Alluscita dalla
scuola dellobbligo,
i ragazzi italiani
risultano
significativamente sotto la media
rispetto ai coetanei del resto del mondo.
|
|
La ricerca pubblicata dallOcse sulla qualità dellapprendimento
scolastico in trentadue Paesi industrializzati ha avuto ampio spazio
informativo, con commenti approfonditi. Si tratta di dati veramente
allarmanti sullo stato della nostra scuola, stato peraltro già
documentato in precedenti dossier, e che trova ora conferma in un
articolato confronto internazionale. Alluscita dalla scuola
dellobbligo, tenuto conto di tutti i diversi parametri utilizzati
nella ricerca, i ragazzi italiani risultano significativamente sotto
la media rispetto ai coetanei del resto del mondo: più in
dettaglio, sono per esempio al ventesimo posto nella comprensione
di un brano scritto, al ventitreesimo nella cultura scientifica,
al ventiseiesimo nelle conoscenze matematiche.
Possiamo farci unidea di cosa significhino in pratica queste
valutazioni, ricordando il dato di una ricerca di qualche anno fa:
negli istituti tecnici industriali e nei licei scientifici uno studente
su quattro non aveva saputo calcolare una percentuale, così
come uno su due negli istituti commerciali e nei licei classici.
La condizione della scuola ha già pesanti conseguenze sulla
nostra società, e di più pesanti ne avrà in
futuro, se non si corre ai ripari.
Nei commenti, le prime osservazioni riguardano le conseguenze prevedibili
sulle possibilità di sviluppo economico: nelleconomia
contemporanea la conoscenza è infatti diventata la prima
risorsa produttiva. Si può però aggiungere un altro
risvolto, meno ovvio, della questione: nella fluida economia di
mercato di oggi siamo tutti invitati ad essere imprenditori di noi
stessi, a investire a seconda delle opportunità, sempre adattandoci
a seconda del vento.
Questo nuovo gioco difficile può complessivamente riuscire
solo se sono diffuse le risorse per giocarlo: fra queste, assolutamente
di base, perché alla base di ogni possibilità di futuri
apprendimenti, sono le capacità logiche, espressive, di calcolo,
che si imparano negli anni della scuola. I dati citati ci dicono
che, nel prossimo futuro, molti non riusciranno a reggere il gioco,
e rischieranno di andare alla deriva.
Le conseguenze non toccano però soltanto leconomia.
Pensiamo alla partecipazione politica: siamo sicuri che i cittadini
comprendano bene le domande che sempre più di frequente sono
poste in sondaggi, per misurare e raccogliere lopinione pubblica?
Chi risponde non so è perché non ha unopinione
precisa o perché non capisce che cosa viene richiesto? E
chi risponde ha davvero capito? Se ci fosse un referendum sulla
delicata questione delle rogatorie, quanti si troverebbero nella
imbarazzante condizione di non sapere che cosa significa quel termine?
Lo spazio della manipolazione dellopinione pubblica si sta
ampliando.
Non è il caso di edulcorare la pillola, ma cè
bisogno di capire bene. Una questione importante è che quelli
riferiti sono dati medi, che possono anche nascondere significative
variabilità. In uno stesso tipo e livello di scuola esistono
lo sappiamo bene istituti eccellenti e altri pessimi.
Daltro canto, si sa anche che buoni percorsi liceali e buoni
percorsi universitari consentono a giovani laureati italiani di
inserirsi molto bene in dottorati allestero, per esempio negli
Stati Uniti: la loro preparazione di base è considerata eccellente.
Probabilmente le medie, che sicuramente sono cattive, nascondono
tuttavia significative differenze e polarizzazioni, e proprio su
queste sarebbe necessario indagare, anche se al momento i dati non
lo consentono. Sulla qualità di insegnamento e apprendimento
incidono molti fattori, interni ed esterni alla scuola; riflettere
sui meccanismi che oggi producono polarizzazioni a parità
di ordinamenti, di programmi e di dotazioni sarebbe illuminante.
Un esempio è la differenza regionale. Una ricerca degli anni
Settanta aveva trovato per il Mezzogiorno risultati peggiori rispetto
al Nord e paragonabili a quelli ottenuti in Paesi in via di sviluppo.
Ciò ha certo a che fare con le condizioni di svantaggio socio-economico
delle regioni meridionali, ma dire questo non è ancora individuare
perché e come quelle condizioni si riflettono sulla scuola.
Daltro canto, il Sud è molte realtà diverse,
e polarizzazioni importanti verso il basso si trovano anche in zone
del Nord. E il caso di molti distretti industriali di successo
nel mitico Nord-Est (ma non solo), dove si è riscontrata
una scolarizzazione nelle secondarie molto bassa, perché
appena possibile i giovani sono spinti al lavoro. Qui non è
difficile immaginare un meccanismo che riguarda anche il rendimento
scolastico: è il gioco al ribasso che si innesca tra studenti
svogliati, famiglie pressanti e professori demotivati nellambito
di una cultura locale che vede nella scuola un passaggio poco importante,
da superare in fretta.
Quanti più meccanismi del genere conosceremo, relativi alle
tendenze di polarizzazione, tanto più potremo intervenire
efficacemente, evitando di riprodurne anche nei nuovi schemi scolastici
in progetto. Per esempio, non è unipotesi peregrina
immaginare che la combinazione di privatizzazione della scuola e
nuovo esame di maturità, in qualche caso, potrà aumentare
gli alti rendimenti, ma in molti casi anche intrecci al ribasso
delle aspettative di studenti, famiglie e insegnanti, cosa che già
si verifica in molti istituti privati esistenti. Ne risulterebbe
una media scadente. Le ricerche sociali disponibili sono in grado
di suggerire diversi di questi meccanismi. Chi prepara la scuola
del futuro ne tiene veramente conto?
|