Niente può
difendere
la convivenza tra
i popoli più
della loro ampia
partecipazione,
attraverso gli scambi, alla
crescita economica e al progresso
civile.
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Globalizzazione è parola moderna e molto in
voga. Ma lideale che esprime non è nuovo: appartiene
alla storia stessa dellumanità. Sta nellaspirazione
delle primordiali comunità ad ampliare il proprio territorio
alla ricerca di terre più fertili da coltivare e di una più
ricca selvaggina da cacciare. Sta nelle spinte delle prime civiltà
a estendere ad altre le proprie regole di convivenza, la propria
cultura, la propria religione. Al desiderio e allambizione
di unificare il mondo possiamo ricondurre molteplici vicende che
hanno segnato il corso dei secoli. Vi appartengono, per esempio,
i caratteri dellespansione romana, la propagazione del Cristianesimo,
e, poi, dellIslam, lesperimento di unificazione dellEuropa
di Carlo Magno, la curiosità per lignoto che ha ispirato
le grandi esplorazioni, i valori civili propugnati dalla Rivoluzione
francese, la formazione dei grandi Imperi coloniali, linternazionalismo
della lotta di classe preconizzato da Karl Marx.
Nella tensione alla globalità che ha ispirato vicende così
diverse, cè forse unalmeno parziale risposta
alla domanda essenziale con la quale Leone Tolstoj chiudeva
Guerra e Pace allorché si chiedeva «qual è la
forza che muove i popoli». E, tuttavia, lideale della
globalità così connaturato allo spirito delluomo
si è sempre manifestato (prima e dopo la tragica esperienza
napoleonica in Russia) attraverso la logica della conquista e del
predominio. Conquista politica, economica, religiosa, ideologica.
Così è stato fino ad un recente passato, fino a quando
i 57 milioni di morti della seconda guerra mondiale non hanno cominciato
a incrinare quella logica e i calcinacci del Muro di Berlino non
lhanno seppellita speriamo per sempre nel 1989.
Sono dellidea che niente può permettere di difendere
la convivenza tra i popoli più della loro ampia partecipazione,
attraverso gli scambi, alla crescita economica e al progresso civile.
«Dove passano le merci non passano i soldati». Con questo
intendimento a Bretton Woods furono poste nel 44 le basi delle
nuove istituzioni economiche internazionali (il Fondo monetario
e la Banca mondiale); gli Stati Uniti erogarono allEuropa,
tra il 48 e il 52, gli aiuti del Piano Marshall; lAccordo
generale sulle tariffe e sul commercio avviò nel 48
la liberalizzazione dei commerci; lEuropa, a partire dallistituzione
nel 51 della Comunità del Carbone e dellAcciaio,
intraprese il suo cammino di unificazione.
Della necessità di una rinnovata governance internazionale
si discute da tempo, e senza molto costrutto, per la verità;
credo tuttavia che si possa dire che tra gli effetti inattesi e
positivamente sorprendenti dei drammatici eventi dell11 settembre
vi sono importanti segnali. Segnali non di allentamento o arretramento,
ma di rafforzamento della volontà di perseguire lintegrazione
e di coordinarla più efficacemente. Essi riguardano, da un
lato, la gestione delleconomia, e, dallaltro, la politica
internazionale.
Allindomani degli attentati terroristici negli Stati Uniti,
da più parti era stato espresso il timore che linsicurezza
generata da un mondo divenuto improvvisamente ostile potesse invertire
il processo di integrazione pacifica che aveva segnato in particolare
gli anni Novanta. Si è temuto che la comunità economica
globale potesse disperdersi e cadere vittima di una sindrome
delleremita intesa a ridurre ogni rischio o impegno
esterno. In effetti, così è stato, ma non a lungo.
E ciò per le risposte che la politica economica ha saputo
dare alla crisi.
Per la prima volta abbiamo assistito allattivazione rapida,
globale e coordinata delle grandi autorità monetarie mondiali.
Federal Reserve, Banca centrale europea, Banca dInghilterra.
Anche le politiche di bilancio si sono mosse, certo non con la stessa
incisività, la stessa omogeneità, la stessa rapidità.
Gli Usa hanno potuto far leva sui margini di surplus di bilancio.
LEuropa, che questo surplus non lha, di fatto ha procrastinato
lavvicinamento al pareggio di bilancio. Ciascun Paese ha sfruttato
secondo le sue necessità il limite massimo di deficit consentito
dal Patto di stabilità. Nel loro complesso, le politiche
economiche hanno comunque arginato i timori di collasso di breve
termine delle economie. Ancora non abbiamo certezze su quel che
potrà avvenire nei prossimi sei o nove mesi. Ma uno sguardo
più lungo non può non cogliere caratteri
incoraggianti.
