Da parte delle
regioni meridionali
è necessario attivare centri di
progettazione in
grado di attrarre
finanziamenti
europei,
per favorire sviluppo e occupazione.
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Di Sviluppo Italia, lagenzia che si interessa dei problemi
del Mezzogiorno, giungono in via intermittente solo flebili echi.
Che cosa stia accadendo non è dato saperlo con certezza.
Non è che la questione (non in senso tradizionale, ma come
complesso di problemi strutturali e di sviluppo socio-economico
al passo con i tempi) sia stata proprio rimossa. Resta sullo sfondo,
in un orizzonte indistinto, fumoso, che la scomparsa dalla scena
politica di forze intellettuali e critiche impegnate non contribuisce
a rendere più chiaro. Sicuramente, si era chiuso un ciclo,
quello del grande dibattito politico ed etico sul recupero
del Mezzogiorno. Buona parte del Sud è stata (e si è
autonomamente) recuperata. Ma che dal contesto del confronto economico
nazionale la voce del Mezzogiorno sia stata praticamente cancellata,
non è dato positivo. E la stessa azione del governo in materia
di sviluppo territoriale suscita non poche perplessità.
1) Linsieme delle misure prese fino a questo momento non
sembra particolarmente orientato allo sfruttamento delle risorse
inutilizzate esistenti nelle aree deboli, unica strategia che potrebbe
consentire allintero Paese di crescere stabilmente, a tassi
più alti rispetto a quelli del decennio trascorso.
2) La principale misura, la cosiddetta Tremonti-bis, non essendo
stata progettata cumulabile con il credito dimposta, determina
una riduzione del differenziale di incentivazione allinterno
del Paese, sfavorendo in questo modo, a parità di altre condizioni,
come è stato dimostrato nelle analisi tecniche, gli investimenti
nelle aree sfavorite.
3) Le misure sul sommerso, pur avendo aspetti positivi, danno luogo
a dubbi, sia relativi alla loro effettiva attuazione, sia, più
gravi, relativi ai loro effetti strutturali. In così poco
tempo sarà vera emersione, oppure le imprese torneranno nel
sommerso non appena saranno finiti i benefici? Questi processi non
rischiano paradossalmente di penalizzare proprio limprenditoria
più sana, come è stato messo in luce a più
riprese, ad esempio in materia di normative ambientali e simili?
4) Molti esponenti del governo hanno dichiarato terminata lesperienza
della programmazione negoziata, colpita da un giudizio negativo
a tutto campo. Ciò che si sa di quello che è successo
con i patti territoriali non avalla queste valutazioni: il dato
fondamentale è la grande diversità delle esperienze
(purtroppo, invece, tutte ugualmente finanziate, con un errore carico
di conseguenze, dal governo precedente). Questo dovrebbe portare
a far tesoro dellesperienza e ad innovare la legislazione,
e non a cancellarla del tutto. Dubbi assai minori suscita invece
la fine dei contratti darea.
5) La governance delle politiche è incerta. Le
deleghe per il Mezzogiorno sono state conferite solo da qualche
mese, e il dipartimento che si occupa di politiche territoriali
stenta ad avviare il proprio complesso lavoro. Si sta pensando giustamente
di rivedere gli assetti di Sviluppo Italia, ma non è chiaro
ancora come e quando si procederà allavvio di programmi
articolati, soprattutto a favore delle regioni più svantaggiate
del Sud. Il forte e opportuno decentramento di poteri alle regioni
dovrà essere accompagnato al più presto da un forte
sostegno tecnico.
Le grandi scelte, comunque, dovrebbero essere, se non imminenti,
per lo meno vicine nel tempo. Esse riguarderanno principalmente:
il mantenimento del carattere strategico dei fondi europei
2001-2006. Fondi, come ci impone lUnione europea, addizionali;
orientati più a misure di contesto che a sostegni diretti;
programmati e gestiti direttamente dalle Regioni, che su questa
programmazione dovranno riformare assetti amministrativi e procedure,
per saper spendere presto ma soprattutto bene;
per quanto riguarda la ripartizione degli investimenti pubblici,
il governo ha confermato nel suo Documento di programmazione economica
e finanziaria la scelta di destinare alle regioni meridionali il
45 per cento delle risorse per investimenti pubblici. Terrà
fede a questo intendimento? Dove si faranno le grandi opere, con
immediato finanziamento? Si realizzerà la grande azione annunciata
sulle risorse idriche?
infine, il modello di federalismo. Interventi come il decreto
sul finanziamento della sanità possono creare, come ha dimostrato
la Banca dItalia, forti penalizzazioni per le regioni deboli.
Lassenza del fondo perequativo in alcune ipotesi di modifica
costituzionale è allarmante. Davvero il modello è
un Paese dualista, con salari molto differenziati, e con un conseguente
rafforzamento delle migrazioni di lavoro qualificato dal Sud al
Nord? Questo non farebbe che proiettare nel Terzo millennio, complicandolo,
un problema che è ormai troppo antico per essere ancora sopportato.
Si badi bene: nessuno chiede finanziamenti del tipo ormai obsoleto
Cassa per il Mezzogiorno, ma si reclamano condizioni di infrastrutture
e di servizi atti a sollecitare, insieme con lo snellimento delle
pratiche burocratiche, liniziativa privata, limprenditorialità
individuale, che nelle regioni meridionali (in alcune molto più
che in altre) hanno rivelato risorse e capacità insospettate.
E stato grazie alla valorizzazione di queste risorse e dei
talenti presenti nel Mezzogiorno se alcune aree regionali sono venute
fuori dal ritmo tradizionalmente lento del Sud, dal suo diverso
fuso orario, e si sono messe al passo con i tempi dellelettronica
e della telematica.
Da parte delle regioni meridionali, specularmente, è necessario
attivare centri di progettazione, a livello di responsabilità
governatoriale, in grado di attrarre finanziamenti europei, integrati
con quelli locali, per favorire sviluppo e occupazione. Non ci stancheremo
mai di sostenere che è dalle forze endogene che debbono essere
espressi sforzo ideativo, progettualità operativa e coordinamento
interareale. Tra non molto, fra laltro, potrebbero fare il
loro ingresso in Ue altri Paesi, dellEst europeo, che presentano
parametri di arretratezza tali, da escludere ogni possibilità
di intervento comunitario a favore di qualunque altra regione del
Sud dItalia. Penso alla Romania, allUngheria, alla Polonia,
in particolare, Stati che approfitterebbero immediatamente dei benefìci
previsti per il recupero socio-economico delle aree depresse, e
che finirebbero per togliere questo prezioso ossigeno allItalia.
I tempi stringono, e vince chi ha maggior velocità di spinta
e di corsa. Lesperienza della Spagna dovrebbe pur insegnarci
qualcosa. Per non parlare del Portogallo, che, come è stato
scritto, riesce a costruire un ponte sul Tago nello stesso arco
di tempo che in Italia si spende per rimettere a posto un marciapiede
di poche decine di metri. Speriamo che mutino ritmi, mentalità
e voglia di fare. Se non altro, per poter negare la risposta quasi
tautologica che da tempo si dà ormai alla domanda:
Ma cè qualcosa di buono nella speranza?
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