Indro fin qui è stato inarrivabile.
Non pochi cercano di imitarlo, ma per ora egli rimane
il migliore, il più bravo in assoluto.
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Conobbi Indro Montanelli chero giovanissimo redattore capo
del Tempo di Roma. Lui era già il grande Montanelli, non
proprio ancora un mito, come poi è diventato, ma per noi
giovani un collega da ammirare e imitare.
Fu un incontro rapido, gli fui presentato da un vecchio collega,
Mauri, al caffè Aragno allora in Corso Umberto, oggi Via
del Corso. Un incontro casuale, durante il quale egli mi mise a
mio agio pregandomi di lasciar perdere il lei con cui
gli rivolgevo la parola. Poi verso la fine degli anni Cinquanta,
quando approdai al Corriere, chiamato da Missiroli e da Mottola,
mi capitò di incontrarlo spesso nella fortezza
(la fortezza Bastiani di Buzzati) di via Solferino,
dove egli ovviamente era il numero uno.
Lavoravo a fianco di Mottola, il timoniere del Corrierone, e mi
capitò più volte di passare suoi articoli per la prima
o la terza pagina, e persino dessere costretto, per motivi
di spazio, a tagliarne qualche riga. Da vero giornalista, Montanelli,
quando lo incontravo e gliene chiedevo scusa, scherzava: «Lo
sai che a volte i tagli migliorano gli articoli? Te ne sarò
grato tutte le volte che lo farai».
Questi furono i primi approcci. Poi diventammo amici. E quando mi
chiamò a far parte della pattuglia che fondò Il Giornale,
lamicizia divenne affettuosa. Cerano, fra gli altri,
Granzotto, Bettiza, Zappulli, Biazzi Vergani, Piovene, Cervi, e
altre belle firme.
Mi volle a capo della cronaca, io chero stato redattore capo,
inviato, direttore. Ne fui lusingato. Mi disse: «Devi fare
un giornale nel Giornale». Quellavventura, non cè
dubbio, finì per essere una vera pagina di storia. No, non
è retorica dirlo. Bettiza nel suo Ombre rosse dice che a
quellavventura parteciparono uomini che praticarono la renitenza
alla leva della sinistra comunista, allora un po arrogante.
Non mi piace la retorica, ma non cè dubbio che il Giornale
nacque dalla volontà di un gruppo di giornalisti e intellettuali
(oltre Piovene, cerano un filosofo come Abbagnano, un politologo
come Matteucci, uno storico come Romeo, e potrei continuare nellelencazione
di nomi illustri) che si sentirono in dovere di resistere alle pressioni
del conformismo dilagante nei salotti, nelle case editrici, nelle
Tv e nei giornali, e di difendere la cultura liberale. Indro divenne
il nostro capitano. Iniziammo così una navigazione perigliosa
e un po corsara.
Unavventura bellissima, vi assicuro. Io venivo da molte altre
belle esperienze, come racconto nel mio ultimo libro, ma quella
mi è rimasta nel cuore più di tutte. Con Montanelli
formammo, si può dire, un equipaggio di spericolati, e tali
infatti ci giudicarono molti colleghi che ci davano per morti ancora
prima di nascere.
Il primo giorno, mentre il giornale era in fattura, tra il ticchettìo
delle Olivetti e il chiacchiericcio di tutto lequipaggio,
Indro circolò per le poche stanze del Palazzo dei Giornali
di Piazza Cavour a Milano, dove eravamo allocati, come una cicogna,
con quelle sue lunghe e magrissime gambe, elargendoci consigli,
domande, idee, gratificandoci con un bravo. Zappulli,
da napoletano inguaribilmente superstizioso, pescò, chissà
dove e come, un sacerdote con gobba e recuperò una piccola
statua di San Gennaro. Venne a benedirci Monsignor Maggiolini, oggi
arcivescovo di Como, allora magro come un grissino, che divenne
poi nostro collaboratore. Alluscita della prima copia dalla
rotativa avevamo intorno a noi decine di amici e futuri lettori
che vennero a festeggiare con noi lavvenimento.
Fu un grande giorno. Lo fu soprattutto per Indro. Lui che aveva
sempre respinto lidea di fare il direttore di un giornale
avrebbe potuto avere la direzione del Corriere, se avesse
voluto , quella sera aveva gli occhi non lucidi, perché
se ne sarebbe vergognato, ma spiritati, che sprizzavano felicità:
era emozionato, colmo di gioia.
Grande Indro, sapeva a volte gioire come un fanciullo, anche se
cercava di nasconderlo. Fingeva dessere scettico; a fare il
cinico non ci provava neppure perché il cinismo non gli apparteneva.
Era nato finalmente il suo giornale, che tutti noi,
il suo equipaggio, sentivamo anche nostro. Mi è capitato
di dire una volta, alla presentazione di un mio recente libro (Il
mio giornalismo, Greco editore), rivolgendomi ad un signore del
pubblico, che maveva fatto la domanda, che giornalisti come
Indro non ne nascono più, e quel tipo di giornalismo è
cambiato, o non lo si pratica più con la stessa passione.
Indro fin qui è stato inarrivabile. Non pochi cercano di
imitarlo, ma per ora egli rimane il migliore, il più bravo
in assoluto. Incomparabili la sua chiarezza, la semplicità
della scrittura, la capacità di cogliere il nocciolo, la
sostanza delle cose, il carattere dei personaggi, inimitabili le
sue battute, i suoi aforismi, i suoi controcorrente.
Con lui ebbi un rapporto sempre franco, rispettavo il suo valore
e provavo per lui affettuosa amicizia, mai troppo condiscendente
però. Del resto egli preferiva così i suoi collaboratori.
Mi sto battendo in questi giorni perché Milano a Montanelli
dedichi una strada, una piazza, un sito. Ci sarà certamente
un pezzetto di Milano col suo nome. Ne ho parlato col mio amico
Gabriele Albertini, il Sindaco, e limpegno cè
già. Due giornali se ne contendono il nome, Il Giornale,
che da lui è stato fondato e diretto per ventanni,
e il Corriere, che lo ha visto nascere, crescere, andarsene sbattendo
la porta e poi ritornare per occupare una stanza. Per
non far torto a nessuno, forse una statua di Indro e un luogo col
suo nome troveranno posto accanto al palazzo dove Il Giornale nacque.
Ormai è quasi certo. Spero proprio che avvenga al più
presto. La leggenda di Indro merita di non essere dispersa.
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