Marzo 2002

DECIMA MUSA

Indietro
Totò: una maschera
Giuseppe Gubitosi
 
 

 

 

 

 

 

Il film è molto
polemico verso le donne, che i registi
e Totò considerano cattive al punto di mettersi in quattro contro un solo
uomo.

 

In “Totò terzo uomo”, del 1951, di Mario Mattoli, il primo riferimento alla realtà contemporanea è rappresentato dal titolo, che ricorda molto da vicino “Il terzo uomo”, il noto film di Carol Reed, interpretato da Orson Welles, che tanti ammiratori procurò a quest’ultimo, e che uscì proprio nell’anno del film interpretato da Totò. Ciò perché aver visto o meno il film di Carol Reed assunse il significato d’essere o meno conformi ad una moda intellettuale. Ma oltre il titolo il film di Mattoli non andava, perché per quanto riguarda i contenuti, quest’ultimo film, avrebbe potuto ben intitolarsi il terzo gemello, dei quali gemelli non vi è traccia nel film di Carol Reed. Nel film c’è semmai un riferimento al film di Germi, “In nome della legge”, che era uscito due anni prima, con il quale ha in comune, l’iniziale arrivo del pretore in paese, e al film di Luigi Zampa, “Vivere in pace”, che era del 1946, e come tale considerato un film neorealista, per la descrizione iniziale del paesello che è il teatro della vicenda narrata dal film.
Oltre questo non va neppure il film di Mattoli, che però ha una sua originalità con Totò che sembra aver imparato, dopo tanti film interpretati, a lavorare per il cinema, per il quale sembra avere la fluidità necessaria. Il limite fondamentale del film è la duplice voce fuori campo, che si ode all’inizio, e non solo, del film, che sembra non trovare subito la sua capacità descrittiva, forse perché Totò non entra subito in scena.
Ma non mancano i riferimenti diretti alla realtà politica con Totò, che, nelle vesti del fratello gemello del sindaco, alla serva, che è interpretata da Franca Marzi, che ha osato chiedergli più o meno: «Ma come? Mi hai fatto credere che quell’anello era per me», risponde: «Ma che credere, credere, credere, bisogna credere, obbedire e combattere, hai mai combattuto tu?», alludendo al motto del Duce: “Credere, obbedire, combattere”, lanciato da Mussolini durante la seconda guerra mondiale.
Ad Anacleto, che è l’attore Aroldo Tieri, che è stato suo compagno di carcere, e che gli chiede di provare l’imitazione della tosse di Pietro, il sindaco, il terzo gemello, Totò, è questo il suo nome, che vuole con l’aiuto di Anacleto imbrogliare sia Pietro, il sindaco del paesello sia il fratello, Paolo, che si distingue da Pietro per un neo sulla guancia, come avveniva nel film “Animali Pazzi”, tossisce intonando l’inno di Mameli, mentre dovrebbe intonare la marcia reale. Totò si preoccupa dicendo che confondeva la tosse repubblicana con la tosse monarchica. E all’imprenditore, interpretato da Carlo Romano, che ha preparato una scatola di sigari nascondendo in essa ben un milione di lire, per convincere Pietro ad affidare a lui la costruzione di un carcere, Totò, nell’informarsi sul carcere che l’imprenditore intende costruire, chiede come intende fabbricare i cancelli, e avendogli l’imprenditore detto che vuole costruirli regolarmente in ferro, Totò lo interrompe per dirgli, che il ferro bisogna darlo alla patria che ne ha bisogno, rievocando la parola d’ordine fascista del ferro alla patria.
“Sette ore di guai”, di Marchesi e Metz, è del 1951. E’ tratto dalla commedia di Eduardo Scarpetta Na’ creatura sperduta, su una sceneggiatura, oltre che degli stessi Metz e Marchesi, ai quali si deve la regia del film, anche di Age, Scarpelli e Passarelli.
Sembra essere un ritorno al passato, perché è tratto da una commedia e ne segue i canoni, nel senso che è composto da una serie di scenette, ciascuna autonoma, che si susseguono l’una dopo l’altra fino alla fine.
Ma in realtà Totò è molto disteso in questo film, e riesce a recitare con semplicità e spontaneità. E’ talmente disteso che riesce a pronunciare le battute che lo hanno reso famoso, come se fossero state inventate appositamente per questo film, come quella che suona così: «Ogni limite ha una pazienza» o l’equivoco su un cognome, che questa volta è quello dell’avvocato Espinaci, di cui Totò mette in dubbio addirittura la laurea in legge, che ha la sfortuna di avere un cognome che ha a che fare, almeno per come suona, con gli “erbaggi” tanto che Totò lo chiama da cipolla a ravanello, costringendo Totò a correggersi ogni volta, dicendogli che si chiama Espinaci, e Totò gli ripete: «Non ci fare caso: sempre erbaggi sono».
Ma il film è pur sempre tratto da una commedia di Eduardo Scarpetta e ne porta il segno, tanto che la scenetta in cui appare Isa Barzizza con Antonio De Pasquale e l’avvocato Espinaci, in veste di imbianchini, è la più divertente del film.
Il film non ha riferimenti alla realtà politica contemporanea: né poteva essere altrimenti, perché è tratto da una commedia di Eduardo Scarpetta, che vuole essere valida in tutti i tempi. Presenta una grande quantità di attori che o erano già noti o lo divennero in seguito: da Giulietta Masina a Bice Valori, da Carlo Campanini a Mario Castellani, da Galeazzo Benti a Isa Barzizza, da Arturo Bragaglia ad Alberto Sorrentino, da Clelia Matania a Carlo Mazzarella.

