NellEgitto
conquistato dai
romani, nel quarto secolo dopo Cristo,
si fusero monete
di vetro, perché
scarseggiavano
i metalli.
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Siamo stati dapprima del tutto indifferenti, poi un po preoccupati,
infine angosciati per la messa in soffitta delle monete nazionali
e per lingresso delleuro. Era (ed è tuttora)
un problema di far di conto, per abituarci alla nuova
divisa adottata dalla maggior parte dei Paesi dellUe, oltre
che da San Marino e dalla Città del Vaticano. Eppure, la
storia dimostra che le monete sono cambiate continuamente, anche
nella forma e nei materiali che le componevano, con trasformazioni
che in non pochi casi sono state davvero straordinarie. Cè
stata persino una fase pre-monetale, che precedette
cioè luso delle monete, quando non esistevano le tre
condizioni, i tre requisiti di base delle attuali monete: che dovevano
essere segnate, frazionabili e agevolmente trasportabili.
Luomo ha utilizzato di tutto, per i suoi scambi, prima di
giungere allinvenzione della moneta: semi, conchiglie, pietre,
metalli, terrecotte, e molte di queste soluzioni sono rimaste in
vigore fin quasi ai nostri giorni. Gli esperti ritengono che questa
proiezione fino al XX secolo sia dovuta al fatto che le monete hanno
un valore puramente economico, mentre le altre avevano (e in alcuni
casi ancora hanno) un surplus di valore legato a fattori
morali, tuttavia poco adatti in tempi di globalizzazione.
Si tenga inoltre conto che in alcune aree impervie del pianeta,
dallAmazzonia al Borneo, fra le tribù che non hanno,
o hanno rifiutato contatti con la nostra civiltà, vigono
ancora sistemi di baratto, che in pratica non conoscono uso e funzioni
delle monete, e sia pure delle fantastiche monete inventate
dalluomo per i suoi traffici e per le sue compravendite.
Furono delle goccioline di elettro, vale a dire di oro e dargento
fusi, a rappresentare le prime monete del mondo classico. Ogni gocciolina
valeva una moneta. Fino a quando qualcuno, in Anatolia (poi Asia
Minore, infine Turchia), pensò di versare diverse goccioline
insieme, fino a formare una piastrellina (quasi sempre irregolarmente
ovale) sulla quale impresse un segno per certificare un peso standard,
e dunque garantire il valore-oro/elettro. Venne creato in questo
modo, nel 610 avanti Cristo, lo statere.
Non molto tempo dopo, un certo Faneos (probabilmente un mercante
di Mileto, oppure di Efeso) si fece delle monete personali, imprimendo
sulle due facce del dischetto metallico, rispettivamente, un segno
cruciforme e la figura di un cervo accompagnato dalliscrizione
Io sono il simbolo di Faneos: che era come dire che
lui personalmente garantiva peso e valore dello statere (in greco,
statèr, da cui poi deriverà il termine stadera,
il noto strumento per pesare). Nacque così la prima, vera
moneta.
Fino a quel momento, infatti, gli abitanti dellAnatolia avevano
usato come moneta base certi spiedi di ferro di peso standardizzato
che, rappresentando ciascuno lunità monetaria minima,
venivano utilizzati a mazzetti. Con linvenzione dello statere,
gli spiedi caddero immediatamente in disuso, lasciandoci soltanto
il nome (obolo) per indicare una moneta di scarso valore,
e, in traslato, la moneta data con fini caritatevoli.
Trasferiamoci nei mari dOriente, anzi dellEstremo Oriente.
Lucente, splendida, e con richiami sessuali nella forma, la conchiglia
cauri è stata la più antica e la più diffusa
moneta del mondo. Furono i nostri antenati preistorici a notare
la somiglianza singolare tra il cauri e lanatomia femminile.
E ne rimasero tanto affascinati, da farne un oggetto-simbolo: lo
utilizzarono per farne collane e ornamento degli abiti e per gli
scambi anche con regioni lontanissime dal mare. Già allora,
comunque, perché non vi fossero dei privilegiati (gli uomini
contigui alle coste marine, favoriti rispetto a tutti gli altri)
nacquero sistemi di controllo delleconomia dei cauri. Secondo
gli etnologi, infatti, in unisola del Pacifico soltanto le
conchiglie che venivano raccolte dal re su una spiaggia particolare
e in una speciale occasione cerimoniale avevano valore di moneta.
Tutti gli altri cauri, raccolti in spiagge diverse, non avevano
lo stesso valore. Ma come distinguere i cauri reali
da tutti gli altri? Ipotesi: dal momento che esistono varie specie,
molto probabilmente il re ne sceglieva un tipo particolare. I primi
europei che ne vennero a conoscenza, notando la somiglianza dei
cauri col sesso della scrofa, lo definirono porcellona,
nome che affibbiarono anche a tazze e piatti lucenti come i cauri.
