Dicembre 2001

DALLA BANCA ISTITUZIONE ALLA BANCA IMPRESA

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La gestione delle risorse umane
Aldo Confessore
Vicedirettore Generale della Banca di Roma
 
 

 

 

 

Solo
la professionalità
e l’impegno
delle risorse umane possono mettere al riparo da pericolose e, talvolta,
irreversibili perdite di quote di mercato.

 

Affrontare il tema delle risorse umane nell’attuale momento non può prescindere da alcune considerazioni di carattere generale sulla profonda trasformazione che il settore bancario sta subendo da un decennio a questa parte e sugli effetti che essa sta provocando sulla compagine umana, in generale, e sulla figura del dipendente bancario, in particolare, focalizzando l’attenzione infine sul ruolo che una corretta gestione del personale e un efficace processo formativo possono svolgere in questa lunga fase innovativa.
Solo a titolo introduttivo si ricorda che la trasformazione del sistema creditizio italiano – tuttora in atto – ha storicamente preso le mosse dall’introduzione della nuova Legge Bancaria che, facendo proprie le direttive comunitarie, ha decretato il definitivo passaggio dalla banca “istituzione”, ad alta specializzazione funzionale, alla banca “impresa” (con affermazione che, quella bancaria, deve considerarsi a tutti gli effetti attività d’impresa), ponendo in questo modo i presupposti per la realizzazione del processo di privatizzazione di un settore fino ad allora saldamente in mano pubblica.
La conseguente formazione di un mercato ispirato alla libera concorrenza (e al profitto) ha indotto fin da subito gli Istituti italiani ad interrogarsi sull’adeguatezza della propria struttura organizzativa, spingendoli inizialmente a muoversi – favoriti anche dalla liberalizzazione degli sportelli – secondo una logica di semplice espansione territoriale, nella convinzione che il potenziamento della struttura di vendita potesse di per sé garantire maggiori opportunità di sviluppo.
Solo successivamente, quando questa strategia ha evidenziato i propri limiti in termini di mancato ritorno di redditività, le banche hanno iniziato a seguire un più funzionale progetto di razionalizzazione delle proprie reti commerciali.
A dare una spinta decisiva in questa direzione hanno contribuito in modo determinante i numerosi processi di fusione o concentrazione, caratterizzati da una ricerca combinata di maggiori dimensioni, economie di scala e sinergie.

Alle concentrazioni va ascritto il merito di aver accelerato la trasformazione del modello organizzativo, ispirandolo sempre di più al criterio della maggiore dinamicità delle strutture (specie di quelle delle reti commerciali), funzionale al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia nello svolgimento della tradizionale attività di intermediazione e nell’offerta di nuovi prodotti e servizi.
L’evoluzione del mercato di riferimento è l’altro importante fattore che ha condizionato negli ultimi anni la trasformazione del sistema bancario italiano.
Questa metamorfosi è il risultato di una serie di concause, tra cui assumono peso rilevante la spinta ad acquisire quote sempre maggiori di clientela (effetto diretto del regime di libera concorrenza) e l’estrema mutevolezza dello scenario politico, economico e finanziario che condiziona le scelte della clientela stessa.

Basti pensare, ad esempio, al profondo cambiamento del mercato “corporate” che ha visto l’avvento, a fianco delle tradizionali forme di credito, di nuovi prodotti, caratterizzati da alto rendimento e limitato rischio, ma contraddistinti, il più delle volte, da una complessità di gestione ben più accentuata rispetto ai preesistenti.
Ancor più incisiva è stata la spinta prodotta dalla evoluzione del mercato “retail”. L’incessante compressione dei tassi – conseguente al processo di risanamento della finanza pubblica e, più di recente, alla necessità di allineamento dei saggi a quelli degli altri Paesi europei aderenti all’Euro – ha, infatti, provocato la perdita di efficacia delle tradizionali forme collocative del risparmio (principalmente titoli pubblici, obbligazioni e depositi bancari).
Che per il segmento di clientela delle famiglie non si tratti di una semplice ricerca di forme alternative di investimento lo conferma la mutata funzione sociale che esse oggi attribuiscono al risparmio, specie dopo le riforme che in questi ultimi anni hanno caratterizzato il sistema previdenziale e assistenziale pubblico.
Indubbiamente, le sollecitazioni prodotte dai fattori sin qui evidenziati hanno inciso, migliorandola, sulla morfologia del sistema bancario italiano.
Evidenzia in modo lampante questo fenomeno la costante diminuzione del numero di intermediari, cui ha fatto da contraltare la nascita di importanti poli creditizi; così pure, la riduzione del peso della proprietà pubblica negli assetti societari delle banche (sebbene non sia trascurabile l’importanza assunta, nel contempo, da altri soggetti, quali le fondazioni).
Pur in presenza di questi positivi riscontri, i nostri istituti mostrano ancora un evidente ritardo rispetto ai competitori esteri, soprattutto in termini di ritorno reddituale dell’investimento.
L’analisi condotta sui dati relativi agli ultimi anni fa emergere con sufficiente certezza i fattori principali che hanno determinato la scarsa redditività delle aziende di credito italiane. In particolare, il crescente volume di crediti inesigibili, la scarsità dell’offerta in termini di prodotti e servizi offerti alla clientela e l’elevato costo del lavoro, componente, quest’ultima, che solo qualche anno fa assorbiva oltre il 44% dei ricavi. Per porre rimedio a tale situazione occorreva, quindi, un rapido recupero ottenibile attraverso interventi organizzativi forti e azioni decise sul fronte dei costi.
Così abbiamo vissuto le vicende che nel 1997 hanno portato la Banca d’Italia, l’ABI e le Organizzazioni sindacali – con il supporto del Governo – a mettere a punto una serie di iniziative a carattere straordinario mirate a ridurre e allineare il costo del lavoro a livelli europei. Tale processo ha consentito, tra l’altro, di contenere gli incrementi salariali mediamente intorno all’1,2% su base annua e ottenere una riduzione del numero degli addetti del 3% (-10% per gli istituti di grandi dimensioni). Il cosiddetto “esodo assistito” nel periodo 1998-2000 ha riguardato circa 21.900 addetti , con un costo per le aziende di circa 2.600 miliardi.
Tali interventi, unitamente al contestuale sensibile miglioramento sul fronte della rischiosità del credito, hanno permesso un rapido e immediato incremento di redditività talché, nell’anno 2000, si è arrivati a toccare livelli prossimi all’11,3% (13% per le grandi banche).