Elementi di giudizio ancora più incoraggianti vengono da
un altro versante, quello della risposta politica agli eventi dell11
settembre. E su questo terreno, soprattutto, che sono maturate
scelte che ci fanno parlare di uninattesa ripresa della capacità
di governance mondiale. Quel che è divenuto chiaro a tutti,
dopo l11 settembre, è che non può esistere salvaguardia
nazionale senza cooperazione internazionale, in tutti i campi. In
questa prospettiva abbiamo visto per esempio lAmministrazione
americana modificare radicalmente le sue posizioni in materia di
controllo sui mercati finanziari e di contrasto ai paradisi fiscali.
Abbiamo visto chiudersi in tempi strettissimi la trattativa di partnership
strategica fra gli Usa e il Pakistan, con accordi economici che
sono ora materia di negoziato anche con altri Paesi dellarea
asiatica. Abbiamo visto finalmente la Cina entrare nellOrganizzazione
mondiale del commercio.
Abbiamo visto compiere a Doha passi decisivi per garantire lapertura
dei commerci globali e per stabilire una rinnovata fiducia fra il
Nord e il Sud del mondo. I Paesi più ricchi si sono detti
finalmente disponibili ad abbassare le barriere protezionistiche,
specie nel tessile e nellagricoltura, che costano ai Paesi
in via di sviluppo assai più di quanto ricevano in aiuti
internazionali. Occorre superare lipocrisia di chi incoraggia
i Paesi poveri ad aprirsi e adeguarsi al libero commercio, e, al
tempo stesso, nega gli accessi al proprio mercato interno. A Doha
è stato anche riconosciuto il principio che la tutela della
salute pubblica prevale sulla tutela dei brevetti, permettendo così
ai Paesi in via di sviluppo di beneficiare di farmaci indispensabili
e finora inaccessibili.
Sul piano delle relazioni internazionali, poi, i fatti dell11
settembre hanno mostrato per la prima volta che Mosca, Washington
e Pechino possono essere schierate insieme dalla stessa parte. E
non solo per unassociazione oggi tattica, ma anche in vista
di un possibile nuovo ordine mondiale. Il temuto scenario anti-globale
di un Occidente contrapposto al resto del mondo sembra svanito.
I ragazzi che oggi hanno tra i 14 e i 26 anni sono circa un miliardo
e mezzo. Mai nella storia tante persone si sono trovate contemporaneamente
negli anni più fecondi della vita. In questo miliardo e mezzo
di giovani ci sono enormi potenzialità di intelligenza e
di creatività. Ma per buona parte essi vivono nel Terzo o
nel Quarto Mondo. Per questo, le loro potenzialità rischiano
di andare sprecate, di non trasformarsi in maggiore benessere e
migliore qualità della vita per loro e per i loro Paesi.
E una questione che ci interessa tutti, per ragioni che vanno
anche al di là delle mere considerazioni economiche, sollevando
grandi problemi di natura politica, sociale ed etica. E una
questione che, per la sua dimensione, richiede un grande sforzo
internazionale di cooperazione e di finanziamento di specifici progetti
di sviluppo. Progetti che puntino alla realizzazione delle infrastrutture
indispensabili per permettere alle popolazioni del Sud del mondo
laccesso alle risorse di base, cibo e acqua innanzitutto.
Progetti che garantiscano ai giovani adeguate opportunità
di formazione, il modo migliore per contrastare il lavoro minorile.
Progetti che facilitino il credito per aiutare la nascita e lo sviluppo
di iniziative imprenditoriali.
A tutto ciò le istituzioni internazionali e i governi dei
Paesi più sviluppati dovranno dedicare maggiori risorse di
quanto non sia stato fatto finora. Risorse da allocare, con grande
trasparenza, là dove più forti sono le garanzie di
rispetto della legge e dei diritti umani. Risorse il cui impiego
deve poter essere sempre controllato da quanti in ultima
istanza, i cittadini dei Paesi più sviluppati le mettono
a disposizione.
Guardando al futuro, emerge anche unaltra grande sfida: il
dialogo fra le diverse civiltà mondiali.
