Limmagine
dellaquila
austriaca priva
di penne turbò
la censura
piemontese,
che non permise che lInno fosse cantato in pubblico.
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Abbiamo toccato una corda sensibile, parlando dellInno nazionale
italiano. Segno che erano maturi i tempi per dibattere sul tema,
anche alla luce delle cronache degli ultimi tempi e dei personaggi
autorevoli che hanno concorso ad annodare le fila di un discorso
semplicemente accantonato, ma non rimosso. Sarà per questo
che la rivalutazione in atto assume uno spessore diverso da quello
percepibile quando le note si dispiegano (con calciatori strapagati
e muti, tuttal più accaniti masticatori di chewing-gum)
sui campi di gioco o quando la Ferrari taglia per prima un traguardo!
Torniamo volentieri sul discorso, dunque, cercando di ampliarlo
il più possibile, sicché si sappia di che cosa si
parla, quando si parla. E intanto, si dice comunemente Inno
di Mameli o Fratelli dItalia. Mai nominato
Michele Novaro, che pure è stato lautore della musica
del nostro Inno nazionale. Una musica che, al di là del posto
che Il Canto degli Italiani (è proprio questo
il titolo ufficiale) occupa nelle nostre coscienze, amata e da alcuni
vituperata, così come il testo di Mameli: al punto che qualcuno
ne ha suggerito la giubilazione e la sostituzione con un suggestivo,
ma improprio, Va pensiero, dal Nabucco
di Verdi.
Sta di fatto che da un paio di anni lInno è eseguito
con maggiore frequenza, e non soltanto nelle occasioni in cui sarebbe
di rigore: apre grandi concerti di musica classica, risuona nel
cortile del Quirinale, apre la Festa della Repubblica...
Da quando è diventato un pezzo da hit parade? Era il 7 dicembre
1999. Alla Scala si inaugurava la stagione col Fidelio
behetoveniano diretto da Riccardo Muti. Il maestro, nonostante la
presenza del Capo dello Stato, preferì non eseguire lInno,
adducendo motivi pratici e di incompatibilità artistica.
Ne nacque un caso, con ampi echi nei media. Poi la polemica venne
ridimensionata. Ma lInno è rimasto al centro dellattenzione,
grazie al suo più illustre promotore: Ciampi stesso, che
lo intonò durante lesecuzione diretta da Giuseppe Sinopoli,
in occasione del Concerto di Capodanno in piazza del Quirinale.
Era il 31 dicembre 99. Da allora, il Presidente ha gradito
molto ascoltarlo da Gianluigi Gelmetti al Teatro dellOpera;
dallo stesso Muti, in una doppia esecuzione nellapertura dellanno
verdiano alla Scala; da Abbado a Santa Cecilia, da Zubin Metha al
Maggio Fiorentino...
Eppure, una certa diffidenza per la musica di Novaro continua;
Novaro, al quale Ciampi ha reso omaggio sostando davanti alla sua
tomba, contigua a quella di Mazzini, al cimitero di Staglieno, a
Genova. Ma chi era Novaro? Genovese, nato nel 1818 e morto nel 1885,
maestro di coro e modesto tenore, scrisse unopera e compose
molti canti patriottici. Convinto liberale, aprì una scuola
di canto popolare gratuita. Il Canto degli Italiani,
scritto di getto nel 1847, amatissimo nel Risorgimento, divenne
lInno nazionale della Repubblica nel 1946. E stato eseguito
dai più grandi direttori dorchestra. Tuttavia, nonostante
limpeto garibaldino di Muti e la novità della versione
intimista di Gelmetti, i detrattori sono sempre dietro langolo.
Ha dunque senso parlare di musica bella o brutta per un Inno nazionale,
innanzitutto veicolo di valori e di emozioni che trascendono i suoni?
Non è più opportuno, semmai, interrogarsi sulle sue
origini, sulla sua funzione, sul suo significato? Dice Lorenzo Bianconi,
direttore del Dipartimento di Musica e Spettacolo dellUniversità
di Bologna: «A musicologi e melomani sfuggono problematiche
come lorganizzazione delle musiche cerimoniali. Linnesto
di tali musiche sui movimenti delle parate militari incide sulla
loro tradizione esecutiva: il fatto che lInno italiano sia
eseguito a passo di marcia dai bersaglieri ha determinato una prassi
mantenuta anche quando viene eseguito da fermo. In realtà,
questi Inni risorgimentali sono nati in un salotto intorno a un
pianoforte per incontri di intellettuali e avevano una struttura
cameristica oppure operistica».
