Per tutti
è un fenomeno inarrestabile, una fatale evoluzione storica,
al
momento attuale
di difficile
comprensione
e di altrettanto
difficile
governabilità.
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Leggendo i sondaggi statistici e le analisi qualitative sulla globalizzazione,
si possono visualizzare il piccolo imprenditore friulano che già
lavora con mezzo mondo, ma ha una gran paura di perdere la sua vecchia
osteria (che oggi serve grappe da 150 euro), sostituita da un fast
food; o il ragazzo pugliese che simpatizza col popolo di Seattle
e con i left behind, i lasciati indietro del mondo globale
in Africa e in Sudamerica; o il giovane sardo che ha messo su una
pensione per vacanze lunghe (nel senso che riguardano tre stagioni
allanno), e che fa parte del gruppo di italiani più
globalizzati, perché vive, lavora e comunica con Internet;
o la mamma che non sa inviare neanche un sms, ma vede
la figlia al computer e la immagina, appena cresciuta e diplomata,
fare chissà che cosa a Los Angeles o a Londra. Tutti personaggi
con un elemento in comune: dalla globalizzazione non possono più
scappare, lo sanno molto bene, e un po ne vedono i vantaggi,
un po la temono.
La maggioranza (il 69 per cento) è comunque ottimista. Il
47 per cento degli intervistati giudica la globalizzazione un fenomeno
molto positivo, il 22 per cento abbastanza positivo;
il 15 per cento, invece, molto negativo. Il 53 per cento
pensa che sarà un vantaggio per lItalia, mentre il
25 per cento lo vede come uno svantaggio. Il 22 per cento non sa.
Nessuno ha un punto di vista monolitico. Gli italiani interpellati,
secondo una ricerca, vedono la globalizzazione in modo controverso.
Con sentimenti positivi (verso la circolazione di persone, informazioni,
merci e tecnologie), mescolati a disagio (per la paura di perdere
lidentità culturale, per limpoverimento in atto
di una parte dellumanità). Per tutti è un
fenomeno inarrestabile, una fatale evoluzione storica,
al momento di difficilissima comprensione e di altrettanto difficile
governabilità. In altre parole, la pensano esattamente come
gli esperti di globalizzazione.
Brutto Mcmondo. Il Big Mac, panino venduto uguale in tutto il mondo,
è ormai ununità di valutazione economica. E
mondo McDonald: è la prima immagine che viene
in mente a uomini e donne intervistati, età tra i 15 e i
44 anni, cultura media e medioalta (il concetto è ancora
ostico per molti altri). Un Mcmondo di panini pragmaticamente apprezzabili
(si risparmiano tempo, denaro e anche emozioni), e tuttavia
non gratificante e non entusiasmante. Visto come un
pericolo dal 35 per cento delle persone ascoltate, non soltanto
sul piano alimentare. Un terzo degli intervistati indica come primo
svantaggio della globalizzazione per lItalia distacco
dalle tradizioni, perdita dellidentità
nazionale, perdita della cultura, uniformazione
del pensiero. Succede più spesso dove leconomia
va più veloce, linnovazione tecnologica anche, i consumi
ancora di più. Nel Nord-Est il 63 per cento pensa che la
globalizzazione favorisce il distacco dalla cultura locale;
nel Sud, dove lItalia cambia meno, lo dicono soltanto 36 su
cento. I milanesi si preoccupano per le sorti dellartigianato
e dei prodotti locali. Citano la normativa europea sulla cioccolata
(ora si può fare con i surrogati) come esempio di disastro
della cultura materiale e del gusto; produce penalizzazione
e perdita della vera qualità, causa interessi
dei grandi gruppi industriali euro-americani.
Galassia Ikea. Però cè Ikea, mobili e oggetti
venduti uguali in tutto il mondo occidentale. Ma hanno prezzi
competitivi, sono di qualità accettabile,
risultano un vero servizio al consumatore. Conclusione:
è necessario garantire la sopravvivenza dei prodotti
locali e degli artigiani. Magari da globalizzare un poco.
E sono prodotti presenti sia al Nord che al Sud, tutti di qualità
e di design eccellenti. Su questo, gli intervistati sono ottimisti.
Il 69 per cento ritiene che la globalizzazione avrà un effetto
positivo sulleconomia, il 68 per cento sulloccupazione.
Tra i possibili vantaggi per il nostro Paese, il primo indicato
è quello economico, al 35 per cento. Causa scambi e
ampliamento commerciale, inserimento nel panorama economico
mondiale, ripresa economica, opportunità
di mercato.
Tra i vantaggi occupazionali per tutto il mondo, gli intervistati
vedono la possibilità di cercare lavoro là dove
si offre; o anche di adattarsi a sistemi lavorativi
universali: In Asia le donne imparano a lavorare in
fabbriche moderne, con macchine moderne, e questo le rende potenzialmente
più libere.
Lemigrazione. Ogni intervistato è potenzialmente in
grado di emigrare per cercare lavori migliori. Per quanto linserimento
degli immigrati crei problemi secondo quasi tutti, soltanto il 3
per cento vede la maggiore immigrazione come uno svantaggio
della globalizzazione. Qualcuno si azzarda a dire che gli immigrati
portano linfa vitale nelle società europee. E
molti vedono nuove opportunità per i figli di
studiare e lavorare allestero e allargare i propri orizzonti
esistenziali.
Tuttoweb. I global-ottimisti sono molto più numerosi tra
chi usa Internet che tra i mai collegati. Il 78 per cento sulloccupazione
(contro il 59 per cento dei non-users), il 76 per cento
sulleconomia (contro il 62 per cento), il 74 per cento sullistruzione
(contro il 55 per cento), e il 66 per cento sul benessere delle
famiglie. Mentre tra chi non usa Internet un buon 56 per cento ha
paura che danneggi il suo tenore di vita. In ogni caso, il Web viene
considerato il protagonista della cultura globale e
lelemento più amato della globalizzazione. Perché
fa tenere in contatto con ogni angolo del mondo in un baleno
e per lenorme disponibilità di informazioni. Però
nei media nazionali di globalizzazione non ce nè
abbastanza, perciò si chiede «più attenzione
alla globalità del nostro pianeta».
Varia. La globalizzazione potrebbe avere effetti positivi sulla
politica per il 65 per cento degli intervistati. Forse in futuro,
correggono alcuni. Per costoro, i politici italiani fanno
poco per aprirsi alle prospettive globali, sono provinciali,
e daltro lato fanno poco per difendere le nostre unicità
e i nostri valori dallattacco politico-economico delle multinazionali.
In più, abbiamo un sistema scolastico vecchio, demotivato,
deficitario, molto poco global.
Ancora più pessimistiche le risposte su globalizzazione e
Terzo Mondo. Quasi tutti vedono uno scenario senza soluzione,
con i Paesi poveri sempre più poveri, perché
incapaci di unevoluzione socio-culturale ed economica.
Qui la globalizzazione è un meccanismo che penalizza
i più deboli; e per questo non si prevede un
avvenire sicuro, al contrario. A pensarci sono soprattutto
le donne. Meno convinte dei vantaggi della globalizzazione (65 per
cento) rispetto agli uomini (74 per cento). In compenso, gli ottimisti
arrivano al 73 per cento tra i ragazzi e le ragazze tra i diciotto
e i ventiquattro anni. Quelli che potrebbero essere maggioranza
nel gran calderone dei no-global. Ma essere ottimisti ed essere
preoccupati, sulla globalizzazione, non è un fenomeno contraddittorio.
E essere già cittadini del mondo globale, fenomeno
in atto.
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