationes avvenne non certo in modo spontaneo, dato che furono le spade delle legioni a raggiungere quest’obiettivo. Dalla Scozia all’Egitto, dal Portogallo alla Siria, milioni di uomini si ritrovarono a convivere sotto le aquile di Roma, accettandone – o subendone – le leggi, gli ordinamenti amministrativi, le divinità, la cultura e, dulcis in fundo, la moneta (l’aureo), che veniva a costituire perciò una delle naturali conseguenze di un’innovazione politica, e non uno dei mezzi per giungervi, com’è invece per l’Unione europea. A mano a mano che i popoli cadevano sotto il controllo dell’Impero, le loro monetazioni nazionali (si possono ricordare, fra le più famose e numismaticamente pregevoli, quelle celtibere, galliche, numidiche, puniche, e, ovviamente, greche) scomparivano e venivano rimpiazzate con quella imperiale.
C’è da dire, però, che le monete romane venivano accettate all’interno dei territori delle varie nationes anche prima della loro conquista, e questo grazie alla varietà dei metalli usati e all’universalmente riconosciuto potere d’acquisto garantito dalla solidità politica ed economica di Roma (basti pensare che un’ingente quantità di monete romane è stata ritrovata verso la fine degli anni Novanta del Novecento nello scavo di un emporio commerciale sulle coste dello Sri Lanka!): una sorta di sistema monetario parallelo, che finì poi per sostituire quello nazionale.
E’, più o meno, ciò che è accaduto fra gennaio e febbraio 2002, quando le valute nazionali dei Paesi aderenti all’eurosistema sono coesistite con la nuova moneta, per essere poi dismesse.

In realtà, nell’ambito dell’organizzazione monetaria imperiale, il quadro non risultava così rigido come quello previsto dall’Uem. Infatti, a causa della grave insufficienza della coniazione ufficiale al cospetto della necessità di denaro circolante nei territori di Roma in generale, e per il rispetto delle antiche e importanti tradizioni politiche e culturali di quelli della “pars orientalis”, durante i primi tre secoli dell’Impero (ovvero fino ad Aureliano, che governò dal 270 al 275 dopo Cristo) fu concesso a molti municipi, colonie e altre ripartizioni amministrative dell’Oriente di continuare a battere moneta in proprio, sia in argento sia in bronzo, e, in più, secondo tipologie valutarie caratteristiche di quei territori e diverse da quelle ufficiali di Roma. Le comunità di Tiro in Fenicia, Antiochia e Seleucia in Siria, Cesarea in Cappadocia, Tiberiade in Galilea, Alessandria d’Egitto, Sardi in Lidia, Samosata in Commagene, tanto per citare solo alcune fra le moltissime, coniavano in argento emidracme, dracme, didracme, tetradracme, cistofori, oltre a una serie imprecisata di monete di bronzo, pressoché tutte caratterizzate dalle legende in greco. Questa concessione del potere imperiale, che a prima vista potrebbe sembrare un riconoscimento anche politico di una certa autonomia di questi centri e il segno di una minore autorità di Roma nei suoi territori orientali, non deve però trarre in inganno: sul diritto di ogni moneta coniata, infatti, campeggiava sempre l’effige dell’imperatore regnante, e la scritta in greco intorno al suo profilo (come quelle in latino della produzione “ufficiale”) esprimeva il suo nome e la sua titolatura, monito sotto gli occhi di tutti a non dimenticare che Roma, e solo Roma, era l’unica signora del mondo.
Riconnettendoci a quest’ultimo argomento, veniamo ora a un particolare di non secondaria importanza della moneta: l’iconografia. Anche sotto questo aspetto, può essere interessante sottolineare le differenze fra la monetazione circolante nei territori dell’Impero romano e quella che caratterizza i Paesi aderenti all’euro: differenze riconducibili anche questa volta alla diversa concezione politica dei rispettivi organismi. In un’unione forzatamente realizzata come quella dell’Impero, infatti, la moneta costituiva un mezzo sottile ma potente e capillare di propaganda. Così, ogni moneta emessa all’interno dello Stato romano (tranne qualche frazione minore di bronzo) presentava sul dritto, con martellante ripetitività, il profilo dell’imperatore in carica nelle sue numerose varianti: a capo nudo, con corona di alloro, con corona radiata, con abito panneggiato o corazzato. In tal modo, passando svariate volte al giorno di mano in mano, una moneta faceva tangibilmente sentire ai suoi fruitori l’onnipresenza del potere imperiale attraverso le effigi del suo augusto rappresentante e della sua casata: madri, sorelle, mogli, figli. I loro lineamenti si imprimevano nelle menti dei sudditi, in un tempo in cui l’immediatezza delle informazioni e delle immagini (tipiche dell’attuale “villaggio globale”) erano solo prerogativa degli dèi. Ma è sul rovescio della moneta che l’abilità e la fantasia degli zecchieri imperiali raggiunsero livelli forse mai eguagliati nella storia della numismatica, soprattutto nei sesterzi che, dato il loro ampio modulo, permettevano agli incisori maggiori possibilità di virtuosismo. Scorrendo elenchi e testi compilativi delle monete imperiali ci troviamo sommersi dalle tematiche più disparate e dalle loro realizzazioni più eclettiche: divinità classiche del pantheon romano (Giove, Ercole, Marte, Apollo...) o quelle di provenienza provinciale (Serapide, Sole Invitto, Iside, Elagabal...); allegorie di entità astratte (innumerevoli, queste: dalle figure del Genio, della Vittoria, della Dea Roma, fino alla Felicità, alla Salute, al Valore...), tutte sempre in connessione con la figura imperiale; personificazioni di luoghi geografici (come province, città, fiumi, ecc.); eventi militari, politici o amministrativi condotti dall’imperatore, compresi atti di liberalità (remissione di debiti, costruzioni di edifici pubblici, ecc.).
In sostanza, tutte queste immagini costituivano un altro penetrante segno dell’affermazione del messaggio culturale di Roma, una serie di autentici manifesti con cui l’Urbe ora affermava e imponeva ai sudditi le proprie tradizioni, ora si faceva ricettrice delle tradizioni delle diverse nationes a lei soggette, catalizzandole e facendole proprie all’interno dell’unità dell’Impero.
Per ciò che concerne l’iconografia adottata sulle banconote e monete metalliche dell’euro, invece, si può dire che essa è improntata a un altrettanto forte valore simbolico, caratterizzato però da presupposti politici diversi. Al contrario dell’iconografia romana, infatti, che aveva come obiettivi primari da una parte quello di inculcare l’idea della supremazia di Roma nei popoli soggetti, e dall’altra quello di contribuire a creare uno strato culturale comune in cui questi potessero riconoscersi, l’iconografia europea non ha né il compito di legittimare la supremazia di un Paese sopra gli altri, visto che tutti gli Stati aderenti all’eurosistema godono di pari diritti, né quello di creare un’identità culturale comune, poiché questa già esiste: è l’identità culturale europea, appartenente a tutti gli Stati in questione e che si è venuta consolidando (proprio a partire dal comune substrato culturale creato dall’antica Roma) nel corso di 1500 anni di crescita. Ed è proprio su questo patrimonio culturale comune che l’iconografia dell’euro insiste. Per i sette tagli delle banconote, per esempio, sono stati scelti soggetti che celebrano gli stili architettonici di altrettante epoche della storia artistica europea: classica, romanica, gotica, rinascimentale, barocca e rococò, del ferro e del vetro, del XX secolo. I soggetti sono incentrati su tre principali elementi architettonici: le finestre e i portali (sul dritto), che simboleggiano lo spirito di apertura e cooperazione che anima i Paesi europei; i ponti (sul rovescio) che simboleggiano la comunicazione fra i popoli europei, come pure fra l’Europa e il resto del mondo.

