Marzo 2002

MINORI E POVERTÀ

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Terra matrigna
Lamberto de Francovich
 
 

 

 

 

 

Le famiglie con figli minori hanno non solo una probabilità più elevata
di essere povere,
ma di rimanerlo
più a lungo.

 

 

Insieme con l’Inghilterra, il nostro è il Paese che presenta il più alto tasso di povertà minorile. Le stime presentate di recente dalla Commissione di indagine sulla esclusione sociale nel suo Rapporto annuale indicano in un milione e 704 mila il numero di minori poveri nel 2000, pari al 16,9 per cento di tutti i minori: una quota più alta di quella rilevata per gli individui adulti fino ai 64 anni e simile a quella riscontrata tra gli anziani con 65 anni o più (16,7 per cento), anche se il fenomeno non sembra attrarre altrettanta attenzione nel dibattito corrente.

Di più, la povertà tra i minori e tra le famiglie con minori presenta una tendenza all’aumento negli ultimi dieci anni, nonostante in generale l’incidenza della povertà sia rimasta sostanzialmente stabile a partire dal 1997, coinvolgendo ogni anno circa il 12 per cento delle famiglie. Tra le famiglie con figli minori, infatti, la diffusione della povertà è passata dal 14 per cento nel 1997 al 15,1 per cento nel 2000. Sono le famiglie con due e, soprattutto, con tre figli minori quelle in maggiore difficoltà: nel 2000 era povero il 16,4 per cento delle prime e il 25,5 per cento delle seconde. Esse sono concentrate nelle regioni meridionali e nelle Isole, dove è povero il 27,4 per cento di tutti i minori, a fronte del 7,4 per cento nel Nord e l’11,3 per cento nel Centro.
Il rischio di povertà per i minori è massimo quando nessuno degli adulti con cui vivono è occupato, rimane elevato quando un solo genitore è occupato, e diminuisce sensibilmente quando entrambi i genitori lavorano. Il sostegno all’occupazione delle madri appare quindi uno strumento fondamentale di contrasto alla povertà, sia nelle famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori sia in quelle in cui è presente la sola madre.
Le famiglie con figli minori hanno non solo una probabilità più elevata, rispetto a tutte le altre, di essere povere, ma di rimanerlo più a lungo. E’ un dato preoccupante, che emerge dall’analisi dinamica della povertà effettuata dalla Commissione sulla base dei dati del Panel Europeo delle Famiglie e relativa al quadriennio 1993-‘96. La povertà quindi colpisce la vita dei minori ben due volte: peggiorandone le condizioni durante l’infanzia e l’adolescenza, e riducendone le opportunità nel corso della vita da adulti.
Se il sostegno all’occupazione degli adulti, dei genitori, è lo strumento principe di contrasto alla povertà dei minori e delle loro famiglie, esso non appare sufficiente: sia perché il fenomeno dei lavori a bassa remunerazione (e talvolta anche a bassa protezione) non mette neppure tutti gli occupati al riparo dalla povertà, sia perché non può essere lasciato alla sola remunerazione del lavoro il compito di compensare i costi che i genitori sostengono per allevare i figli.

E’ più che noto come nel nostro Paese, a differenza che nella maggioranza dei Paesi europei, la questione del costo dei figli non abbia ancora trovato forme di riconoscimento efficaci, nonostante negli ultimi anni siano stati fatti alcuni passi in questa direzione: accanto all’assegno al nucleo familiare, uno strumento tanto popolare quanto fortemente criticato e criticabile per la ristrettezza della sua platea e la scarsa razionalità dei meccanismi che lo regolano, nelle ultime finanziarie si è proceduto con altri due strumenti: l’aumento delle detrazioni fiscali e l’introduzione di un nuovo tipo di assegno, destinato alle famiglie con reddito molto modesto e almeno tre figli minori.
Il primo strumento certamente realizza forme di equità orizzontale tra chi ha figli e chi non ne ha, a parità di reddito. Tuttavia non riesce a incidere sulla situazione delle famiglie povere e molto povere, per la ben nota questione della incapienza. E’ una questione già segnalata dalla Commissione lo scorso anno, divenuta ancora più urgente con l’ultima Finanziaria, con un ulteriore, generoso aumento alle famiglie a reddito medio-basso.
Il secondo strumento, l’assegno per le famiglie numerose, è stato introdotto nel 1999 e si è dimostrato efficace dal punto di vista redistributivo. I dati presentati nel Rapporto della Commissione mostrano come la distribuzione dei beneficiari si sovrapponga quasi perfettamente alla distribuzione della povertà tra i minori. Di più, la significativa riduzione dell’incidenza della povertà che si è avuta proprio tra le famiglie con almeno tre figli minori nel 1999 e nel 2000 (pur continuando a riguardare un quarto di queste famiglie), in controtendenza rispetto al generale aumento della povertà tra le famiglie con minori, costituisce un indicatore indiretto della sua, ancorché molto parziale, efficacia nel contrastare la povertà. Per essere più incisiva, dovrebbe allargare la platea dei beneficiari ed essere ripensato negli importi.
Allo stesso tempo, occorre trarre indicazioni dalla sperimentazione attuata e in corso di attuazione in alcuni comuni del reddito minimo di inserimento, ai fini di una sua definitiva estensione e messa a regime. Pur con i limiti e necessità di rimessa a punto evidenziati dal lavoro di valutazione e messi in rilievo anche dalla Commissione nel proprio Rapporto, esso si è rivelato uno strumento di particolare importanza proprio nei confronti delle famiglie con minori e dei minori stessi: non soltanto perché ha fornito garanzie di reddito minime a famiglie prive di mezzi, ma perché, impegnando i genitori in una riflessione sulle proprie responsabilità e sui propri doveri, ha costituito uno strumento efficace di contrasto all’evasione scolastica, incoraggiando anche il ritorno in formazione di adolescenti e giovani che l’avevano abbandonata troppo presto.
Non sappiamo se e come la persistenza e l’aumento della povertà tra i minori e le loro famiglie riuscirà ad attrarre sufficiente attenzione, per motivare politiche meno timide e possibilmente risolutive. Peraltro, il contrasto alla povertà e ai rischi di esclusione sociale delle generazioni più giovani costituirà uno dei punti di attenzione nella verifica dell’efficacia nelle azioni di contrasto alla povertà che ogni Paese dell’Unione europea si è impegnato a sviluppare nel biennio appena iniziato. Tenendo conto, per quel che ci riguarda più da vicino, che a soffrire di più delle deficienze nazionali sono, tanto per cambiare, le regioni meridionali e le Isole. Eterno discorso del dualismo italiano, sempre duro a morire.

   
   
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