Ma perché ad alcuni lInno non piace? Gli Inni nazionali
sono riconducibili a tre tipi. Uno è la marcia di parata
delle guardie reali, come lInno spagnolo del 1770. Il secondo
rappresenta la nazione solennemente riunita attorno al sovrano,
come è il caso dellInno britannico e di quello tedesco.
Il terzo è quello dellInno battagliero, marziale ed
eroico, come La Marsigliese, che rappresenta la nazione
nel momento in cui difende i propri confini: lInno dItalia
appartiene a questo tipo, ovviamente il più esposto al rischio
di una certa contestazione nelle fasi storiche in cui lideale
guerresco si affievolisce. Ma paradossalmente è un problema
più degli italiani che dellInno.
Lautografo della prima stesura dellInno è la
prova più eloquente del tumulto di sentimenti con i quali,
nellautunno del 1847, a soli ventanni, il poeta genovese
scrisse i versi, che divennero subito popolarissimi. Forse proprio
per questo Anton Giulio Barrili, volontario garibaldino, ma anche
fine letterato, inserì il fac-simile di quellautografo
negli Scritti editi e inediti di Mameli, da lui curati per una pubblicazione
apparsa a Genova nel 1902 presso la Società ligure di storia
patria.
Mameli è stato il simbolo dello strettissimo legame fra letteratura
e politica che ha caratterizzato il nostro Risorgimento e di cui
le Accademie sono state una delle maggiori manifestazioni.
Al pari di Pietro Verri, membro a metà del XVIII secolo dellAccademia
dei Trasformati e poi della Società dei Pugni, e di Cesare
Balbo, che aveva fondato nel 1804 lAccademia dei Concordi,
Mameli partecipò sin dal 1846 allAccademia letteraria
e politica Entelema, nella quale lesse i suoi primi
discorsi e le sue prime infiammate produzioni poetiche.
Ma presto limpegno politico, vissuto con mazziniana abnegazione,
andò rapidamente crescendo, e nellautunno del 1847,
durante le grandi manifestazioni popolari svoltesi a Genova
e che dovevano culminare nella rievocazione della cacciata degli
Austriaci dalla città ligure il 10 dicembre 1746 Mameli
compose le cinque strofe che, musicate dal Novaro, ebbero immediata
fortuna, con rapida diffusione dovuta anche alla particolare composizione
di ciascuna strofa: otto versi di sei sillabe ciascuno, di cui lultimo
tronco (Iddio la creò / Già lora suonò
/ Chi vincer ci può / I Vespri suonò, ecc.) e un ritornello
di tre versi uguali, di cui lultimo tronco, ripetuto e quasi
martellato dopo ogni strofa.
LInno «dellunione e dellindipendenza»,
come venne definito da Carducci, subì dalla stesura iniziale
a quella finale alcuni cambiamenti. Mameli mutò radicalmente
lordine in cui le strofe erano state composte di getto. La
terza, che individuava nella divisione politica della penisola la
ragione della perdita della dignità nazionale e che
quindi avrebbe avuto un rilievo maggiore se collocata subito dopo
quella iniziale venne spostata al secondo posto. La quarta,
che sviluppava lo stesso concetto della necessità dellunione
e dellamore reciproco per rendere invincibili gli italiani,
venne posta al terzo posto, in modo che lappello seguisse
una logica più stringente.
Ma limmagine dellaquila austriaca priva di penne turbò
la censura piemontese, che non permise che lInno fosse cantato
in pubblico, fin quando la dichiarazione di guerra allAustria
e il passaggio del Ticino da parte delle truppe sarde, il 23 marzo
1848, non fecero cadere le preoccupazioni governative.
Unulteriore modifica, non dovuta a Mameli, ma a Novaro, riguardò
il primo verso, che nella versione originaria (e nellautografo)
è Evviva lItalia, e in quella a stampa
è Fratelli dItalia. Lo stesso titolo che
Mameli diede poi ad un suo articolo pubblicato il 15 marzo 1849
nel giornale genovese Il pensiero italiano.
Invece, in un inno composto nel febbraio del 1848, nella febbrile
vigilia della prima guerra dindipendenza, Mameli riprese nel
verso iniziale il motivo religioso e politico della resurrezione
del proprio Paese dovuta allunione tra i cittadini della penisola,
contrapposta alla precedente divisione in sette Stati: Viva
lItalia! Era in sette partita...
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