Nonostante i suoi estesi controlli,
la Corte dei Conti non è riuscita a far funzionare meglio
le pubbliche
amministrazioni.
|
|
La Corte dei Conti è sempre meno ascoltata dal Parlamento
(che dovrebbe essere il suo interlocutore istituzionale) e sempre
più malvista dalle Pubbliche Amministrazioni (al servizio
delle quali dovrebbe lavorare). Rischia dunque di perdersi in meandri
da cui si finisce cancellati. Si tratta della conclusione di una
vicenda lunga mezzo secolo, che inizia allincirca nel 1950.
In quegli anni, la Corte era composta in larga parte di ragionieri,
che si intendevano di conti. Costoro non avevano la pretesa di giudicare
gli uffici pubblici, ma di consigliarli. Ed esercitavano con molta
parsimonia i controlli cosiddetti preventivi.
Più tardi, tutti i fattori sono cambiati. La Corte dei Conti
è diventata solo un luogo per giuristi, più esperti
di leggi che di conti. Costoro, un po per scimmiottare il
Consiglio di Stato, un po per ottenere un miglior trattamento
economico, si sono a poco a poco arrogati ruoli e status da giudici,
anche se tali non erano. Di conseguenza, hanno cominciato a seguire
procedure giudiziarie anche dove non cerano processi. Si è
aggiunta la spinta che deriva dal desiderio di potere, che ha ampliato
larea del controllo preventivo, un controllo nel quale controllante
e controllato, in sostanza, cogestiscono; che, quindi, dà
al controllante un ruolo di amministrazione attiva.
Ne è seguito un progressivo distacco del personale della
Corte dei Conti dal personale pubblico in generale, che ha spinto
questultimo a vedere il primo con occhi sempre più
critici. Una tale evoluzione ha aggravato un difetto iniziale, al
quale la Costituzione non aveva posto rimedio: la Corte dei Conti
svolge troppe funzioni, quella di controllore, quella di giudice
della responsabilità detta contabile, quella di revisore
dei conti dello Stato e degli enti.
Una legge del 1994 ha cercato di porre un freno a questo declino
della Corte, limitando larea del cosiddetto controllo preventivo
e ampliando quella del controllo successivo. Ma, da un lato, una
legge immediatamente precedente ha moltiplicato le attività
giurisdizionali, istituendo sezioni e procure regionali della Corte,
che hanno subito incominciato a intimorire le pubbliche amministrazioni;
dallaltro, il tentativo di spostare lattenzione della
Corte su controlli meno formalistici, meno estesi e più approfonditi,
si è scontrato con la cultura legalistica prevalente alla
Corte, con le inerzie, con le resistenze della mentalità
tradizionale.
Siamo ora in una situazione dalla quale nessuno sa come uscire.
Gli unici punti fermi sono i seguenti:
1) Nei Paesi anglosassoni vi sono uffici di Audit che
funzionano bene. Introdurli in Italia è possibile. Ma non
possono essere aggiunti alla Corte dei Conti. Per cui, o si convince
la Corte a introdurre al proprio interno personale esperto in controlli
di efficienza (la legge è già stata approvata, si
tratta solo di volerla applicare), o si affidano tali controlli
a un organismo nuovo, da costituire, ma, in questo caso, la Corte
rimane senza lavoro.
2) Nonostante i suoi estesi controlli, la Corte dei Conti non è
riuscita a far funzionare meglio le pubbliche amministrazioni. Per
cui ci si può chiedere se i benefìci che provengono
dalla sua attività siano superiori ai costi che essa produce.
3) Per quanto possa apparire paradossale, tra i funzionari della
Corte dei Conti vi sono persone eccellenti, e, nel complesso, il
personale della Corte è, per preparazione ed esperienza,
di qualità ben superiore a quello degli uffici pubblici e
di molte strutture private. Ma, stando in una macchina che gira
dalla parte sbagliata, finisce per dare poco o nulla al miglioramento
delle pubbliche amministrazioni, producendo, così, solo frustrazione
nei migliori.
|