Gli imprenditori
sanno bene che
non è arroccandosi in difesa,
ma affrontando
le sfide
che si progredisce.
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Ci interroghiamo oggi sul ruolo degli imprenditori nella crescita,
non solo economica, dellItalia negli ultimi centanni.
Ho avuto in sorte, per le responsabilità che mi toccavano
in Fiat, di vivere con coinvolgimento crescente le vicende dellultima
metà del secolo.
Quelle della prima metà le ho apprese in larga parte attraverso
lo sguardo e la testimonianza di chi la Fiat lha fondata,
mio nonno. Da lui ho conosciuto quali fermenti attraversassero lItalia
a cavallo tra Otto e Novecento. Quale entusiasmo per il progresso.
Quale passione per linnovazione. Quali aspettative per lincipiente
decollo dellindustria.
Era quella, tuttavia, ancora unItalia rurale, economicamente
gracile e arretrata. Il reddito pro capite era meno della metà
di quello inglese e di circa un terzo inferiore a quello francese
e tedesco. Lagricoltura deteneva un ruolo di assoluta preminenza,
con una quota del cinquanta per cento nella formazione del reddito.
In Francia era il 34 per cento; in Germania il 29 per cento; in
Inghilterra appena il 7 per cento. Lindustria italiana, al
contrario debole nelle strutture, nelle tecnologie, nellorganizzazione,
e dunque assai poco competitiva concorreva a malapena ad
un 20 per cento della ricchezza nazionale. La metà, o anche
meno, di quanto già avveniva negli altri grandi Paesi europei.
Ma fu proprio in quegli anni che partì in Italia una lunga
rincorsa, che portò in larga misura a colmare ogni divario.
Al punto che oggi il nostro reddito pro capite ha raggiunto quello
tedesco, è il 95 per cento di quello francese, e il 90 per
cento di quello inglese. E ugualmente simile a quella dei nostri
partner è la sua provenienza settoriale, con un peso dellindustria
che ci avvicina molto alla Germania.
E con questi progressi che lItalietta di centanni
fa come spregevolmente fu definita è arrivata
a sedersi oggi al tavolo delle principali economie del mondo. Dietro
questo straordinario sviluppo che ha portato la ricchezza
del nostro Paese a crescere di oltre quattordici volte nel Novecento,
quanto in nessunaltra grande Nazione europea cè
lo spirito imprenditoriale italiano.
Ci sono per parlare solo di altre generazioni i grandi
capitani dindustria, uomini come Alberto Pirelli, Camillo
Olivetti, Guido Donegani, Ettore Conti, Cesare Pesenti, Angelo Costa.
Ci sono i grandi uomini di banca e di finanza, come Alberto Beneduce,
Donato Menichella, Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia. Ci sono i grandi
manager pubblici, come Oscar Sinigaglia, Agostino Rocca, Enrico
Mattei. Tutti animati da unidea di sviluppo che non era solo
economica e produttiva, ma civile.
Furono uomini come questi con la forza delle idee e il coraggio
dellazione a sospingere la modernizzazione dellItalia.
Ma non solo. Credo che ad essi vada attribuito un merito ulteriore.
Fatta lItalia, occorreva fare gli italiani, si diceva nellOttocento.
Certamente, nessuno più degli imprenditori ha preso sul serio
il motto attribuito a Massimo DAzeglio. Quel che le forze
economiche hanno fatto, dagli inizi del Novecento, è stata
lunificazione materiale del Paese, indispensabile complemento
dellunificazione istituzionale.
Ad unItalia più unita, più coesa, le imprese
hanno portato il contributo della progressiva diffusione del benessere,
dei livelli di reddito e di consumo sempre più omogenei,
ma anche di una cultura moderna delleconomia, dei suoi princìpi,
delle sue leggi.
La politica non è certo rimasta estranea a queste trasformazioni.