Da qui, il termine porcellana.
«I Maya le considerano e le tengono nel medesimo conto e
stima in cui i cristiani tengono oro e moneta, poiché queste
mandorle sono tali da poterci comprare qualunque cosa»: così
il cronista spagnolo Oviedo, che ci informa sullimpiego come
monete dei semi di cacao, con i quali i popoli dellAmerica
tropicale precolombiana preparavano anche una gradevole bevanda
zuccherina (kakaw in lingua maya significa cioccolata).
Notazione da sottolineare: il pericolo di inflazione dovuto a un
eccesso di produzione di tali semi veniva bilanciato proprio dalla
bivalenza del prodotto che consentiva di togliere dalla circolazione
le eccedenze, trasformandole in cioccolata. Il deterioramento naturale,
poi, impediva laccumulo eccessivo del prodotto, mantenendo
abbastanza costante il valore corrente dei semi in circolazione
monetaria. La sua gran diffusione costrinse Cortés, conquistatore
dellimpero azteco, a pagare le sue truppe con quei semi. Tra
i Maya dellaltopiano del Guatemala, i semi di cacao vennero
utilizzati come moneta fino agli inizi del XX secolo.
Le monete più sorprendenti sono quelle in pietra dellisola
di Yap, nella Micronesia dellOvest: dischi litici forati al
centro, con un diametro variabile da cinque centimetri a più
di tre metri. Per poterne disporre, gli uomini navigavano in canoa
fino allarcipelago di Palau (400 chilometri di distanza) dove
cerano cave di aragonite. Il valore, oltre che dalle dimensioni,
era determinato dalla qualità delle pietre, dal lavoro per
coniarle, dai pericoli corsi trasportandole via mare, persino dal
prestigio del proprietario. Se le pietre-moneta affondavano durante
il viaggio, le si riteneva sempre di proprietà di chi le
aveva perdute. Sono state di uso corrente fino al 1930. Erano utilizzate
per gli scambi commerciali, e oggi come dote, per lacquisto
di terreni, per appianare questioni in famiglia. E vietato
esportarle senza il consenso del capoclan. I collezionisti le pagano
da uno a dieci milioni di lire, secondo le dimensioni.
Altre monete eccentriche. Presso le popolazioni Poke, in Zaire,
se ne usavano a forma di spada, lunghe anche oltre un metro, come
monete matrimoniali: erano offerte ai genitori nella
speranza di ottenere in moglie una loro figlia. Solo votive, nel
primo secolo avanti Cristo, le monete romane a forma di coscia di
maiale, con i ritratti di Augusto e di Agrippa. Monete cinesi erano
a forma di spada, di zappa, di sella, circolate fino al 1930. Asce-moneta,
cioè sottili lamine di rame a forma di ascia, vennero usate
dalle popolazioni precolombiane dellEcuador in epoca incaica.
Le si univa anche in mazzetti, alcuni dei quali sono stati rinvenuti
nelle tombe, riportando alla nostra memoria lobolo che in
epoca romana veniva posto in bocca ai defunti perché potessero
pagare Caronte traghettatore nellaldilà.
Le monete coniate in stato di necessità, evidentemente in
periodi e fasi di emergenza. NellEgitto conquistato dai romani,
nel quarto secolo dopo Cristo, si fusero monete di vetro, perché
scarseggiavano i metalli. Stesso materiale fu usato in Libano: monete
di colore verde-azzurro, oppure rosso rubino. Meno preziose quelle
di terracotta rossastra prodotte in Germania al tempo di Weimar
(1925-28), quando la grande depressione economica rese introvabile
il metallo. Brillanti monete di porcellana circolarono nello Stato
tedesco di Meissen, alla fine del XVII secolo, per fare invidia
ai Paesi vicini che non riuscivano ancora a produrla. E lasciamo
da parte gli assegnini italiani e persino le caramelle
Rossana dati in resto ovunque, e ovunque accettati come forme
di pagamento, quando cera penuria di monete spicciole.
Veniamo, invece, ai trucchi partenopei. Oltre allassillo della
falsificazione, che è problema planetario, a Napoli cera
unincognita in più: si grattavano i bordi
delle monete, per sottrarre metallo prezioso. Così si alterava
il valore nominale, squilibrato rispetto a quello reale. Fino a
che Filippo IV, re di Spagna e di Napoli, nella prima metà
del 1600 ideò una moneta dargento a consumo:
cioè una moneta con due cerchi concentrici, con incisi i
rispettivi valori: Vale dieci grani e Vale cinque
grani. Erano frazioni del carlino, moneta mai
trovata integra, ma soltanto limata.
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