Sulla rotta
per Brindisi nacque il nocciolo nucleare dei personaggi
che popolano
i romanzi di Salgari.
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Dire Sarawak è dire avventura. Questa regione della Malaysia,
estesa nella parte nord-occidentale del Borneo, è lo scenario
delle imprese narrate dai più celebri romanzi di Emilio Salgari
e di Joseph Conrad. Scrittore di fortissima fantasia, di formidabile
inventiva, il primo; testimone diretto e grande cantore dellImpero
britannico, il secondo.
Inventore dellatlante immaginario in cui hanno viaggiato i
sogni di tutti gli adolescenti italiani del Novecento, Salgari ambientò
nella giungla del Sarawak molte delle gesta di Sandokan, più
tardi adattate per il cinema e per la televisione con Kabir Bedi
nelle vesti del celebre pirata-condottiero. Ma Salgari, che sul
mare e sulle terre impervie e desolate di Mompracem collocò
tante vicende, in realtà aveva fatto un unico itinerario
marittimo: tre mesi su un mercantile in navigazione tra Venezia
e Brindisi. Tanto gli bastò.
Lungo la navigazione, ebbe la possibilità di vedere le foci
del Po, le terre del delta, basse e sabbiose, e quelle del Conero,
alte e fitte di vegetazione, le aspre coste dellAbruzzo e
quelle, dolci e ondulari, del Molise, fino allo sperone rude del
Gargano, alle lunghe spiagge di Manfredonia, e a quelle intermittenti
di rocce e arenili della Terra di Bari, e infine,
quasi confuse tra acque salmastre e acque salate, le coste fino
a Brindisi, orlate di paludi e di arcipelaghi di falaschi e di canne,
velenose per gli uomini per via dellanofele, ma a modo loro
ispiratrici di avventurosi scenari corsari e di romantiche vicende
damore. Sulla rotta per Brindisi, dunque, prima ancora che
sulla ricerca in testi enciclopedici, botanici, storici, geografici,
nacque il nocciolo nucleare dei personaggi che popolano i romanzi
di Salgari: lEstremo Oriente configurato tra lo sbocco del
maggior fiume italiano e il porto nel quale culminava la regina
delle vie del mondo, lAppia, con capolinea a Brindisi, città
dalle molte lingue, greca, albanese, slava, già allora.
Furono i cinque continenti, i due poli e i sette mari a ruotare
attorno alla scrivania, dove la sua inesauribile immaginazione si
coniugò per trentanni con appassionati saccheggi di
atlanti, di stampe e di racconti di viaggio. La sua infaticabile
penna percorse lintero globo. Ma fu nella giungla malese (rifratta
dalle boschive coste italiane viste dalla rotta adriatica percorsa
in cabotaggio) che Salgari toccò la maggiore intensità
narrativa.
Sarawak, terra dal fascino sorprendente. Sebbene gareggi con lAmazzonia
nel processo di disboscamento, condotto qui da industrie giapponesi
e coreane del Sud, è terra ancora in gran parte coperta da
una fitta foresta pluviale, tagliata da fiumi gonfi e limacciosi.
E uno dei polmoni della Terra. Una selva umida che vanta una
delle maggiori biodiversità: ogni dieci chilometri quadrati,
contiene millecinquecento tipi di piante da fiore, settecentocinquanta
specie di alberi, centoventicinque specie di mammiferi, quattrocento
specie di uccelli, centocinquanta specie di farfalle. Per trovare
qualche cosa di simile o approssimativamente simile, è necessario
fare il confronto con lisola-continente del Madagascar. La
catena montuosa oltre duemila metri di quota che delimita
la frontiera tra Sarawak e Kalimantan (il Borneo indonesiano) è
foderata da una delle foreste più impenetrabili del mondo,
ancora vergine, con tribù nomadi di cui ancora oggi sappiamo
poco o nulla.
E nel fitto buio della giungla del Borneo che cerca oblio
e riscatto il marinaio disertore, protagonista di Lord Jim, il capolavoro
di Joseph Conrad (1857-1924), che ispirò lomonimo film
del 1965 di Richard Brooks con Peter OToole. Capitano di lungo
corso e scrittore in lingua inglese nonostante le origini
polacche Conrad navigò per ventanni. Nel 1887-88
batté larcipelago malese ed esplorò il Sarawak.
La rielaborazione di queste esperienze diventò la materia
narrativa di una prosa velata dalle malie e dalle fascinazioni dei
mari dOriente. I celeberrimi romanzi della Malesia (La follia
di Almayer, Un reietto delle isole, Il salvataggio, e soprattutto
Lord Jim) stanno a testimoniarlo.
