Marzo 2002

VIALI DEL TRAMONTO

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Corte nel tunnel
Sabino Cassese  
 
 

 

 

Nonostante i suoi estesi controlli,
la Corte dei Conti non è riuscita a far funzionare meglio
le pubbliche
amministrazioni.

 

 

La Corte dei Conti è sempre meno ascoltata dal Parlamento (che dovrebbe essere il suo interlocutore istituzionale) e sempre più malvista dalle Pubbliche Amministrazioni (al servizio delle quali dovrebbe lavorare). Rischia dunque di perdersi in meandri da cui si finisce cancellati. Si tratta della conclusione di una vicenda lunga mezzo secolo, che inizia all’incirca nel 1950. In quegli anni, la Corte era composta in larga parte di ragionieri, che si intendevano di conti. Costoro non avevano la pretesa di giudicare gli uffici pubblici, ma di consigliarli. Ed esercitavano con molta parsimonia i controlli cosiddetti preventivi.
Più tardi, tutti i fattori sono cambiati. La Corte dei Conti è diventata solo un luogo per giuristi, più esperti di leggi che di conti. Costoro, un po’ per scimmiottare il Consiglio di Stato, un po’ per ottenere un miglior trattamento economico, si sono a poco a poco arrogati ruoli e status da giudici, anche se tali non erano. Di conseguenza, hanno cominciato a seguire procedure giudiziarie anche dove non c’erano processi. Si è aggiunta la spinta che deriva dal desiderio di potere, che ha ampliato l’area del controllo preventivo, un controllo nel quale controllante e controllato, in sostanza, cogestiscono; che, quindi, dà al controllante un ruolo di amministrazione attiva.
Ne è seguito un progressivo distacco del personale della Corte dei Conti dal personale pubblico in generale, che ha spinto quest’ultimo a vedere il primo con occhi sempre più critici. Una tale evoluzione ha aggravato un difetto iniziale, al quale la Costituzione non aveva posto rimedio: la Corte dei Conti svolge troppe funzioni, quella di controllore, quella di giudice della responsabilità detta contabile, quella di revisore dei conti dello Stato e degli enti.

Una legge del 1994 ha cercato di porre un freno a questo declino della Corte, limitando l’area del cosiddetto controllo preventivo e ampliando quella del controllo successivo. Ma, da un lato, una legge immediatamente precedente ha moltiplicato le attività giurisdizionali, istituendo sezioni e procure regionali della Corte, che hanno subito incominciato a intimorire le pubbliche amministrazioni; dall’altro, il tentativo di spostare l’attenzione della Corte su controlli meno formalistici, meno estesi e più approfonditi, si è scontrato con la cultura legalistica prevalente alla Corte, con le inerzie, con le resistenze della mentalità tradizionale.
Siamo ora in una situazione dalla quale nessuno sa come uscire. Gli unici punti fermi sono i seguenti:

1) Nei Paesi anglosassoni vi sono uffici di “Audit” che funzionano bene. Introdurli in Italia è possibile. Ma non possono essere aggiunti alla Corte dei Conti. Per cui, o si convince la Corte a introdurre al proprio interno personale esperto in controlli di efficienza (la legge è già stata approvata, si tratta solo di volerla applicare), o si affidano tali controlli a un organismo nuovo, da costituire, ma, in questo caso, la Corte rimane senza lavoro.

2) Nonostante i suoi estesi controlli, la Corte dei Conti non è riuscita a far funzionare meglio le pubbliche amministrazioni. Per cui ci si può chiedere se i benefìci che provengono dalla sua attività siano superiori ai costi che essa produce.

3) Per quanto possa apparire paradossale, tra i funzionari della Corte dei Conti vi sono persone eccellenti, e, nel complesso, il personale della Corte è, per preparazione ed esperienza, di qualità ben superiore a quello degli uffici pubblici e di molte strutture private. Ma, stando in una macchina che gira dalla parte sbagliata, finisce per dare poco o nulla al miglioramento delle pubbliche amministrazioni, producendo, così, solo frustrazione nei migliori.

   
   
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