Far credere che basti un manipolo di esaltati
integralisti per mettere in crisi
leconomia
mondiale è
una tesi letteraria intrigante, ma
è dannosa e,
soprattutto, falsa.
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Lesercizio è piuttosto difficile, ma possiamo provare
ugualmente a farlo. Dobbiamo riportarci ai primi di settembre 2001,
quando si disquisiva sullentità del rallentamento delleconomia
americana e degli effetti che avrebbe determinato per leconomia
europea. Si facevano diverse ipotesi che, con un linguaggio singolare,
venivano individuate come una V, per significare una
caduta magari anche accentuata ma seguita da una sollecita ripresa,
una U, per dire di una fase di ristagno più prolungata,
di una W, per indicare una doppia caduta e ripresa,
questultima di medio-lunga durata, o di una L,
per rappresentare lo scenario di una lunga stagnazione, di una crisi
che avrebbe potuto essere più accentuata, e di una ripresa
conseguentemente più remota. Non veniva esclusa leventualità
che nella dinamica del Pil comparisse il segno negativo, e già
si andava agitando lirrilevante questione lessicale inerente
alla circostanza che, se fosse comparso per due trimestri consecutivi,
si sarebbe potuto parlare di recessione.
Dopo che questi argomenti erano stati approfonditi, dopo che erano
state formulate queste ipotesi, e ripetiamo ancora
dopo che una flessione del Pil americano era stata inserita nellorizzonte
del possibile, il mondo è stato scosso dallaggressione
terroristica dell11 settembre. Linusitata portata di
quegli avvenimenti ha indotto e ancora induce a farne il riferimento
di ogni evento successivo, con tutta lenfatizzazione che deriva
dalla potenza del colpo inferto a certezze ritenute solide e inattaccabili.
Si può capire che sotto quel colpo siano cadute certezze
politiche, nellaccezione che deriva da polis, quindi certezze
che attengono allorganizzazione della comunità, alle
sue relazioni interne, alle sue logiche di funzionamento, al modo
di viverci; si può capire che siano cadute certezze sulla
forza della razionalità economica come unico paradigma di
quei processi che vanno sotto il nome di globalizzazione; si possono
capire questi aspetti, anche se occorrerebbe chiedersi quanto dellintensità
di queste reazioni è prodotto dalla inclinazione mediatica
a porre accenti sempre più marcati solo sugli aspetti più
eclatanti malgrado la realtà che li comprende rimanga fatta
anche, e spesso soprattutto, di quotidianità, di abitudini,
di ripetitività; di inerzie che talvolta condanniamo come
fattori di sclerotizzazione, ma talaltra dobbiamo apprezzare come
elementi di resistenza allurto delle forze che tendono a scardinarla.
Ecco, allora, lesercizio: quanto è stata scardinata
leconomia dagli eventi dell11 settembre? Qui parliamo
di dati e di fatti oggettivi, non di reazioni psicologiche, di timori,
di eventualità. Ebbene, i dati sono negativi, ovviamente,
ma lontani dal catastrofismo col quale sono stati riferiti o raccontati.
Quelli più generali rientrano, o possono rientrare, nelle
ipotesi sia pure le più pessimistiche, che si andavano facendo
prima dell11 settembre. Se il dato sul Pil trimestrale è
stato il peggiore da ben dieci anni, è a motivo della eccezionalità
del ciclo di crescita, appunto decennale, che leconomia americana
ha vissuto. Una contrazione dei consumi a beneficio di una ripresa
del risparmio era implicita nel forte indebitamento netto che le
famiglie americane avevano raggiunto e che veniva visto come un
fattore di grande fragilità nella pur florida condizione
delleconomia americana degli ultimi anni. E ancora: sono stati
distrutti 400 mila posti di lavoro; sono stati tanti, certo, ma
questo dato va confrontato con quello di oltre 600 mila che, sempre
per quella tendenza alla drammatizzazione, gli analisti avevano
previsto lungo la linea di tendenza chiaramente prospettata fin
dai mesi precedenti.
Se si compie questo esercizio, si può concludere che lattacco
terroristico può avere accelerato, ma non determinato, e,
forse, neppure accentuato una virata degli indicatori economici
che era stata prevista, era cominciata ben prima dell11 settembre,
e per alcuni aspetti era stata anche auspicata come necessaria a
consolidare lintero assetto economico e finanziario degli
Stati Uniti. Leffetto maggiore gli attacchi terroristici lo
hanno determinato modificando la composizione della domanda interna:
la domanda pubblica è dovuta intervenire per compensare la
contrazione di quella privata, e allinterno di questultima
si sono verificati massicci spostamenti da alcuni settori ad altri
che sono in espansione, ma proprio per questo non fanno notizia.
Peraltro, gran parte della domanda privata venuta a mancare è
dovuta, secondo molti analisti, soltanto alla costernazione che
ha portato a soprassedere, con effetto chiaramente temporaneo, su
molti programmi di spesa che, come in tutti i sistemi evoluti e
agiati, sono procrastinabili senza grande sacrificio, riguardando
beni non essenziali.
Una corretta individuazione delle cause di ciò che è
accaduto è importante perché lintera economia
della maggiore potenza economica ora è governata più
dagli atteggiamenti psicologici che dai calcoli economici. Diventa
allora importante distinguere tra ciò che deriva dalla fisiologia
di un sistema economico cresciuto per dieci anni a ritmi inusitati,
accumulando tensioni e squilibri che dovevano essere comunque risolti,
dalla patologia delle aggressioni terroristiche. Fare confusione
complica tremendamente le cose, rende più difficile una ripresa
e può allontanarla nel tempo. Far credere che basti un manipolo
di esaltati integralisti per mettere in crisi leconomia mondiale
e modificare il modo di vivere di centinaia di milioni di persone
è una tesi letteraria che può anche essere intrigante,
ma è dannosa, moltiplica i problemi, e, soprattutto, è
falsa.
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