Marzo 2002

CONTRO LE SPECULAZIONI

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Inapplicabile tassa
James Tobin Premio Nobel - Università di Yale
 
 

 

 

La gente
che guadagna di più deve essere tassata per migliorare
gli standard di vita di coloro che sono meno fortunati.

 

 

La mia proposta piaceva molto a Mitterrand. So che in Francia è sorto un movimento con trentamila aderenti, “Attac”, per sollecitarne l’applicazione. Anzi, ci ha addirittura aggiunto dei pezzi che non c’entrano, come l’idea di usare il gettito ricavato per stimolare la cooperazione internazionale. Ma questo non mi rende più ottimista sulle possibilità di tradurla in pratica, perché la comunità finanziaria (inclusi i ministri delle Finanze dei Paesi industrializzati e le loro Banche centrali) non la vuole. Di solito, i politici la sostengono quando sono all’opposizione, ma se ne dimenticano improvvisamente quando vanno al governo.

La mia è una proposta impopolare, perché alla gente non piace essere tassata. Ritiene che sia un’interferenza ingiustificata con le leggi del libero mercato. Eppure, continuo a considerarla una misura utile a contenere la volatilità dei mercati valutari: naturalmente, dovrebbe essere applicata su base globale, altrimenti avrebbe soltanto l’effetto di far spostare gli speculatori sui mercati in cui non viene applicata. Preciso una cosa: io non sono contrario alla globalizzazione in sé, ma ad alcune sue conseguenze negative. Ad esempio, sono favorevole al libero commercio, ma considero miope applicare i meccanismi del mercato all’educazione, alla scienza e alla cultura, come si tende a fare oggi.
Chiarito questo, illustro in sintesi la mia proposta. Ogni giorno sui mercati dei cambi si verificano 1.300 miliardi di dollari di transazioni. Di queste, molto poche consistono in movimenti di capitali effettivamente necessari agli investimenti esteri.
Al giorno d’oggi, i Paesi industrializzati muovono circa duecento miliardi di dollari all’anno per investirli nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Dunque, gran parte delle transazioni quotidiane non hanno relazioni dirette con movimenti virtuosi di capitale produttivo, ma sono semplicemente azioni speculative.
Nel 1972, quando il mondo stava uscendo dal sistema dei cambi fissi di Bretton Woods, proposi di tassare tutte queste transazioni con un’imposta molto bassa, pari allo 0,1 per cento del loro valore, per scoraggiare le inutili fughe di capitali, che spesso generano crisi finanziarie devastanti.
Se mi si chiede: il mondo sarebbe diverso, attualmente, se la mia proposta fosse stata accolta; e la distribuzione della ricchezza, a livello nazionale e internazionale, sarebbe stata più equa, rispondo che la “Tobin Tax” da sola non basta: per evitare i disastri peggiori, come la crisi asiatica o i recenti e recentissimi casi del Brasile, dell’Argentina e della Turchia, bisognerebbe riformare i sistemi bancari e i mercati finanziari di questi Paesi. Dovremmo spendere gran parte delle nostre energie, della nostra intelligenza e della nostra sensibilità, per trovare sistemi che riducano le disparità. Ma l’unico sistema che conosco per affrontare il problema resta sempre lo stesso: la gente che guadagna di più deve essere tassata per migliorare gli standard di vita di coloro che sono meno fortunati.
Suppongo che per ridurre davvero le disparità economiche nel mondo bisognerebbe disfarsi di ogni barriera che impedisce il movimento delle persone, in modo da consentire alla gente di spostarsi liberamente in cerca di lavoro e di remunerazioni più alte. Ma questo porrebbe un immenso problema politico, che – com’è agevole immaginare – è molto difficile, se non impossibile, risolvere.

   
   
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