Il film è molto
polemico verso le donne, che i registi
e Totò considerano cattive al punto di mettersi in quattro
contro un solo
uomo.
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In Totò terzo uomo, del 1951, di Mario Mattoli,
il primo riferimento alla realtà contemporanea è rappresentato
dal titolo, che ricorda molto da vicino Il terzo uomo,
il noto film di Carol Reed, interpretato da Orson Welles, che tanti
ammiratori procurò a questultimo, e che uscì
proprio nellanno del film interpretato da Totò. Ciò
perché aver visto o meno il film di Carol Reed assunse il
significato dessere o meno conformi ad una moda intellettuale.
Ma oltre il titolo il film di Mattoli non andava, perché
per quanto riguarda i contenuti, questultimo film, avrebbe
potuto ben intitolarsi il terzo gemello, dei quali gemelli non vi
è traccia nel film di Carol Reed. Nel film cè
semmai un riferimento al film di Germi, In nome della legge,
che era uscito due anni prima, con il quale ha in comune, liniziale
arrivo del pretore in paese, e al film di Luigi Zampa, Vivere
in pace, che era del 1946, e come tale considerato un film
neorealista, per la descrizione iniziale del paesello che è
il teatro della vicenda narrata dal film.
Oltre questo non va neppure il film di Mattoli, che però
ha una sua originalità con Totò che sembra aver imparato,
dopo tanti film interpretati, a lavorare per il cinema, per il quale
sembra avere la fluidità necessaria. Il limite fondamentale
del film è la duplice voce fuori campo, che si ode allinizio,
e non solo, del film, che sembra non trovare subito la sua capacità
descrittiva, forse perché Totò non entra subito in
scena.
Ma non mancano i riferimenti diretti alla realtà politica
con Totò, che, nelle vesti del fratello gemello del sindaco,
alla serva, che è interpretata da Franca Marzi, che ha osato
chiedergli più o meno: «Ma come? Mi hai fatto credere
che quellanello era per me», risponde: «Ma che
credere, credere, credere, bisogna credere, obbedire e combattere,
hai mai combattuto tu?», alludendo al motto del Duce: Credere,
obbedire, combattere, lanciato da Mussolini durante la seconda
guerra mondiale.
Ad Anacleto, che è lattore Aroldo Tieri, che è
stato suo compagno di carcere, e che gli chiede di provare limitazione
della tosse di Pietro, il sindaco, il terzo gemello, Totò,
è questo il suo nome, che vuole con laiuto di Anacleto
imbrogliare sia Pietro, il sindaco del paesello sia il fratello,
Paolo, che si distingue da Pietro per un neo sulla guancia, come
avveniva nel film Animali Pazzi, tossisce intonando
linno di Mameli, mentre dovrebbe intonare la marcia reale.
Totò si preoccupa dicendo che confondeva la tosse repubblicana
con la tosse monarchica. E allimprenditore, interpretato da
Carlo Romano, che ha preparato una scatola di sigari nascondendo
in essa ben un milione di lire, per convincere Pietro ad affidare
a lui la costruzione di un carcere, Totò, nellinformarsi
sul carcere che limprenditore intende costruire, chiede come
intende fabbricare i cancelli, e avendogli limprenditore detto
che vuole costruirli regolarmente in ferro, Totò lo interrompe
per dirgli, che il ferro bisogna darlo alla patria che ne ha bisogno,
rievocando la parola dordine fascista del ferro alla patria.
Sette ore di guai, di Marchesi e Metz, è del
1951. E tratto dalla commedia di Eduardo Scarpetta Na
creatura sperduta, su una sceneggiatura, oltre che degli stessi
Metz e Marchesi, ai quali si deve la regia del film, anche di Age,
Scarpelli e Passarelli.
Sembra essere un ritorno al passato, perché è tratto
da una commedia e ne segue i canoni, nel senso che è composto
da una serie di scenette, ciascuna autonoma, che si susseguono luna
dopo laltra fino alla fine.
Ma in realtà Totò è molto disteso in questo
film, e riesce a recitare con semplicità e spontaneità.