Invece, per gli otto valori metallici, prodotti dalle zecche di Stato dei Paesi appartenenti all’eurosistema, mentre il dritto ha un’iconografia comune legata al valore espresso dalla moneta, il rovescio raffigura uno o più simboli collegati alle diverse identità nazionali. In sostanza, dunque, a differenza dell’iconografia imperiale, quella dell’euro reca un messaggio di pace e collaborazione, non di egemonia e prevaricazione.
Infine, le zecche. In questo caso il parallelismo fra Impero romano e Paesi appartenenti all’eurosistema appare davvero stretto. Com’è noto, infatti, sotto la supervisione della Banca centrale europea, situata a Francoforte sul Meno, le banconote e le monete dell’euro che circolano in Europa sono rispettivamente stampate da dodici officine cartevalori e coniate da altrettante zecche di Stato, situate ovviamente all’interno di ogni singolo Paese. Anche per l’Impero romano le zecche ufficiali erano numerose, anzi erano assai di più di quelle dell’eurosistema: inizialmente, infatti, vi era una sola zecca che provvedeva alle emissioni monetarie, vale a dire quella della stessa Urbe (che in origine era situata presso il tempio di Giunone Moneta, ossia Giunone Ammonitrice, epiteto che in seguito passò ad indicare in senso traslato la zecca stessa, e, per ultimo, il prodotto in essa allestito). Quando però, successivamente, l’espansione territoriale dello Stato arrivò ben oltre i confini della penisola italica, fu necessario procedere all’apertura di altre zecche succursali dislocate nelle maggiori città dell’Impero. Malgrado questo, in alcuni casi neanche tale soluzione fu sufficiente, vista la concessione data a molte colonie e città provinciali di provvedere a una propria monetazione.
A differenza, però, della moderna produzione metallica in euro, dove la zecca di produzione si evince dall’iconografia del soggetto sul rovescio, sulle monete imperiali la menzione della zecca di produzione appariva, anche se non sempre, abbreviata nella parte inferiore del dritto. Trenta sono le zecche a noi note dalle monete: fra queste si possono ricordare Antiochia, Alessandria d’Egitto, Costantinopoli, Milano, Londra, Salonicco, Cartagine.
Possiamo senz’altro affermare, a questo punto, che – pur con motivi differenti – la moneta in sé rivestiva e riveste un compito fondamentale quale coagulante e vettore politico all’interno dei due apparati, imperiale ed europeo. Ma per Roma la moneta unica costituì la naturale e diretta conseguenza di uno status politico ben stabilito e stabile: venuto a mancare questo, anche la forza e il significato della moneta unica svanirono. Per i dodici Paesi aderenti all’eurosistema, e per tutti quelli che - lo speriamo ardentemente - vi aderiranno in seguito, la moneta unica deve essere lo strumento sperimentale attraverso il quale arrivare spontaneamente a comprendere che un’unità politica di intenti è l’unica risposta a molti dubbi, l’unica speranza per una vera crescita comune. E, in questi tempi purtroppo calamitosi, anche una flebile fiammella può illuminare come una fiaccola.

   
   
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