Le cronache di questo periodo
sono piene di cifre sui licenziamenti, ma nessuno pensa mai che
dietro
i numeri ci sono delle facce: facce vecchie e giovani.
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Con un decennio di disoccupazione in calo alle nostre spalle, i
ricordi di che cosa succede davvero durante le recessioni sbiadiscono.
Chi lavora solo da una decina danni, o magari meno, non ha
mai fatto lesperienza di una recessione. Ebbene, è
unesperienza che fa male.
Dopo quarantanni, ricordo ancora quando, ventiduenne, fui
licenziato da un lavoro estivo in una fonderia di rame perché
la domanda di quel metallo era in flessione. Sebbene sul puro terreno
economico il colpo non fosse troppo duro, ogni particolare è
rimasto vivo nella mia mente. Non cera nessun motivo di sentirsi
in imbarazzo, eppure mi vergognavo di dire ai miei genitori che
ero stato licenziato, anche se in quel momento eravamo in tanti
a fare la stessa esperienza.
La cosa fa male anche dallaltra parte del tavolo. Soltanto
chi non lha mai fatto può pensare che licenziare qualcuno
sia facile. Nel mio lavoro di preside al Mit, nulla mi riusciva
più difficile che licenziare. E una cosa che ti tiene
sveglio la notte.
Le cronache di questo periodo sono piene di cifre sui licenziamenti,
ma nessuno pensa mai che dietro i numeri ci sono delle facce. Facce
vecchie e giovani. Padri e madri. Fratelli e sorelle. In termini
più impersonali, la disoccupazione è quello che gli
economisti chiamano un indicatore ritardato. Se il prodotto interno
lordo scende, la disoccupazione salirà, ma ci vorrà
qualche mese. Lintervallo temporale si spiega col fatto che
le imprese rinviano i licenziamenti in attesa di vedere se la flessione
è reale e duratura.
Ciò perché i licenziamenti sono dolorosi e costosi.
Ci sono innumerevoli motivi per evitarli, finché è
possibile. Bisogna provvedere ai pagamenti di fine rapporto, e mettere
in conto più alti costi di formazione in futuro. Gli elementi
qualificati che limpresa ha messo alla porta non saranno lì,
pronti per essere riassunti quando verranno tempi migliori. Il morale
di chi è rimasto ne soffrirà, e si ridurrà
il numero di coloro che sono disposti ad accettare sacrifici personali
per dare una mano allazienda nel momento in cui ne ha bisogno.
Ma cè dellaltro: uno non è costretto ad
aspettare di ritrovarsi vittima della flessione dellattività.
In realtà, accade spesso che i lavoratori migliori puramente
e semplicemente se ne vadano; e fanno bene. Per un lavoratore specializzato
e ambizioso è un vantaggio farsi assumere in unazienda
in crescita, dove le opportunità di avanzamento sono maggiori,
anziché aspettare che il mercato per i prodotti dellimpresa
in cui è correntemente occupato volga al meglio. E fatalmente
il fattore età gioca un ruolo cruciale.
I lavoratori anziani. Per chiunque si trovi espulso involontariamente
dal lavoro a unetà superiore ai 55 anni sarà
difficile trovare un nuovo impiego. Le società sono poco
propense a sopportare i maggiori costi in materia pensionistica
e sanitaria legati ai dipendenti anziani, e preferiscono impegnarsi
a formare lavoratori potenzialmente destinati a rimanere in azienda
per un periodo più lungo. Tra gli anziani, pochissimi troveranno
nuovi posti altrettanto buoni di quelli che hanno perduto. Per la
maggior parte di loro, la carriera è giunta alla fine. Concluderanno
la loro vita lavorativa in una serie di impieghi senza possibilità
di avanzamento.
I lavoratori di mezza età. Per chi ha meno di 55 anni, sarà
meno difficile trovare un nuovo impiego, ma molto probabilmente
ciò avverrà a un livello salariale inferiore. Salvo
il caso dei lavoratori-professionisti, entrare in una nuova azienda
significherà ritrovarsi in fondo alla scala determinata dallanzianità
di servizio. E ciò significherà a sua volta una paga
più bassa e un lavoro meno interessante. E inoltre
molto probabile che le capacità apprese sul campo nella precedente
occupazione si riveleranno inutili, oppure non saranno apprezzate,
nel nuovo ambiente di lavoro. Un lavoratore che perda il posto nel
settore manifatturiero troverà verosimilmente un nuovo impiego
(ammesso che ci riesca) nel settore dei servizi, dove i salari sono
mediamente inferiori di un terzo rispetto a quelli degli operai
di fabbrica. Tutti questi fattori convergono nel senso di una diminuzione
delle retribuzioni.
I lavoratori-professionisti giovani. Gli appartenenti a questo
gruppo hanno le migliori probabilità di trovare un nuovo
impiego con uno stipendio uguale, e magari superiore al vecchio.
Ma anche loro si trovano di fronte a un grosso problema. I potenziali
datori di lavoro sanno probabilmente benissimo che sono stati licenziati
a causa di una flessione generale del mercato, ma rimane sempre
il sospetto che queste persone fossero, ciascuna al proprio livello
di qualifica, tra i dipendenti meno efficienti delle rispettive
aziende.
E importante ricordare che dietro ogni punto percentuale
di aumento della disoccupazione ci sono centinaia di migliaia di
persone che possono raccontare le sofferenze loro inflitte dal rallentamento
delleconomia. Lalgebra di quanti finiranno col ritrovarsi
disoccupati è semplice, e non è necessaria una recessione
(sei mesi di crescita negativa) per causare un incremento considerevole
delle persone inoccupate. Per tradurre dal linguaggio specialistico:
per calcolare quale sarà il livello della disoccupazione
tra un anno, basta sommare il tasso di crescita delle forze di lavoro
al tasso di crescita della produttività, e sottrarre il tasso
di crescita del prodotto; quindi, occorre sommare a queste cifre
il tasso di disoccupazione attuale. Il risultato netto sarà
pari al tasso di disoccupazione dopo un anno.
Ciascuno di noi spera di non rientrare in questa disoccupazione
addizionale. Essere licenziati è molto doloroso. A nessuno
piace venire scartato, sentirsi dire che non cè più
bisogno di lui, qualunque ne sia il motivo. Per chi è stato
licenziato, il punto chiave non è farsi dei rimproveri, ma
conservare la fiducia in se stesso. Quando leconomia rallenta,
è difficile trovare un nuovo lavoro. Sono poche le aziende
che puntano ad aumentare il numero dei loro dipendenti. Molte anzi
congelano le assunzioni. E trovarsi buttati fuori è difficile
da mandar giù.
Ma è importante ricordare che ciò che ha fatto di
te un disoccupato, e che ti rende difficile un nuovo lavoro, non
è la tua performance personale, ma il meccanismo caratteristico
del sistema. I fallimenti, se fallimenti ci sono, sono i fallimenti
del sistema e non i tuoi. Io lo so. Ci sono passato.
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