E talmente disteso che riesce a pronunciare le battute che
lo hanno reso famoso, come se fossero state inventate appositamente
per questo film, come quella che suona così: «Ogni
limite ha una pazienza» o lequivoco su un cognome, che
questa volta è quello dellavvocato Espinaci, di cui
Totò mette in dubbio addirittura la laurea in legge, che
ha la sfortuna di avere un cognome che ha a che fare, almeno per
come suona, con gli erbaggi tanto che Totò lo
chiama da cipolla a ravanello, costringendo Totò a correggersi
ogni volta, dicendogli che si chiama Espinaci, e Totò gli
ripete: «Non ci fare caso: sempre erbaggi sono».
Ma il film è pur sempre tratto da una commedia di Eduardo
Scarpetta e ne porta il segno, tanto che la scenetta in cui appare
Isa Barzizza con Antonio De Pasquale e lavvocato Espinaci,
in veste di imbianchini, è la più divertente del film.
Il film non ha riferimenti alla realtà politica contemporanea:
né poteva essere altrimenti, perché è tratto
da una commedia di Eduardo Scarpetta, che vuole essere valida in
tutti i tempi. Presenta una grande quantità di attori che
o erano già noti o lo divennero in seguito: da Giulietta
Masina a Bice Valori, da Carlo Campanini a Mario Castellani, da
Galeazzo Benti a Isa Barzizza, da Arturo Bragaglia ad Alberto Sorrentino,
da Clelia Matania a Carlo Mazzarella.
Guardie e ladri, anchesso del 1951, di Steno
(Stefano Vanzina) e (Mario) Monicelli, è il film più
bello tra quelli interpretati da Totò. Fu interpretato anche
da Aldo Fabrizi. Anche questo film presenta molti attori che o sono
già noti oppure sono destinati a divenirlo, come Ave Ninchi,
Rossana Podestà, Ernesto Almirante, Aldo Giuffrè,
un Carlo Delle Piane ancora ragazzino. Alla sceneggiatura collaborarono
Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano e Ruggero Maccari, oltre ai registi
del film e ad Aldo Fabrizi.
E esilarante, e insieme carico damarezza, linseguimento
di Totò da parte di Aldo Fabrizi, che ha la parte del brigadiere
Bottoni, nonché da parte dellamericano, lattore
William C. Tubbs, e del guidatore del taxi, Mario Castellani. Totò
con Aldo Giuffrè vende per 150.000 dollari allamericano
un falso sesterzio romano e da qui nasce linseguimento. Ma
è solo un modo per presentare Esposito, il ladro interpretato
da Totò, e il suo modo di vivere di espedienti, tipicamente
napoletano, e non è un caso che i due complici siano interpretati
da due attori napoletani, Totò e Aldo Giuffrè.
Altrettanto divertenti, ma nel contempo pieni di amarezza, sono
i colloqui tra Esposito-Totò e il brigadiere Bottoni, quello
tra Esposito e sua moglie, nonché quello finale, nelle scale
di casa Esposito, tra Esposito e il brigadiere Bottoni. Fu campione
dincassi con lequivalente di circa 80 miliardi delle
nostre vecchie lire.
Totò a colori del 1952, di Steno (Stefano Vanzina),
fu tratto da una serie di sketch di riviste di Totò e Michele
Galdieri. La sceneggiatura è, oltre che di Steno e Monicelli,
anche di Age (Agenore Incrocci) e di (Furio) Scarpelli. Tutti sceneggiatori
che hanno fatto altri film con Totò. Presenta molti attori
noti, da Virgilio Riento a Mario Castellani, da Vittorio Caprioli
a Carlo Mazzarella, da Fulvia Franco a Rocco DAssunta, da
Galeazzo Benti a Franca Valeri, da Isa Barzizza ad Alberto Bonucci
e così via.E il primo film italiano a colori. E ne
risente. Perché i numerosi attori noti si sono fatti avanti
per ottenere consacrazione da questo film, che fu male accolto dalla
critica che disse di Steno che non seppe sfruttare larte di
Totò e che non seppe utilizzare il Ferraniacolor, mentre
nel film «vi sono soltanto lunghissimi tratti di rivista portati
di peso sullo schermo, ripetizioni e ricopiamenti, mancanza completa
di unità, un tono equivoco e forzato» (Alberto Albertazzi
su Intermezzo del 30 aprile 1952). E questa volta viene di dare
ragione al critico, se non fosse per il fatto che la critica è
rivolta a Stefano Vanzina, regista del film, anziché a Totò,
che anzi viene dal critico stesso salvato per «la sequenza
dellinseguimento nel teatro di marionette» che «mostra,
pur nella limitatezza dei risultati raggiunti, tutto un vasto campo
di possibilità in grado di dare un minimo di dignità
a un film di questo genere».
