Marzo 2002

PARLA L’AUTORE DELLA “FINE DELLA STORIA”

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Quale scontro
Francis Fukuyama Docente di Politica Internazionale alla John Hopkins University
 
 

 

 

L’Islam è di fronte
a un dilemma
analogo: gli sforzi intrapresi
per riunire religione e politica dividono
i musulmani,
come hanno diviso
i cristiani.

 

Dieci anni fa, Samuel Huntington diceva che alla fine della Guerra Fredda le linee di frattura del mondo erano essenzialmente culturali e che ne sarebbe derivato uno “scontro tra le civiltà”. E suddivise queste ultime in cinque o sei grandi zone che talvolta possono coesistere, ma non incontrarsi, perché non hanno valori comuni.
Due conseguenze derivano da questo punto di vista: da una parte, gli attacchi terroristici dell’11 settembre e la risposta americana sarebbero l’espressione di un conflitto tra l’Islam e l’Occidente; dall’altra, i diritti dell’uomo ai quali attribuiamo in Occidente un carattere universale non sarebbero che l’espressione della cultura europea, inapplicabili a quelli che non la condividono.
Penso che Huntington si sbagli su entrambi. L’universalità è possibile perché il motore essenziale della storia umana e dell’evoluzione del mondo non è il pluralismo culturale, ma la ricerca del progresso e della modernizzazione che s’incarna nella democrazia liberale e nell’economia di mercato. Il conflitto attuale non è uno scontro tra civiltà intese come aree culturali di pari importanza. E’ piuttosto una lotta combattuta da chi si sente minacciato dalla modernizzazione e quindi dalla sua componente morale, che è sintetizzabile nel rispetto dei diritti dell’uomo.
Praticamente, tutti i diritti esistenti o acquisiti nel corso della Storia poggiano su una delle tre autorità incarnate da Dio, dall’uomo o dalla natura. Dall’inizio del secolo dei Lumi, Dio o la religione come fonte dei diritti sono respinti dall’Occidente: il carattere laico della concezione occidentale dei diritti è all’origine della tradizione liberale.
Oggi questa sembra essere la principale linea di frattura tra l’Islam e l’Occidente: molti musulmani respingono l’idea di uno Stato laico. Ma prima di aderire all’idea di uno scontro inevitabile tra civiltà, dovremmo cercare di capire perché il liberalismo laico moderno si è sviluppato prima di tutto in Occidente. Non a caso le idee liberali si sono diffuse nel XVI e XVII secolo, mentre lotte sanguinose dividevano i cristiani in tutta Europa, dimostrando l’impossibilità di governare basandosi su un consenso religioso.
Hobbes, Locke e Montesquieu hanno reagito di fronte ad atrocità come la Guerra dei Trent’Anni dicendo che, per assicurare la pace civile, dovevano essere separate religione e politica.
L’Islam è di fronte a un dilemma analogo. Gli sforzi intrapresi per riunire religione e politica dividono i musulmani, come hanno diviso i cristiani. I nostri uomini politici hanno ragione affermando che il conflitto afghano non è contro l’Islam, religione estremamente eterogenea, che non riconosce nessuna autorità stabilita per interpretare il Corano. Intolleranza e integralismo sono soltanto una possibilità, perché l’Islam si è sempre confrontato con la laicità e la necessità di tollerare le altre religioni. Lo si vede nel fermento riformista di uno Stato teocratico come l’Iran.
La seconda fonte dei diritti – il punto di vista positivista, secondo il quale un diritto riconosciuto istituzionalmente è effettivamente applicabile – non garantisce un’evoluzione liberale, perché porta al relativismo culturale. Se, come Huntington sottintende, i diritti che noi esaltiamo in Occidente sono nati esclusivamente dalla crisi politica della cristianità in Europa, come impedire che altre società facciano riferimento alle proprie tradizioni per negare tali diritti? Un argomento, questo, caro al governo cinese.
L’ultima fonte dei diritti è la natura. Il tema dei diritti naturali condiziona sempre il nostro discorso morale. Quando diciamo per esempio che la razza, l’etnia, la ricchezza o il sesso non sono caratteristiche essenziali, ciò implica una nozione d’appartenenza umana in nome della quale ognuno di noi ha diritto alla stessa protezione rispetto ad abusi che potrebbero commettere Stati o gruppi.
Ma se i diritti umani sono universali, dobbiamo esigere la loro applicazione in ogni luogo e in ogni momento? Aristotele dice che le leggi naturali esistono effettivamente, ma che la loro applicazione richiede flessibilità e prudenza. Questo punto di vista rimane valido. Occorre saper distinguere il concetto teorico dell’universalità dei diritti dell’uomo e la loro applicazione, perché la loro percezione è diversa a seconda delle culture.
In molte società tradizionali, nelle quali le scelte di vita e le opportunità sono limitate, il punto di vista occidentale e individualista dei diritti è molto sconcertante, perché la concezione occidentale è legata al processo generale di modernizzazione. Non riconoscerlo, vuol dire mettere il carro innanzi ai buoi. Il nostro impegno in favore dell’universalità dei diritti dell’uomo si inscrive nel contesto complesso di una civiltà a carattere universale che comporta altri elementi che non possono essere dissociati: la giustizia economica e la democrazia politica.

   
   
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