“Guardie e ladri”, anch’esso del 1951, di Steno (Stefano Vanzina) e (Mario) Monicelli, è il film più bello tra quelli interpretati da Totò. Fu interpretato anche da Aldo Fabrizi. Anche questo film presenta molti attori che o sono già noti oppure sono destinati a divenirlo, come Ave Ninchi, Rossana Podestà, Ernesto Almirante, Aldo Giuffrè, un Carlo Delle Piane ancora ragazzino. Alla sceneggiatura collaborarono Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano e Ruggero Maccari, oltre ai registi del film e ad Aldo Fabrizi.
E’ esilarante, e insieme carico d’amarezza, l’inseguimento di Totò da parte di Aldo Fabrizi, che ha la parte del brigadiere Bottoni, nonché da parte dell’americano, l’attore William C. Tubbs, e del guidatore del taxi, Mario Castellani. Totò con Aldo Giuffrè vende per 150.000 dollari all’americano un falso sesterzio romano e da qui nasce l’inseguimento. Ma è solo un modo per presentare Esposito, il ladro interpretato da Totò, e il suo modo di vivere di espedienti, tipicamente napoletano, e non è un caso che i due complici siano interpretati da due attori napoletani, Totò e Aldo Giuffrè.
Altrettanto divertenti, ma nel contempo pieni di amarezza, sono i colloqui tra Esposito-Totò e il brigadiere Bottoni, quello tra Esposito e sua moglie, nonché quello finale, nelle scale di casa Esposito, tra Esposito e il brigadiere Bottoni. Fu campione d’incassi con l’equivalente di circa 80 miliardi delle nostre vecchie lire.
“Totò a colori” del 1952, di Steno (Stefano Vanzina), fu tratto da una serie di sketch di riviste di Totò e Michele Galdieri. La sceneggiatura è, oltre che di Steno e Monicelli, anche di Age (Agenore Incrocci) e di (Furio) Scarpelli. Tutti sceneggiatori che hanno fatto altri film con Totò. Presenta molti attori noti, da Virgilio Riento a Mario Castellani, da Vittorio Caprioli a Carlo Mazzarella, da Fulvia Franco a Rocco D’Assunta, da Galeazzo Benti a Franca Valeri, da Isa Barzizza ad Alberto Bonucci e così via.E’ il primo film italiano a colori. E ne risente. Perché i numerosi attori noti si sono fatti avanti per ottenere consacrazione da questo film, che fu male accolto dalla critica che disse di Steno che non seppe sfruttare l’arte di Totò e che non seppe utilizzare il Ferraniacolor, mentre nel film «vi sono soltanto lunghissimi tratti di rivista portati di peso sullo schermo, ripetizioni e ricopiamenti, mancanza completa di unità, un tono equivoco e forzato» (Alberto Albertazzi su Intermezzo del 30 aprile 1952). E questa volta viene di dare ragione al critico, se non fosse per il fatto che la critica è rivolta a Stefano Vanzina, regista del film, anziché a Totò, che anzi viene dal critico stesso salvato per «la sequenza dell’inseguimento nel teatro di marionette» che «mostra, pur nella limitatezza dei risultati raggiunti, tutto un vasto campo di possibilità in grado di dare un minimo di dignità a un film di questo genere».
Eppure questo film piace. A parte il fatto che Totò vi trova il modo di fare le gag che l’hanno reso famoso, come la direzione della banda musicale con il relativo scoppio di fuochi d’artificio, oppure quella in cui dice: «Ogni limite ha una pazienza» oppure quella in cui dice: «Ha da veni’», oppure quella in cui esce di casa imitando Mussolini stando per un momento sul balcone con le braccia che terminano con i pugni sui fianchi. Resta il carattere divertente della direzione della banda mentre un ex gangster, originario di Caianello, tenta di fare un discorso. Oppure la scena in cui Totò va a Capri e partecipa ad una festa in “costume” caprese con lo scopo di circuire il personaggio di Franca Valeri, che interpreta la signora snob, invitato a ciò da Galeazzo Benti verso il quale Totò è obbligato perché la fidanzata di Benti ha promesso di parlare con l’editore Tiscordi, che ricorda il nome dell’editore Ricordi, come il nome dell’editore Sozzogno ricorda da vicino quello dell’editore Sonzogno, l’uno e l’altro noti a Totò, che era autore di canzoni, per essere editori musicali. Oppure la sequenza, già ricordata da Alberto Albertazzi, dell’inseguimento nel teatro di marionette, in cui Totò fa la marionetta, nel che è bravissimo, ed è diventata un pezzo da antologia. O la sequenza del vagone letto, con Mario Castellani, che è sempre divertente.

