Il terrorismo
ha soltanto
velocizzato i tempi dellamministra-zione Bush, che peraltro
ha giustificato,
con la guerra,
il cambio di rotta.
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Se lattacco terroristico fosse avvenuto l11 settembre
del 1999, nel bel mezzo del boom industriale e borsistico, alleconomia
americana sarebbe successo poco o nulla. Il guaio è che è
arrivato durante una fase recessiva e in un trimestre che sarebbe
stato comunque pesante. Dunque, le imprese e il governo attribuiscono
ai terroristi colpe che non hanno.
Leffetto del terrorismo si è sentito la prima settimana,
quando nessuno in America ha comprato una sola automobile. Ma nei
giorni successivi ero a Las Vegas e credo di non aver mai visto
così tanta gente allaeroporto. La verità è
che il 99,8 per cento dellattuale crisi economica era già
in corso, anche se poi tutti hanno chiamato in causa il terrorismo.
La Swissair sarebbe arrivata comunque sullorlo del fallimento.
E non vedo perché il governo abbia aiutato le compagnie aeree
per il solo danno di quei quattro giorni durante i quali gli aerei
sono rimasti a terra. Lunico settore che meritava aiuti era
quello assicurativo, dove la mano pubblica, se vogliamo ancora disporre
di aerei e grattacieli, deve garantire una qualche forma di riassicurazione.
Il pacchetto fiscale del Congresso resta lunica strada percorribile.
Del resto, un aumento degli investimenti aziendali è impensabile,
ora che lindustria soffre di sovracapacità produttiva.
Lexport non può trascinare leconomia, perché
anche lEuropa e il Giappone sono in cattive acque. I consumatori
sono frenati dai cinque miliardi di dollari persi sul mercato azionario.
E non credo che gli investimenti immobiliari abbiano la capacità
di risollevare il prodotto nazionale lordo. Quindi non resta che
la spesa pubblica, accompagnata da misure fiscali. Il terrorismo
ha soltanto velocizzato i tempi dellamministrazione Bush,
che peraltro ha giustificato, con la guerra, il cambio di rotta.
Ma lavrebbe cambiata comunque: non poteva permettersi di andare
alle elezioni del prossimo novembre nel bel mezzo di una recessione.
Già nel 99, ai tempi della bolla speculativa di Internet,
dicevo che leconomia americana stava «incorporando una
recessione». Le aziende dot.com erano sopravvalutate allora,
come oggi sono sottovalutate. Mi ricordo di un titolo uscito su
un giornale lanno scorso, a Natale: Il disastro delle
dot.com. Qual era la notizia? Che il fatturato del commercio
elettronico era salito solo del 55 per cento, contro
il più 0,1 per cento dei rivenditori tradizionali. In verità,
ogni nuova industria è una lotteria. Non è un caso
che, fra centinaia di imprese automobilistiche, in America ne sono
sopravvissute tre. Ma intanto Amazon controlla oggi il 10 per cento
del mercato librario, e il 16 per cento dei ricavi dellindustria
finanziaria, che è di per sé enorme, viene da transazioni
elettroniche.
E dirò di più: se parliamo di comunicazioni in senso
allargato (inclusi i server e i router per Internet) quasi il cento
per cento dellattuale recessione deriva da lì. Basti
pensare a quel che è successo in Europa: quando le aziende
hanno investito miliardi e miliardi di dollari nelle licenze Umts
hanno ricevuto il plauso del mercato, che si è poi ricreduto
pochi mesi dopo. E in America, tra il 1999 e il 2000, le imprese
hanno investito una media di 32 miliardi di dollari a trimestre
nelle infrastrutture ottiche: una cifra spaventosa e il fatto incredibile
è che, di quelle fibre ottiche, oggi viene utilizzato soltanto
il due per cento. Quando in Borsa il vento è cambiato, gli
investimenti sono crollati e fa poca meraviglia che si sia innescata
una recessione. Semmai, sono stupito del comportamento della Banca
centrale europea.
Un anno fa, infatti, la Bce parlava di una crescita del 3,6 per
cento nel 2001. Quando ha visto arrivare la recessione americana,
ha abbassato le stime al 3,2. Ma poi non si è mossa, dimenticando
che quel che stava causando una recessione in America avrebbe causato
una recessione in Europa, al più tardi sei o nove mesi dopo.
Sappiamo tutti che lunico modo per evitare una recessione
è di anticiparla: la Bce aveva tutto il tempo di reagire.
E invece, sul fronte dei tassi, ha fatto troppo poco e troppo tardi.
Rimedi possibili? Forse cambiare il patto di stabilità e
permettere ai singoli Paesi di adottare misure di stimolo fiscale.
Sul fronte dei tassi, mi pare che ormai siano scaduti i tempi giusti.
Per il futuro, dobbiamo ricordare che ci sono tre tipi di recessione.
La prima è a V, e si verifica per lo più
quando leconomia incorpora inflazione e un taglio dei tassi
porta a un rapido ritorno degli investimenti e a unaltrettanto
rapida cura. Poi cè quella a L, lunga e
indefinita come nel caso giapponese, che non ci riguarda. E infine
cè quella a U, alla quale assistiamo oggi,
dove non sappiamo quanto a lungo durerà la fase depressiva.
Molto dipende da quando arriveranno gli stimoli fiscali e quali
saranno le loro dimensioni. Se le misure fiscali sono troppo deboli,
magari piccole e ripetute nel tempo, come è successo in Giappone,
non servono a niente.
Per concludere. Poco prima delle ultime elezioni presidenziali,
ho fatto parte di una commissione parlamentare sul tema della crisi
del trade deficit. Tutti eravamo daccordo su una
cosa: un deficit che cresce di 420 miliardi di dollari allanno
è insostenibile. Ma sui tempi della crisi ci siamo trovati
in disaccordo: si presenterà entro quattro anni o più
tardi? Su questo punto posso avere pareri, ma nessuna certezza.
Quindi credo che scriverò un libro, lasciando una ventina
di pagine in bianco. Poi lo finirò al momento giusto.
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