Lattuale
rischio di stallo
e di involuzione
avviene senza che lopinione pubblica europea e lo stesso Parlamento
europeo
riescano a far sentire
il proprio peso.
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Insieme con le Twin Towers, le Torri Gemelle newyorkesi, i terroristi
islamici potrebbero aver colpito frontalmente anche lintegrazione
europea. Ciò che si è verificato nelle settimane immediatamente
successive allattentato ha costituito per lEuropa un
arretramento di indubbia gravità. Capi di Stato e di governo
si sono precipitati a Washington alla spicciolata, credendo con
ciò di dimostrare allalleato americano e alla propria
smarrita opinione pubblica una pretesa primogenitura nella solidarietà.
Leader politici che hanno organizzato riunioni separate su questioni
che riguardavano la sicurezza europea nel suo insieme; proteste
per lesclusione dellItalia dallincontro a tre,
compiute in nome di una supposta dignità nazionale ferita
e non invece, come sarebbe stato imperativo, in nome dellUnione
europea vulnerata. In questo scomposto agitarsi, del tutto vano
e inefficace, una sola cosa è stata chiara: che il coordinamento
costruito con tanta fatica tra i Paesi dellUnione europea
rischia di sfasciarsi.
Si rendono conto i capi di governo che il loro comportamento può
vanificare unimpresa che è nata mirando non solo e
non tanto allunione economica, quanto e prima di tutto allunione
politica? Come non percepiscono che la stessa unione economica e
monetaria è in pericolo, se vacilla lunione politica?
E che lUnione sarà a rischio finché limpalcatura
comunitaria non verrà completata? Come osano i leader europei
pregiudicare, in modo forse irreversibile, la sola grande iniziativa
riconosciuta ovunque nel mondo che lEuropa ha
saputo costruire dalle macerie delle due guerre mondiali di cui
era stata direttamente responsabile? Come possono i nostri governanti
pensare di servire linteresse dei propri popoli, se rinunciano
allunico strumento davvero in grado di far pesare la voce
dei cittadini, cioè i nostri interessi, i nostri valori,
nelle questioni di guerra e di pace, di giustizia e di equità
che oggi dilaniano il pianeta; e cioè se rinunciano a perseguire
in modo coerente lunificazione politica del Continente?
Lunificazione europea è nata ed è cresciuta
nelle crisi. Nella crisi essa può morire. Sarà forse
un declino lento, un tramonto dorato in una regione tra le più
belle del pianeta. Ma i sintomi premonitori sono allarmanti. Non
vi è apparentemente nessuno, tra i leader al governo, che
sia oggi disposto a rischiare la sua fortuna politica come
seppero fare, tra gli altri, Schumann, De Gasperi, Kohl per
denunciare concretamente linanità di una volontà
di potenza nazionale che i cittadini dei nostri Paesi, ben più
realisti di loro, già da tempo hanno abbandonato.
Non si osa dichiarare la semplice verità, e cioè che
i rimedi istituzionali necessari e sufficienti per portare a termine
il lungo cammino dellUnione sono pochissimi, anche se incisivi.
Non si arriva a comprendere e a far comprendere che tali riforme
le riforme istituzionali di cui si discute da anni, girandovi
attorno sempre senza costrutto saranno necessarie domani
per non far fallire lUnione trasformandola di fatto in una
zona di libero scambio in seguito allallargamento a Est, ma
sono necessarie già oggi per far fronte alla minaccia del
terrorismo.
Le riforme non comportano affatto la fine degli Stati nazionali.
Ciò che si richiede è invece listituzione di
un vero governo europeo nelle questioni non risolubili a livello
nazionale né mediante il solo coordinamento intergovernativo.
Chi adduce a pretesto dellimmobilismo lostilità
di alcuni Stati membri dimentica che nel passato le iniziative più
importanti dellintegrazione europea (dal Mercato comune alla
Moneta unica, dalla politica sociale alla libera circolazione delle
persone e delle merci) sono nate proprio dallimpulso di alcuni,
non di tutti gli Stati che poi ne hanno usufruito.
Lattuale rischio di stallo e di involuzione avviene senza
che lopinione pubblica europea e lo stesso Parlamento europeo
riescano a far sentire il loro peso, che pure è potenzialmente
decisivo. Se così sarà anche in avvenire, allora forse
bisognerà concludere che la sorte dellEuropa come soggetto
di storia è segnata.
Eppure mai come in questo momento (nel Medio ed Estremo Oriente,
nei rapporti con lIslam, in Africa, in America Latina) la
presenza effettiva dellEuropa sarebbe necessaria. Il nostro
passato prossimo e remoto, con le sue ombre e con le sue luci, le
nostre stesse cicatrici, i nostri valori a tutela dei diritti delluomo
(che sono valori universali), la nostra disponibilità a trasferire
quote di sovranità alle Nazioni Unite, la nostra conoscenza
senza pari di popoli, di culture, di economie anche lontane dallOccidente,
potrebbero portare un contributo determinante alla trasformazione
socio-economica del Terzo Mondo, alla soluzione dei conflitti regionali
e alladozione di politiche davvero lungimiranti per la pace
mondiale.
In realtà, sarebbe sufficiente liniziativa coraggiosa
di un Paese senza il quale lintegrazione europea non potrà
mai giungere alla piena realizzazione (la Francia), per raccogliere
ladesione della Germania, dellItalia, del Benelux, e
di altri Paesi sui pochi princìpi davvero imprescindibili,
per trasformare un insieme di soggetti impotenti in una vera unione
di Stati. Questi princìpi sono: decisioni collegiali assunte
a maggioranza sia nel Consiglio europeo che nel Consiglio dei ministri;
riequilibrio dei poteri; sussidiarietà. Soltanto questo.
Nulla di meno di questo.
Come nei mesi che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale,
anche oggi la responsabilità delle classi politiche nazionali
europee, ma in modo particolare di chi le guida, è immensa.
Se in un futuro non lontano, il futuro dei nostri figli e dei nostri
nipoti, lEuropa sarà divenuta una provincia minore
del pianeta, ricca soltanto di una storia gloriosa e di cibi raffinati
e di stoffe dipinte, la loro cecità sarà giudicata
inescusabile. Senza appello. O con remota possibilità di
appello.
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