Giugno 2002

CHE MONDO FARÀ

Indietro
Global-ottimisti
Silvia Bartolini  
 
 

 

 

Per tutti
è un fenomeno inarrestabile, una fatale evoluzione storica, al
momento attuale
di difficile
comprensione
e di altrettanto
difficile
governabilità.

 

Leggendo i sondaggi statistici e le analisi qualitative sulla globalizzazione, si possono visualizzare il piccolo imprenditore friulano che già lavora con mezzo mondo, ma ha una gran paura di perdere la sua vecchia osteria (che oggi serve grappe da 150 euro), sostituita da un fast food; o il ragazzo pugliese che simpatizza col popolo di Seattle e con i “left behind”, i lasciati indietro del mondo globale in Africa e in Sudamerica; o il giovane sardo che ha messo su una pensione per vacanze lunghe (nel senso che riguardano tre stagioni all’anno), e che fa parte del gruppo di italiani più globalizzati, perché vive, lavora e comunica con Internet; o la mamma che non sa inviare neanche un “sms”, ma vede la figlia al computer e la immagina, appena cresciuta e diplomata, fare chissà che cosa a Los Angeles o a Londra. Tutti personaggi con un elemento in comune: dalla globalizzazione non possono più scappare, lo sanno molto bene, e un po’ ne vedono i vantaggi, un po’ la temono.
La maggioranza (il 69 per cento) è comunque ottimista. Il 47 per cento degli intervistati giudica la globalizzazione un fenomeno “molto positivo”, il 22 per cento “abbastanza positivo”; il 15 per cento, invece, “molto negativo”. Il 53 per cento pensa che sarà un vantaggio per l’Italia, mentre il 25 per cento lo vede come uno svantaggio. Il 22 per cento non sa. Nessuno ha un punto di vista monolitico. Gli italiani interpellati, secondo una ricerca, vedono la globalizzazione “in modo controverso”. Con sentimenti positivi (verso la circolazione di persone, informazioni, merci e tecnologie), mescolati a disagio (per la paura di perdere l’identità culturale, per l’impoverimento in atto di una parte dell’umanità). Per tutti è “un fenomeno inarrestabile”, “una fatale evoluzione storica”, al momento di difficilissima comprensione e di altrettanto difficile governabilità. In altre parole, la pensano esattamente come gli esperti di globalizzazione.

Brutto Mcmondo. Il Big Mac, panino venduto uguale in tutto il mondo, è ormai un’unità di valutazione economica. E’ “mondo McDonald”: è la prima immagine che viene in mente a uomini e donne intervistati, età tra i 15 e i 44 anni, cultura media e medioalta (il concetto è ancora ostico per molti altri). Un Mcmondo di panini pragmaticamente apprezzabili (“si risparmiano tempo, denaro e anche emozioni”), e tuttavia “non gratificante e non entusiasmante”. Visto come un pericolo dal 35 per cento delle persone ascoltate, non soltanto sul piano alimentare. Un terzo degli intervistati indica come primo svantaggio della globalizzazione per l’Italia “distacco dalle tradizioni”, “perdita dell’identità nazionale”, “perdita della cultura”, “uniformazione del pensiero”. Succede più spesso dove l’economia va più veloce, l’innovazione tecnologica anche, i consumi ancora di più. Nel Nord-Est il 63 per cento pensa che “la globalizzazione favorisce il distacco dalla cultura locale”; nel Sud, dove l’Italia cambia meno, lo dicono soltanto 36 su cento. I milanesi si preoccupano per le sorti dell’artigianato e dei prodotti locali. Citano la normativa europea sulla cioccolata (ora si può fare con i surrogati) come esempio di disastro della cultura materiale e del gusto; produce “penalizzazione e perdita della vera qualità”, causa “interessi dei grandi gruppi industriali euro-americani”.

