Marzo 2002

PER LA RIPRESA

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La spinta europea
Horst Köhler Direttore Generale del Fmi
 
 

 

 

Non siamo
un’organizzazione
di polizia, abbiamo
la funzione
di monitorare
le politiche
economiche, non di applicare la legge.

 

Le Twin Towers e i riflessi lunghi, certo. Ma i bilanci sono a posto, l’inflazione è a posto, e le risposte americane in termini di politica di bilancio hanno dato una nuova potente risposta. L’Europa potrebbe fare di più in materia di tassi, e, soprattutto, deve accelerare le riforme strutturali. Anche il Giappone dovrà fare la sua parte, e si dovrà lanciare un nuovo giro di negoziati per la liberalizzazione commerciale. Mi rincuora che le cose possano migliorare e non peggiorare, non avremo una recessione mondiale come avevano pronosticato i più pessimisti. Posso anticipare che ci aspettiamo un rafforzamento del tasso di crescita negli Stati Uniti, e per ciò che riguarda il tasso mondiale, le nostre previsioni restano ferme su un positivo 2,5 per cento.

Certamente, gli americani continueranno a sentire il cambiamento e si son resi conto che l’attacco era anche contro le fondamenta del sistema finanziario. Non credo che il singolo cittadino consumerà di più per combattere le preoccupazioni del terrorismo mondiale, ma credo anche che nel momento in cui gli americani sentono una sfida contro la loro nazione, resisteranno con una modifica al loro comportamento di fondo e continueranno a dimostrare fiducia.
Per troppo tempo l’Europa e il Giappone si sono appoggiati agli Stati Uniti. E le loro azioni di politica economica hanno sottostimato le conseguenze di un rallentamento dell’economia statunitense. Oggi abbiamo il problema di un rallentamento sincrono delle economie industrializzate. E’ una situazione non facile. Per questo, adesso più che mai, gli Stati Uniti e il Giappone debbono sapere che non possono far dipendere le decisioni da una ripresa degli Usa, che, ribadisco, tornerà sicuramente. Ma debbono, Europa e Giappone, dimostrare di avere la forza e i mezzi per rimettersi in piedi e di dare una spinta decisiva. Questo è molto importante, perché ci porta al fenomeno della globalizzazione: globalizzazione, dal mio punto di vista, non vuol dire che, a seconda dei casi, il bene o il male vengono dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti restano la principale potenza economica e politica. Ma globalizzazione vuol dire interconnessione. Ciascuno deve assumersi responsabilità, ciascuno deve agire.
Riconosco che la Banca centrale europea ha agito con tempismo perfetto e forse ci sono ancora altri margini: l’inflazione resta sotto controllo, non vi è rischio d’inflazione in Europa. Per quel che riguarda il Patto di crescita e di stabilità, non ne chiedo una revisione, ma che sia adeguato con attenzione alla situazione attuale. Dal punto di vista del Fondo monetario internazionale, occorre una dimostrazione di disciplina fiscale sul fronte della spesa, ma non si deve passare al contrattacco se le entrate dello Stato diminuiranno.
Insomma, abbiamo una situazione ben diversa da quella di alcuni anni fa, quando gli Stati Uniti avevano il problema dei disavanzi gemelli. Certo, oggi resta un problema di partite correnti. Auspico decisioni che favoriscano la fiducia dei consumatori. E fortunatamente, sia l’America sia l’Europa hanno margini di manovra.

Per quel che riguarda i nostri interventi in varie parti del mondo, la situazione non è drammatica tanto quanto si legge su alcuni giornali, anche autorevoli. Stiamo lavorando bene con il Pakistan, che è un Paese che ha rispettato gli accordi di stabilizzazione. Per questa, e per altre nazioni, tutto o molto dipende non soltanto dal Fondo monetario internazionale, ma anche dalle decisioni che saranno prese dai rispettivi governi. Mi aspetto che ci saranno richieste pressanti per esborsi da parte del Fondo, è questa la reazione naturale di chi vuole approfittare di una situazione internazionale difficile. Ho detto che il Fondo è pronto, con i suoi esperti, con i suoi mezzi, con i suoi programmi, ma la principale responsabilità per avanzare nella direzione giusta e per agire resta dei singoli Paesi. Per il resto, la situazione di liquidità del Fmi secondo i nostri calcoli più recenti rimane appropriata, e questo naturalmente ci dà conforto; ma non si deve confondere la nostra solidità con la disponibilità a finanziamenti facili. Oltre tutto, siamo impegnati anche nella lotta contro le attività terroristiche. Qualcosa, infatti, possiamo farla anche noi, ricostruendo operazioni di riciclaggio, mettendo su una forza speciale dedicata a seguire movimenti finanziari sospetti. Detto questo, preciso che non siamo un’organizzazione di polizia, abbiamo la funzione di monitorare le politiche economiche, non di applicare la legge.

Ma dicevo della nostra attività d’intervento in vari Paesi del pianeta. Per la Turchia, ad esempio, c’è un programma ambizioso. I turchi hanno ristrutturato molto nel settore bancario e in quello delle finanze, ma il problema non è stato ancora risolto, e dopo l’attacco a New York e a Washington lo spread sui tassi è aumentato. Seguiamo anche la situazione in Argentina, non c’è dubbio che le difficoltà sono aumentate per il Sudamerica, ma è anche importante, per Buenos Aires non esagerare con il pessimismo. Sono stati gli argentini a mettere a punto un loro piano, è un piano molto duro per la popolazione, ma è anche un piano molto buono, e noi abbiamo dimostrato a questo Paese che non è solo, e non è da solo: questa è anche una sfida per dimostrare la sua indipendenza. Il Brasile, invece, ha fondamentali migliori rispetto, ad esempio, a dieci anni fa. C’è molto investimento diretto e il flusso continuerà, se ci si manterrà in carreggiata. Oggi non c’è bisogno di parole, ma di azione, e non c’è dubbio che il governo brasiliano sia all’altezza della situazione.
Ribadisco che siamo pronti. Ma per ora mi sembra prematuro annunciare nuovi programmi, che potrebbero minare alle radici le stesse politiche che si stanno adottando nei vari Paesi. Dobbiamo attendere, riflettere un momento, raccogliere informazioni migliori, e sulla base di tutto questo potremo dire che cosa saremo in grado di fare e che cosa concretamente faremo.
Va ricordato che non siamo alla fine di un ciclo tecnologico. Abbiamo avuto una correzione, forse anche giusta. Ma pensiamo alle biotecnologie, alle tecnologie delle comunicazioni e a quelle telematiche. C’è molto da sfruttare di fronte a noi. La mia impressione è che il potenziale per la crescita e per gli aumenti di produttività è ancora tutto, o in grandissima parte da esplorare. E anche su questo invito l’Europa a fare di più.

   
   
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