Eppure questo film piace. A parte il fatto che Totò vi trova
il modo di fare le gag che lhanno reso famoso, come la direzione
della banda musicale con il relativo scoppio di fuochi dartificio,
oppure quella in cui dice: «Ogni limite ha una pazienza»
oppure quella in cui dice: «Ha da veni», oppure
quella in cui esce di casa imitando Mussolini stando per un momento
sul balcone con le braccia che terminano con i pugni sui fianchi.
Resta il carattere divertente della direzione della banda mentre
un ex gangster, originario di Caianello, tenta di fare un discorso.
Oppure la scena in cui Totò va a Capri e partecipa ad una
festa in costume caprese con lo scopo di circuire il
personaggio di Franca Valeri, che interpreta la signora snob, invitato
a ciò da Galeazzo Benti verso il quale Totò è
obbligato perché la fidanzata di Benti ha promesso di parlare
con leditore Tiscordi, che ricorda il nome delleditore
Ricordi, come il nome delleditore Sozzogno ricorda da vicino
quello delleditore Sonzogno, luno e laltro noti
a Totò, che era autore di canzoni, per essere editori musicali.
Oppure la sequenza, già ricordata da Alberto Albertazzi,
dellinseguimento nel teatro di marionette, in cui Totò
fa la marionetta, nel che è bravissimo, ed è diventata
un pezzo da antologia. O la sequenza del vagone letto, con Mario
Castellani, che è sempre divertente.
Totò e i re di Roma, del 1952, di Steno (Stefano
Vanzina) e Mario Monicelli, fu tratto da Cechov, in particolare
da La morte dellimpiegato e Esami di promozione, sceneggiato
da Ennio De Concini, Peppino De Filippo, Dino Risi, e i registi
del film Steno e Monicelli, tutti sceneggiatori che Giancarlo Governi
ritiene sufficientemente moderni e colti da aver ringiovanito persino
Totò. Il film è molto grigio ed Ettore Pappalardo,
il personaggio di Totò, è tragico.
Ma non mancano le situazioni comiche. Né mancano i riferimenti
alla realtà politica contemporanea. Totò dice per
ben tre volte: «Poi dici che uno si butta a sinistra»,
una pratica che sta a cuore al maestro elementare amico di S.E.
Badalozzi, interpretato da Alberto Sordi, e che riguarda un pappagallo
che cantava Giovinezza in luogo dei canti partigiani,
Ettore Pappalardo ha avuto un cugino che ha fatto la marcia
su Roma e perciò ha potuto fare a meno della licenza
elementare, lo stesso Pappalardo dice allimpiegato dellOlimpo:
«Ha da veni» sottacendo Baffone, cioè
Stalin.
Ma resta il fatto che il film conserva di Cechov le atmosfere cupe
e misere del mondo degli impiegati. Ed Ettore Pappalardo ha un modo
di ragionare elementare e semplice: come quando dice alla moglie,
lattrice Anna Carena, che tocca a lui morire, perché
le figlie, essendo tutte femmine, hanno più bisogno della
madre che del padre. E resta il fatto che Sordi interpreta in questo
film un personaggio antipatico.