Galassia Ikea. Però c’è Ikea, mobili e oggetti venduti uguali in tutto il mondo occidentale. Ma “hanno prezzi competitivi”, sono di “qualità accettabile”, risultano “un vero servizio al consumatore”. Conclusione: è necessario “garantire la sopravvivenza dei prodotti locali e degli artigiani”. Magari da globalizzare un poco. E sono prodotti presenti sia al Nord che al Sud, tutti di qualità e di design eccellenti. Su questo, gli intervistati sono ottimisti. Il 69 per cento ritiene che la globalizzazione avrà un effetto positivo sull’economia, il 68 per cento sull’occupazione. Tra i possibili vantaggi per il nostro Paese, il primo indicato è quello economico, al 35 per cento. Causa “scambi e ampliamento commerciale”, “inserimento nel panorama economico mondiale”, “ripresa economica”, “opportunità di mercato”.
Tra i vantaggi occupazionali per tutto il mondo, gli intervistati vedono la possibilità di “cercare lavoro là dove si offre”; o anche di “adattarsi a sistemi lavorativi universali”: “In Asia le donne imparano a lavorare in fabbriche moderne, con macchine moderne, e questo le rende potenzialmente più libere”.

L’emigrazione. Ogni intervistato è potenzialmente in grado di emigrare per cercare lavori migliori. Per quanto l’inserimento degli immigrati crei problemi secondo quasi tutti, soltanto il 3 per cento vede “la maggiore immigrazione” come uno svantaggio della globalizzazione. Qualcuno si azzarda a dire che gli immigrati “portano linfa vitale” nelle società europee. E molti vedono “nuove opportunità per i figli” di studiare e lavorare all’estero e “allargare i propri orizzonti esistenziali”.

Tuttoweb. I global-ottimisti sono molto più numerosi tra chi usa Internet che tra i mai collegati. Il 78 per cento sull’occupazione (contro il 59 per cento dei “non-users”), il 76 per cento sull’economia (contro il 62 per cento), il 74 per cento sull’istruzione (contro il 55 per cento), e il 66 per cento sul benessere delle famiglie. Mentre tra chi non usa Internet un buon 56 per cento ha paura che danneggi il suo tenore di vita. In ogni caso, il Web viene considerato “il protagonista della cultura globale” e l’elemento più amato della globalizzazione. Perché “fa tenere in contatto con ogni angolo del mondo in un baleno” e per l’enorme disponibilità di informazioni. Però “nei media nazionali di globalizzazione non ce n’è abbastanza”, perciò si chiede «più attenzione alla globalità del nostro pianeta».

Varia. La globalizzazione potrebbe avere effetti positivi sulla politica per il 65 per cento degli intervistati. Forse in futuro, correggono alcuni. Per costoro, i politici italiani “fanno poco per aprirsi alle prospettive globali”, sono “provinciali”, e “d’altro lato fanno poco per difendere le nostre unicità e i nostri valori dall’attacco politico-economico delle multinazionali”. In più, abbiamo “un sistema scolastico vecchio, demotivato, deficitario”, molto poco global.
Ancora più pessimistiche le risposte su globalizzazione e Terzo Mondo. Quasi tutti vedono “uno scenario senza soluzione”, con “i Paesi poveri sempre più poveri, perché incapaci di un’evoluzione socio-culturale ed economica”. Qui la globalizzazione è “un meccanismo che penalizza i più deboli”; e per questo “non si prevede un avvenire sicuro”, al contrario. A pensarci sono soprattutto le donne. Meno convinte dei vantaggi della globalizzazione (65 per cento) rispetto agli uomini (74 per cento). In compenso, gli ottimisti arrivano al 73 per cento tra i ragazzi e le ragazze tra i diciotto e i ventiquattro anni. Quelli che potrebbero essere maggioranza nel gran calderone dei no-global. Ma essere ottimisti ed essere preoccupati, sulla globalizzazione, non è un fenomeno contraddittorio. E’ essere già cittadini del mondo globale, fenomeno in atto.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000