Marzo 2002

RISPARMIO & INVESTIMENTI

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E intanto le famiglie
fuggono dal listino
Gian Marco Moretti  
 
 

 

 

Una fuga in grande stile, per difendersi, almeno in parte,
dai crolli provocati dalla recessione
negli Stati Uniti.

 

 

Meno azioni italiane, più estero e più reddito fisso nei portafogli delle famiglie. La svolta è sopraggiunta lo scorso anno: dopo quattro anni di feeling, dicono i numeri dell’Istituto di Emissione, i risparmiatori hanno voltato le spalle a Piazza Affari.
In cifre, fa 41 mila miliardi in meno rispetto al 1999, quando gli investimenti sui listini nazionali erano cresciuti di 5 mila miliardi. Tramontato il boom di privatizzazioni (o privatizzazioni all’italiana), finita la crescita degli utili, è cominciato il riflusso sui titoli di Stato, ma non sul breve termine, sui Bot che il Tesoro ha continuato ad offrire con rendimenti bassi: le famiglie hanno preferito il medio-lungo termine.
Un grosso balzo per i prodotti del settore: 56.294 miliardi raccolti in un anno, mentre il breve termine ne perdeva oltre 8 mila. Il “salto” sulle Borse estere ha fatto il resto: mentre azioni, fondi, obbligazioni e derivati italiani perdevano in complesso 7 mila miliardi, le piazze straniere ne attiravano 34.300 più del ‘99. E la decisa frenata sui titoli ne ha innescato un’altra sui Fondi, dove gli investimenti delle famiglie hanno prodotto un aumento di 39 mila miliardi, contro i 176 mila dell’anno precedente.
Una fuga in grande stile, per difendersi, almeno in parte, dai crolli provocati dalla recessione negli Stati Uniti. Lo scorso anno si è cominciato a diversificare, senza però uscire del tutto dalla Borsa: la famiglia italiana resta leader degli investimenti. Tra la fine del 1995 e il 1999, la sua quota di azioni e Fondi in portafoglio è aumentata di 27 punti percentuali (dal 18 al 45,6 per cento). E’ il tasso più elevato nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea, degli Stati Uniti, del Giappone e del Regno Unito.
Non è neanche il solo primato: la famiglia italiana si segnala anche per la scarsa propensione a far debiti. Sempre tra il ‘95 e il ‘99, ha aumentato le passività dal 22 per cento al 28 per cento del Prodotto interno lordo, ma resta sempre a un livello inferiore di Germania e Spagna. Una media, nello stesso periodo, di 19 famiglie indebitate su 100 in Italia, a fronte delle 43 in Germania e delle 74 negli Stati Uniti. Soldi quasi sempre investiti nel mattone, visto che il fattore fondamentale di indebitamento è rappresentato dall’acquisto e dalla ristrutturazione di immobili (per il 60 per cento delle famiglie proprietarie, la casa, sebbene colpita dal più medioevale dei balzelli, l’Ici, dichiarata incostituzionale altrove in Europa e nel mondo, rappresenta il 75 per cento del patrimonio).
Non è un quadro rassicurante, perché nell’ultimo decennio è cambiata radicalmente la propensione al risparmio ed è aumentata la tendenza a investire all’estero: a fine 2000, il patrimonio netto dei Fondi comuni risultava composto per il 53 per cento da attività estere, e per le azioni la quota era del 75 per cento. Il saldo dei movimenti di portafoglio dal 1995 si è progressivamente deteriorato e nel 2000 è risultato negativo per 51 mila miliardi. Più “formiche” di noi si sono dimostrati francesi e giapponesi: nel 2000 il rapporto fra risparmio e reddito è sceso all’11,3 per cento (17,2 per cento nel ‘93), contro il 15,6 per cento della Francia e il 12,8 per cento del Giappone. Soltanto in Germania (10,1 per cento) e nel Regno Unito (3,9 per cento) è più basso, mentre si è annullato negli Stati Uniti.

   
   
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