Marzo 2002

(S)PARLANDO DI SCUOLA ITALIANA

Indietro
Tecnici per il futuro
Fabrizio Chiarini  
 
 

 

 

 

 

All’uscita dalla
scuola dell’obbligo,
i ragazzi italiani
risultano
significativamente sotto la media
rispetto ai coetanei del resto del mondo.

 

 

La ricerca pubblicata dall’Ocse sulla qualità dell’apprendimento scolastico in trentadue Paesi industrializzati ha avuto ampio spazio informativo, con commenti approfonditi. Si tratta di dati veramente allarmanti sullo stato della nostra scuola, stato peraltro già documentato in precedenti dossier, e che trova ora conferma in un articolato confronto internazionale. All’uscita dalla scuola dell’obbligo, tenuto conto di tutti i diversi parametri utilizzati nella ricerca, i ragazzi italiani risultano significativamente sotto la media rispetto ai coetanei del resto del mondo: più in dettaglio, sono per esempio al ventesimo posto nella comprensione di un brano scritto, al ventitreesimo nella cultura scientifica, al ventiseiesimo nelle conoscenze matematiche.
Possiamo farci un’idea di cosa significhino in pratica queste valutazioni, ricordando il dato di una ricerca di qualche anno fa: negli istituti tecnici industriali e nei licei scientifici uno studente su quattro non aveva saputo calcolare una percentuale, così come uno su due negli istituti commerciali e nei licei classici. La condizione della scuola ha già pesanti conseguenze sulla nostra società, e di più pesanti ne avrà in futuro, se non si corre ai ripari.
Nei commenti, le prime osservazioni riguardano le conseguenze prevedibili sulle possibilità di sviluppo economico: nell’economia contemporanea la conoscenza è infatti diventata la prima risorsa produttiva. Si può però aggiungere un altro risvolto, meno ovvio, della questione: nella fluida economia di mercato di oggi siamo tutti invitati ad essere imprenditori di noi stessi, a investire a seconda delle opportunità, sempre adattandoci a seconda del vento.
Questo nuovo gioco difficile può complessivamente riuscire solo se sono diffuse le risorse per giocarlo: fra queste, assolutamente di base, perché alla base di ogni possibilità di futuri apprendimenti, sono le capacità logiche, espressive, di calcolo, che si imparano negli anni della scuola. I dati citati ci dicono che, nel prossimo futuro, molti non riusciranno a reggere il gioco, e rischieranno di andare alla deriva.

Le conseguenze non toccano però soltanto l’economia. Pensiamo alla partecipazione politica: siamo sicuri che i cittadini comprendano bene le domande che sempre più di frequente sono poste in sondaggi, per misurare e raccogliere l’opinione pubblica? Chi risponde “non so” è perché non ha un’opinione precisa o perché non capisce che cosa viene richiesto? E chi risponde ha davvero capito? Se ci fosse un referendum sulla delicata questione delle rogatorie, quanti si troverebbero nella imbarazzante condizione di non sapere che cosa significa quel termine? Lo spazio della manipolazione dell’opinione pubblica si sta ampliando.
Non è il caso di edulcorare la pillola, ma c’è bisogno di capire bene. Una questione importante è che quelli riferiti sono dati medi, che possono anche nascondere significative variabilità. In uno stesso tipo e livello di scuola esistono – lo sappiamo bene – istituti eccellenti e altri pessimi. D’altro canto, si sa anche che buoni percorsi liceali e buoni percorsi universitari consentono a giovani laureati italiani di inserirsi molto bene in dottorati all’estero, per esempio negli Stati Uniti: la loro preparazione di base è considerata eccellente. Probabilmente le medie, che sicuramente sono cattive, nascondono tuttavia significative differenze e polarizzazioni, e proprio su queste sarebbe necessario indagare, anche se al momento i dati non lo consentono. Sulla qualità di insegnamento e apprendimento incidono molti fattori, interni ed esterni alla scuola; riflettere sui meccanismi che oggi producono polarizzazioni – a parità di ordinamenti, di programmi e di dotazioni – sarebbe illuminante.
Un esempio è la differenza regionale. Una ricerca degli anni Settanta aveva trovato per il Mezzogiorno risultati peggiori rispetto al Nord e paragonabili a quelli ottenuti in Paesi in via di sviluppo. Ciò ha certo a che fare con le condizioni di svantaggio socio-economico delle regioni meridionali, ma dire questo non è ancora individuare perché e come quelle condizioni si riflettono sulla scuola. D’altro canto, il Sud è molte realtà diverse, e polarizzazioni importanti verso il basso si trovano anche in zone del Nord. E’ il caso di molti distretti industriali di successo nel mitico Nord-Est (ma non solo), dove si è riscontrata una scolarizzazione nelle secondarie molto bassa, perché appena possibile i giovani sono spinti al lavoro. Qui non è difficile immaginare un meccanismo che riguarda anche il rendimento scolastico: è il gioco al ribasso che si innesca tra studenti svogliati, famiglie pressanti e professori demotivati nell’ambito di una cultura locale che vede nella scuola un passaggio poco importante, da superare in fretta.
Quanti più meccanismi del genere conosceremo, relativi alle tendenze di polarizzazione, tanto più potremo intervenire efficacemente, evitando di riprodurne anche nei nuovi schemi scolastici in progetto. Per esempio, non è un’ipotesi peregrina immaginare che la combinazione di privatizzazione della scuola e nuovo esame di maturità, in qualche caso, potrà aumentare gli alti rendimenti, ma in molti casi anche intrecci al ribasso delle aspettative di studenti, famiglie e insegnanti, cosa che già si verifica in molti istituti privati esistenti. Ne risulterebbe una media scadente. Le ricerche sociali disponibili sono in grado di suggerire diversi di questi meccanismi. Chi prepara la scuola del futuro ne tiene veramente conto?

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000