Per scoprire il Sarawak del mito e i suoi più maestosi paesaggi
naturali, si lascia la costa per il Mulu National Park, nel cuore
del Borneo. Per arrivarci, laereo sorvola per oltre due ore
unintricata foresta umida, venata dal serpeggiare di fiumi
bradi. La grande attrazione del Parco è la rete di caverne,
raggiungibili in piroga o con agevoli passeggiate su passerelle
di legno tra alberi torreggianti segnalate con targhe, come in un
giardino botanico. Perché il Mulu National Park è
unimportantissima riserva per flora e per fauna: comprende
otto tipi di foreste che, fra laltro, includono centosettanta
varietà di orchidee selvatiche.
Si visita la Deer Cave, la maggiore grotta del mondo, secondo il
Guinnes dei primati: un antro lungo ottocento e alto centoventisette
metri, illuminato da gigantesche finestre naturali e popolato da
due milioni di pipistrelli. Poco prima del tramonto, questi escono
dalla caverna, formando una linea continua e sinuosa che oscura
il cielo per unora. E la più nota di una lunga
serie di caverne. Le altre, anchesse spettacolari, sono le
contigue Wind Cave e Clear Water Cave: le si raggiunge in unora
di piroga sul fiume Mulu e le si visita grazie ad una rete di scalette
metalliche che disegnano una gimcana tra stalattiti e stalagmiti.
A Clear Water, usciti dalla caverna, ci si può rinfrescare
nuotando in una pozza dacqua profonda tre metri.
A metà strada tra la base del Parco e Clear Water, si può
sostare in un villaggio Penan, in riva al fiume. I Penan sono uno
degli ultimi popoli di cacciatori-raccoglitori nomadi, hanno sempre
vissuto in simbiosi con la foresta, non praticano lagricoltura
e non conoscono la proprietà privata della terra. In questo
villaggio, il governo malese tenta di renderli stanziali grazie
ad una scuola e ad attività artigianali. Impresa controversa.
I Penan hanno sempre vissuto in improvvisati ripari di rami e di
frasche, a lato di selve di sago (una palma dal cui midollo ricavano
farina alimentare): vi trascorrono al massimo due settimane, per
poi riprendere la caccia (con frecce velenose scagliate dalle cerbottane)
a maiali selvatici, cervi, scimmie, leopardi nebulosi e orsi neri.
Oggi, abitano in baracche di legno e lamiera e sopravvivono confezionando
borse e stuoie di ratan intrecciato che vendono ai turisti. Ridotti
a meno di quattromila individui, sono la tribù più
smarrita e senza futuro del Borneo.
Diversamente dai Penan, gli altri gruppi etnici del Sarawak (come
gli Iban o gli Orang-Ulu) godono di buona salute, hanno discreti
rapporti e alcune affinità con la maggioranza Malay che domina
la Malaysia. E hanno imparato a vendere la loro etno-diversità
ai visitatori desiderosi di esperienze esotiche.
A unora di canoa dalla base del Parco, in direzione opposta
a Clear Water, si raggiunge una longhouse Iban. Situate sulle rive
dei fiumi, sono case-villaggio lunghe fino a duecento metri, nelle
quali convivono decine di famiglie, che è come dire centinaia
di persone. Sono comuni a diverse genti del Borneo. Versando un
obolo (tutto il mondo è paese!), vi si può trascorrere
la notte su una stuoia. E il modo migliore per osservare (nellarco
delle ventiquattrore) ritmi e stili di vita dei popoli della
giungla. I gruppi tribali rappresentano la maggioranza dei quattrocentomila
abitanti del Sarawak. Si trovano longhouse su palafitte anche nei
dintorni di Kuchung, capoluogo della regione.
Appoggiata sullansa del fiume, Sarawak è una città
indolente quanto ordinata. Con barche colorate da insegne pubblicitarie
che funzionano da traghetti, con grattacieli che si specchiano nellacqua,
con palme, flamboyant e frangipani che profumano laria e ombreggiano
il lungo-fiume, con canoe che a sera gareggiano sullo sfondo di
tramonti infuocati. E una città multiculturale, dove
convivono in pace razze, tradizioni e religioni diverse, con negozi
indiani che si mescolano ai colorati templi dei cinesi confuciani,
con monaci buddhisti che passeggiano allombra di moschee e
di templi sikh, con le minigonne delle residenti occidentali che
fanno a pugni con i chador delle musulmane. E con edifici
come Forte Margherita e la Square Tower che ricordano i tempi
romantici di James Brooke, il primo rajah bianco, il pioniere del
colonialismo britannico nel Borneo. Un personaggio che, appunto,
sembra uscito dalla penna di Salgari, anche se realmente esistito.
Una figura, chissà!, immaginata lungo quellunica, fatale
rotta da Venezia a Brindisi, che accese la fantasia di uno scrittore
da lume di candela che ha stimolato curiosità, voglia di
conoscere, desiderio di informarsi e di viaggiare di intere generazioni.
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