Talvolta le ha stimolate; talvolta le ha tollerate; talvolta le
ha frenate. Diciamo che comunque non ha mai molto amato limpresa,
specie se grande, specie se privata. Forse è per questo che
diversamente da quanto accadeva altrove qui da noi
limpresa ha faticato a vedersi riconoscere come una risorsa
vitale e un bene da difendere.
Non è necessario che attinga a memorie personali per ricordare
quale rispetto, ma anche quale distacco se non diffidenza hanno
a lungo circondato gli imprenditori. Oggi, certamente, i tempi sono
cambiati. Ma a chi tanto si è battuto per dare radici forti
allo sviluppo italiano va dato atto di questa difficoltà
in più lisolamento con la quale ha dovuto
spesso confrontarsi.
Cè un merito storico, tuttavia, che alla politica non
si può disconoscere. E quello delle scelte che hanno
collocato il nostro Paese nellarea delle democrazie occidentali,
delle economie aperte, della solidarietà atlantica. E
su queste fondamenta che lItalia negli ultimi cinquantanni
ha potuto consolidare il suo sviluppo. E sulle quali dovrà
consolidare quello futuro, cogliendo le opportunità della
sua appartenenza al mondo libero e condividendone anche gli oneri.
Non possiamo certo pensare di operare e prosperare al di fuori della
nostra partnership col resto dellEuropa e con gli Stati Uniti.
Detto questo, se il nostro Paese vuole mantenere il rango che ha
raggiunto, non può arrestare la sua opera di riforma. Non
è tempo di tirare i remi in barca. Certo, i tragici eventi
americani e il conflitto in Afghanistan ci hanno posto di fronte
ad uno scenario denso di incertezze e di ragioni di preoccupazione.
Leconomia mondiale che già era in frenata prima
degli attentati manifesta chiari segni di ulteriore deterioramento.
Il rischio di un più forte rallentamento negli Stati Uniti
è tuttaltro che remoto. Per lEuropa si può
pensare a una tenuta, ma su livelli assai più bassi di quanto
non si ritenesse prima dell11 settembre. E un quadro
nel quale per nessuno né imprese né governi
è facile tenere fede agli obiettivi.
Come sempre succede in questi casi, vi sono due modi per affrontare
i momenti di crisi. Cè chi assume un atteggiamento
passivo, in attesa che la tempesta finisca. Cè invece
chi non si ferma, chi cerca di andare avanti, di fare un po
meglio degli altri. Unazienda che non affronta i momenti difficili
riorganizzandosi e migliorando i propri fondamentali certamente
fa molta più fatica a superarli e a riprendere poi slancio.
Credo che valga anche per i governi. Non si deve giocare in difesa.
Occorre continuare a fare le cose che vanno fatte. Occorre, con
grande determinazione, realizzare programmi efficaci per stare al
passo con gli altri e non perdere terreno. Se possibile, per essere
un po più rapidi e per portarci più avanti.
Le nostre priorità quando si parla di politica economica
sono ben note e presenti nel programma di governo.
Dare assetti definitivi e sostenibilità di lungo periodo
al sistema previdenziale. Rilanciare gli investimenti in infrastrutture.
Avanzare nel processo di privatizzazioni e liberalizzazioni. Smantellare
le burocrazie statali. La competitività e la crescita dellItalia,
nel loro insieme, passano per queste strade di riforma. E quanto
più saremo capaci di batterle, tanto più lo spirito
imprenditoriale italiano troverà stimolo e sostegno nel far
fronte alle sue responsabilità. Le responsabilità
dellinnovazione, dellinvestimento, della formazione
delle persone, della qualità dei prodotti, della conquista
di nuovi mercati, della creazione di valore.
Gli imprenditori sanno bene e questi centanni lo dimostrano
che non è arroccandosi in difesa, ma affrontando le
sfide che si progredisce. Queste sfide potranno anche essere dure,
difficili, come quelle che ci prospetta il momento presente. Ma
nessun ostacolo è insormontabile quando ci sono la forza
delle idee e il coraggio dellazione.
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