“Totò e i re di Roma”, del 1952, di Steno (Stefano Vanzina) e Mario Monicelli, fu tratto da Cechov, in particolare da La morte dell’impiegato e Esami di promozione, sceneggiato da Ennio De Concini, Peppino De Filippo, Dino Risi, e i registi del film Steno e Monicelli, tutti sceneggiatori che Giancarlo Governi ritiene sufficientemente moderni e colti da aver ringiovanito persino Totò. Il film è molto grigio ed Ettore Pappalardo, il personaggio di Totò, è tragico.
Ma non mancano le situazioni comiche. Né mancano i riferimenti alla realtà politica contemporanea. Totò dice per ben tre volte: «Poi dici che uno si butta a sinistra», una pratica che sta a cuore al maestro elementare amico di S.E. Badalozzi, interpretato da Alberto Sordi, e che riguarda un pappagallo che cantava “Giovinezza” in luogo dei canti partigiani, Ettore Pappalardo ha avuto un cugino che ha fatto la “marcia su Roma” e perciò ha potuto fare a meno della licenza elementare, lo stesso Pappalardo dice all’impiegato dell’Olimpo: «Ha da veni’» sottacendo “Baffone”, cioè Stalin.
Ma resta il fatto che il film conserva di Cechov le atmosfere cupe e misere del mondo degli impiegati. Ed Ettore Pappalardo ha un modo di ragionare elementare e semplice: come quando dice alla moglie, l’attrice Anna Carena, che tocca a lui morire, perché le figlie, essendo tutte femmine, hanno più bisogno della madre che del padre. E resta il fatto che Sordi interpreta in questo film un personaggio antipatico.