Quel che le vicende terroristiche degli ultimi tempi hanno reso
ancor più evidente è che la globalizzazione economica
non è quel grande frullatore che omogeneizza le culture e
ne annulla le specificità. Al contrario, esse si mantengono
ben vive e capaci di esercitare un forte senso di identità
sul piano sociale e politico. Cè addirittura chi sostiene
che stiamo assistendo ad una rivincita delle culture tradizionali
rispetto ad un processo di occidentalizzazione e, di conseguenza,
a una crisi dellegemonia occidentale sul piano etico, culturale
e politico. Dopo il crollo delle ideologie, saremmo, insomma, al
conflitto tra le civiltà.
LEuropa ha in sé le virtù per essere un elemento
di equilibrio nel mondo. A cominciare da ciò che può
fare per agevolare lingresso della Russia e dei Paesi dellEst
nello spazio economico occidentale. Ma per essere veramente fattore
di equilibrio deve essere più solida, più autorevole,
più unita. Deve proseguire nel cammino di integrazione, affermarsi
come soggetto unico, capace di parlare con una sola voce, e con
voce non flebile.
Esiste una forte dialettica sul modo di raggiungere questo obiettivo,
sulle molteplici opzioni degli assetti politici futuri che verranno
discussi nella Commissione. E già un fatto di straordinario
rilievo, tuttavia, che lEuropa si sia data, con ununica
moneta, anche ununica lingua per la sua economia. Siamo arrivati
a questo traguardo attraverso Maastricht. Maastricht ci ha posto
dei vincoli. Dobbiamo considerarli come i tutori di una pianta giovane.
E lItalia? Questa Italia in cui troppo spesso il chiasso delle
dispute sembra lasciare in secondo piano linteresse comune
e limmagine del Paese? LItalia deve recuperare il dialogo
costruttivo con tutte le sue componenti; e deve anche rimanere ben
consapevole che non può fare a meno dellEuropa.
Di certo, nel momento in cui in Europa si confrontano due posizioni,
(luna orientata ad una sempre maggiore unificazione politica
della Comunità, laltra ad una maggiore salvaguardia
dellautonomia dei singoli Stati), il ruolo dellItalia
può diventare quello dellago della bilancia. Ne discende
una responsabilità strategica. Dalle scelte che il Paese
farà, dipenderà il futuro continentale. E ciò
rende, se possibile, ancora più importante il confronto e
il dialogo fra tutte le persone di buona volontà. In pari
tempo, lEuropa non può fare a meno del nostro Paese,
che è la sua principale finestra sul Mediterraneo.
Unattenta politica mediterranea è stata una costante
di tutti i nostri governi, anche di quello attuale. Certo, il concetto
di Mare Nostrum è ormai confinato negli archivi
della storia antica e meno antica. Ma il Mediterraneo resta un luogo
cardine nellincontro tra civiltà. LItalia vi
può svolgere un ruolo vitale, dimostrando di saper affrontare
con intelligenza e lungimiranza anche i problemi della trasformazione
sociale e demografica delle sponde sud-orientali e delle pressioni
migratorie che essa genera.
La nostra collocazione geografica resta quella di un Paese di frontiera:
non più tra Est e Ovest, ma tra Nord e Sud. Dobbiamo governarla,
facendoci protagonisti di un impegno alla graduale integrazione
nella cultura e nella società europea di Nord Africa, Medio
Oriente, Balcani.
E in questa ampia prospettiva politica che siamo chiamati
per primi ad esercitare concretamente e responsabilmente i princìpi
della solidarietà. Mai, nel corso della storia, si è
data lopportunità così grande di crescere insieme
sul terreno della pacifica cooperazione. Ne esistono tutte le condizioni.
La forte convergenza tra i soggetti politici internazionali, grandi
e piccoli, potenti o meno che siano. La continua diffusione delleconomia
di mercato. La mobilità delle persone e delle idee. La facilità
daccesso alle tecnologie più avanzate, soprattutto
a quelle informatiche.
La consapevolezza della superiorità del metodo democratico
su altri metodi di governo. Per secoli, gli uomini hanno pensato
che un destino diverso da quello altrui attendesse ogni comunità
nazionale. E perché questo destino si avverasse non hanno
esitato ad utilizzare gli strumenti, anche i più cruenti,
della conquista e del predominio. Oggi, la compagine mondiale ha
fatto sua la convinzione che si può percorrere un cammino
comune, nel reciproco rispetto e nella reciproca valorizzazione.
Ha fatto sua la convinzione che esiste un destino comune nel conquistare
insieme laffrancamento da ogni genere di povertà e
privazione materiale e immateriale.
Questa è la grande opportunità della globalizzazione.
Questo è il traguardo per cui val bene spendere tutte le
nostre energie morali e intellettuali.
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