Marzo 2002

DAL PALAZZO DI VETRO

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Oltre bin Laden
Kofi Annan  
 
 

Chi sostiene
che la democrazia
e i diritti dell’uomo non sono che
prodotti occidentali, in realtà
insulta i popoli
del Terzo Mondo.

 

Il solo modo per vincere contro il terrorismo è organizzare un’azione internazionale comune. Poco importa che si parli di cooperazione o di coalizione: l’essenziale è che la lotta sia condotta nel quadro delle Nazioni Unite, sulla base delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e di quelle dell’Assemblea Generale. La battaglia contro i talebani e bin Laden ha rappresentato un obiettivo di breve periodo. Ma contro il terrorismo in generale si può vincere soltanto sul lungo periodo, quindi, con una coalizione. Per alcuni Paesi l’impegno nella coalizione si tradurrà in intervento armato; per altri, si dovrà limitare a un sostegno politico oppure materiale.

Con la vicenda delle Twin Towers e dell’Afghanistan abbiamo avuto davanti un problema nuovo. Ma questo non significa che i vecchi problemi siano scomparsi. Dobbiamo essere più che mai determinati ad estirpare le radici del terrorismo, che non è nato ieri. Dobbiamo continuare a combattere la povertà e l’ignoranza. Nello stesso tempo, non dobbiamo rinunciare a risolvere i conflitti rimasti ancora senza una soluzione. Se c’è la volontà politica, se si è disposti a investire il denaro necessario allo sviluppo economico, il terrorismo potrà essere contenuto. Credo addirittura che ce la faremo ben prima di quanto si pensi.
E’ pur vero che abbiamo conosciuto nel passato, e anche di recente, insuccessi e battute d’arresto. Ma siamo anche riusciti a portare positivamente a termine più di un’operazione: la transizione in Namibia, le elezioni in Cambogia, il salvataggio di Timor. Evidentemente la stampa ha la tendenza a trascurare gli esiti positivi e ad enfatizzare quelli negativi. Sono soltanto le cattive notizie a fare notizia. Eppure, il Comitato del Premio Nobel ha voluto riconoscere i nostri sforzi in campo economico e sociale. In materia di povertà nel Terzo Mondo, di diritti delle donne, di ambiente, le Nazioni Unite sono sempre state all’avanguardia.
Per battere il terrorismo, ora, servono più finanziamenti e più soldati ben addestrati. Gli Stati membri hanno capito il messaggio, e hanno approvato la maggior parte delle mie raccomandazioni. Potenziando le risorse, saremo in grado di organizzare operazioni molto più efficaci, perché potremo contare sul sostegno politico, e, nello stesso tempo, sugli aiuti necessari. Gli Stati membri non possono più affidare all’Onu delle responsabilità, rifiutandole poi i mezzi per assumerle. Quando le nostre operazioni di pace andavano male e i giornali gridavano al fallimento, non uno dei 189 Stati membri si è mai alzato a difendere le Nazioni Unite. Eppure, queste appartengono a loro.

Bin Laden mi ha definito «un criminale» e ha accusato l’Onu di far soffrire i musulmani. Ha torto. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è stata scritta da pensatori provenienti da ogni angolo del pianeta, e non soltanto dall’Occidente. A distanza di cinquant’anni, credo che ogni società si possa identificare con questa Dichiarazione. Chi sostiene che la democrazia e i diritti dell’uomo non sono che prodotti occidentali, in realtà insulta i popoli del Terzo Mondo che pretende di difendere. Il padre che scopre che suo figlio è stato torturato, la moglie che scopre che suo marito è stato in prigione senza motivo: la loro reazione è la stessa, ovunque si trovino. In Occidente o in Oriente, nel Primo o nel Terzo Mondo, urlano con la stessa collera, piangono le stesse lacrime.
La riflessione che la libertà sia un lusso di Paesi ricchi, che spesso sentiamo provenire da più parti, anche dalle regioni della mia Africa, la fanno soltanto i dirigenti che sono ben saldi al potere. Perché non intendono perdere il ruolo che hanno. Ma si vada a chiedere all’uomo della strada, che ha avuto il figlio torturato, se è d’accordo con un capo del genere. Non si può mentire ai popoli, né in Africa, né altrove nel Terzo Mondo. Sanno molto bene che cos’è la democrazia. Pongono degli interrogativi ai loro leader ed esigono delle risposte.
Io parlo a molta gente, ascolto molta gente, vedo molta gente. E può anche darsi che qualche volta (come è stato detto) dia l’impressione di fare lo stesso mestiere del Papa. Del resto, ho confidato a Giovanni Paolo II che ci troviamo spesso sullo stesso terreno, quando si tratta di difendere il benessere del mondo. Gli ho detto: «Lei agisce attraverso la preghiera. Io agisco attraverso il negoziato». Dunque, se mi merito il titolo di “papa civile” è perché alzo la voce a nome di chi la voce non ce l’ha, perché difendo la causa dei poveri e dei deboli.

   
   
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