“Totò e le donne”, del 1952, anch’esso di Steno e Monicelli, è interpretato da molte attrici note, come Ave Ninchi, Clelia Matania, Giovanna Pala, Lea Padovani, Alda Mangini e la stessa Franca Faldini, moglie di Totò. Anche gli attori uomini sono noti e vanno da Peppino De Filippo a Mario Castellani, da Carlo Mazzarella allo stesso Totò, ma le donne sono indubbiamente più numerose. Tra i film a episodi degli inizi degli anni ‘50 non poteva mancarne uno interpretato da Totò, anche se camuffato; Del resto per Totò non era la prima volta che faceva un film a episodi camuffato, basti pensare ai numerosi film teatrali interpretati da Totò prima dell’ultima guerra mondiale.
Il film è molto polemico verso le donne, che i registi e Totò considerano cattive al punto di mettersi in quattro contro un solo uomo, equivocando sul fatto che le donne erano allora quattro per ogni uomo. Totò tratta male anche sua moglie che è, nel film, Ave Ninchi, perché non lascia leggere a letto il marito, Filippo Scaparro, e gli rivela chi è l’assassino del libro giallo che lo Scaparro sta leggendo, avendolo lei già letto, e costringendo il marito ad andare a leggere in soffitta «all’addiaccio», come dice Totò, per stare solo. Questo antifemminismo del film è il segno del tempo in cui fu realizzato.
Ma l’antifemminismo è accentuato ancor di più nel personaggio di Peppino De Filippo, il dottor Paolo Desideri, fidanzato di Mirella, figlia di Scaparro, l’attrice Giovanna Pala, che deve imparare a fare un’iniezione a spese del padre, che fa da cavia.
Il fidanzato fa il tenero con lei, proprio mentre il padre è in ansia perché sa che la figlia non sa fare le iniezioni. E finisce come può: Mirella fa male a Filippo, ma lo fa con tanta grazia che il dottor Paolo non riesce a rimproverarla. Con il risultato che non impara a fare le iniezioni. Eppure Paolo dovrebbe essere orgoglioso di avere una moglie che sa fare le iniezioni. Dovrebbe fare di tutto perché la futura moglie impari a farle. Invece Paolo-Peppino De Filippo, che per la prima volta fa coppia con Totò, una coppia destinata a ritornare, sembra essere attratto solo fisicamente da Mirella, figlia di Scaparro e tale appare alla fine del film quando finalmente sposa Mirella.

“Dov’è la libertà”, che significa che la vera libertà è in carcere, è l’ultimo dei film interpretati da Totò nel 1952. Porta la firma del grande regista Roberto Rossellini, anche se Fellini disse, e Giancarlo Governi lo testimonia, di averlo almeno in parte girato lui, grazie alle numerose assenze dal set di Rossellini. Totò vi trova il modo di ricorrere alle sue espressioni tradizionali, ma solo alla fine del film, ché per il resto è un attore drammatico in piena regola. Si tratta infatti di un film drammatico in cui un barbiere (Totò), che ha già scontato 22 anni di carcere per aver ucciso un suo amico che attentava all’onore della moglie, scopre che durante la sua permanenza in carcere la moglie s’era fatto un amante, e poi che il suo amico, da lui ucciso, non era l’amante della moglie, e decide di tornare in carcere dove la vita è di gran lunga più genuina. I Torquati, i familiari della moglie, lo accolgono bene, ma hanno il doppio fine di cavare le castagne dal fuoco con le mani di Salvatore-Totò, nel senso che lo mandano contro Abramo Piperno, un ebreo alle cui spalle i Torquati si erano arricchiti, tornato dalla deportazione con spirito di vendetta.
Salvatore Lojacono (Totò) si offre di aiutare i Torquati, ma finisce per diventare amico di Abramo Piperno, dopo che ha saputo come i Torquati si sono arricchiti. E decide di tornare in carcere dopo che ha saputo di Agnesina, la ragazza di cui è innamorato e che i Torquati hanno destinato a lui; ha saputo infatti da lei che è incinta di uno dei Torquati, il più vecchio. Il film è girato con attori noti o destinati a divenirlo, come Franca Faldini, Leopoldo Trieste, Vincenzo Talarico, Giacomo Rondinella e Mario Castellani. E’ sceneggiato da Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli e Vincenzo Talarico, tutti nomi di prestigio.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000