Totò e le donne, del 1952, anchesso di
Steno e Monicelli, è interpretato da molte attrici note,
come Ave Ninchi, Clelia Matania, Giovanna Pala, Lea Padovani, Alda
Mangini e la stessa Franca Faldini, moglie di Totò. Anche
gli attori uomini sono noti e vanno da Peppino De Filippo a Mario
Castellani, da Carlo Mazzarella allo stesso Totò, ma le donne
sono indubbiamente più numerose. Tra i film a episodi degli
inizi degli anni 50 non poteva mancarne uno interpretato da
Totò, anche se camuffato; Del resto per Totò non era
la prima volta che faceva un film a episodi camuffato, basti pensare
ai numerosi film teatrali interpretati da Totò prima dellultima
guerra mondiale.
Il film è molto polemico verso le donne, che i registi e
Totò considerano cattive al punto di mettersi in quattro
contro un solo uomo, equivocando sul fatto che le donne erano allora
quattro per ogni uomo. Totò tratta male anche sua moglie
che è, nel film, Ave Ninchi, perché non lascia leggere
a letto il marito, Filippo Scaparro, e gli rivela chi è lassassino
del libro giallo che lo Scaparro sta leggendo, avendolo lei già
letto, e costringendo il marito ad andare a leggere in soffitta
«alladdiaccio», come dice Totò, per stare
solo. Questo antifemminismo del film è il segno del tempo
in cui fu realizzato.
Ma lantifemminismo è accentuato ancor di più
nel personaggio di Peppino De Filippo, il dottor Paolo Desideri,
fidanzato di Mirella, figlia di Scaparro, lattrice Giovanna
Pala, che deve imparare a fare uniniezione a spese del padre,
che fa da cavia.
Il fidanzato fa il tenero con lei, proprio mentre il padre è
in ansia perché sa che la figlia non sa fare le iniezioni.
E finisce come può: Mirella fa male a Filippo, ma lo fa con
tanta grazia che il dottor Paolo non riesce a rimproverarla. Con
il risultato che non impara a fare le iniezioni. Eppure Paolo dovrebbe
essere orgoglioso di avere una moglie che sa fare le iniezioni.
Dovrebbe fare di tutto perché la futura moglie impari a farle.
Invece Paolo-Peppino De Filippo, che per la prima volta fa coppia
con Totò, una coppia destinata a ritornare, sembra essere
attratto solo fisicamente da Mirella, figlia di Scaparro e tale
appare alla fine del film quando finalmente sposa Mirella.
Dovè la libertà, che significa
che la vera libertà è in carcere, è lultimo
dei film interpretati da Totò nel 1952. Porta la firma del
grande regista Roberto Rossellini, anche se Fellini disse, e Giancarlo
Governi lo testimonia, di averlo almeno in parte girato lui, grazie
alle numerose assenze dal set di Rossellini. Totò vi trova
il modo di ricorrere alle sue espressioni tradizionali, ma solo
alla fine del film, ché per il resto è un attore drammatico
in piena regola. Si tratta infatti di un film drammatico in cui
un barbiere (Totò), che ha già scontato 22 anni di
carcere per aver ucciso un suo amico che attentava allonore
della moglie, scopre che durante la sua permanenza in carcere la
moglie sera fatto un amante, e poi che il suo amico, da lui
ucciso, non era lamante della moglie, e decide di tornare
in carcere dove la vita è di gran lunga più genuina.
I Torquati, i familiari della moglie, lo accolgono bene, ma hanno
il doppio fine di cavare le castagne dal fuoco con le mani di Salvatore-Totò,
nel senso che lo mandano contro Abramo Piperno, un ebreo alle cui
spalle i Torquati si erano arricchiti, tornato dalla deportazione
con spirito di vendetta.
Salvatore Lojacono (Totò) si offre di aiutare i Torquati,
ma finisce per diventare amico di Abramo Piperno, dopo che ha saputo
come i Torquati si sono arricchiti. E decide di tornare in carcere
dopo che ha saputo di Agnesina, la ragazza di cui è innamorato
e che i Torquati hanno destinato a lui; ha saputo infatti da lei
che è incinta di uno dei Torquati, il più vecchio.
Il film è girato con attori noti o destinati a divenirlo,
come Franca Faldini, Leopoldo Trieste, Vincenzo Talarico, Giacomo
Rondinella e Mario Castellani. E sceneggiato da Vitaliano
Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli e Vincenzo Talarico,
tutti nomi di prestigio.
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