Fino a tutto il 2000, quindi, il Sistema delle imprese creditizie ha conosciuto un momento di cambiamenti radicali sia negli assetti delle proprietà, sia per quanto ha riguardato gli aspetti commerciali e organizzativi. I risultati così ottenuti dovranno, però, essere consolidati perché si possa parlare di cambiamento avvenuto.
In tale contesto, si comprende meglio come la trasformazione in atto abbia definitivamente decretato il passaggio da un sistema bancario caratterizzato da scarsa attenzione ai costi e all’efficienza, da marginale propensione al rinnovamento e da limitata sensibilità alle esigenze della clientela, ad un sistema totalmente orientato al mercato, al miglioramento della qualità dei prodotti e servizi offerti e allo sviluppo e ampliamento della loro gamma.
L’abbandono di una posizione di statica attesa – propria di una situazione caratterizzata da domanda di prodotti e servizi autonoma rispetto alle qualità commerciali delle banche – a favore di un atteggiamento “attivo” (di ricerca del cliente), è non soltanto l’effetto della definitiva affermazione delle regole della concorrenza, ma anche della progressiva sofisticazione della domanda stessa, espressione di una clientela sempre più attenta al rapporto costi/qualità ed esigente in termini di rapidità, sicurezza e valore dei servizi richiesti.
E’ facile intuire, quindi, che i fattori determinanti ai fini del successo non possano che essere rappresentati dall’efficienza e agilità della struttura organizzativa e dal grado di professionalità delle risorse umane.
I due fattori sono profondamente legati fra loro: è di tutta evidenza, infatti, l’inutilità di modelli organizzativi evoluti in presenza di personale inadeguato e non in grado di sfruttarne a pieno le potenzialità; così come, per l’inverso, le elevate capacità professionali rischiano di essere soffocate (o mal sfruttate) in un contesto organizzativo di tipo “rigido”.
Così le banche stanno via via abbandonando un modello caratterizzato da alto livello di burocratizzazione, rigorosa gerarchia e forte grado di normativizzazione (proprie di una struttura che non ha interesse a “cambiare”) e vanno progressivamente ispirandosi ad un meccanismo organizzativo in grado di supportare adeguatamente le esigenze di cambiamento imposte da un mercato in continua trasformazione, oltreché assicurare un’incessante evoluzione dei prodotti e servizi offerti e il proficuo utilizzo delle risorse umane e delle nuove tecnologie.
Prevalgono, accanto alle tradizionali esigenze di affidabilità e sicurezza, nuove istanze quali rapidità, snellezza e flessibilità operativa che comportano, sotto il profilo attuativo, una serie di importanti fenomeni.
In primo luogo, una complessiva revisione delle strutture (specie quelle della direzione centrale) e una graduale semplificazione delle stesse che tende, da un lato, alla riduzione dei tempi di decisione e di risposta al cliente, dall’altro, al contenimento dei costi operativi. Di fatto, uno spostamento dell’attenzione dai processi “produttivi” ai processi “distributivi”, come confermato anche dall’imponente attività di reingegnerizzazione.
Altro fenomeno rilevante ai nostri fini è il sempre maggiore decentramento di competenze e poteri decisionali, specie per i ruoli a più diretto contatto con la clientela, in una logica di maggiore responsabilizzazione delle figure professionali e rapidità di risposta alla clientela.
Un quadro di riferimento così innovativo provoca, ovviamente, fondamentali implicazioni per le risorse umane impegnate nell’attività bancaria.
In linea generale, si può affermare che la forte competitività richiesta da un mercato oltremodo dinamico impone un profilo professionale e personale del dipendente bancario profondamente diverso rispetto al passato.
Anzitutto, sul piano dei valori e dei modelli comportamentali, il passaggio da un sistema protetto e prescrittivo (espressione di una realtà quasi immutabile) ad uno fortemente orientato al risultato determina il superamento di tradizionali valori quali la fedeltà e l’obbedienza, a vantaggio di qualità come lo spirito imprenditoriale, la flessibilità mentale (intesa anche come capacità di adattamento), la versatilità e la tensione all’obiettivo.
La rapida obsolescenza del sapere, effetto della repentina mutevolezza degli scenari economici e dell’innovazione tecnologica, impone all’operatore bancario un continuo aggiornamento e approfondimento delle conoscenze e un costante miglioramento delle proprie competenze professionali, propedeutici al mantenimento in futuro di un ruolo da protagonista.
Per il raggiungimento di questo obiettivo, egli potrà contare sul contributo offerto dalla banca attraverso gli interventi formativi, ma allo stesso tempo dovrà far leva – ed è qui la maggiore novità – sull’affinamento delle proprie capacità di osservazione e di auto-apprendimento, traendo spunti di arricchimento professionale dallo stesso contesto dinamico nel quale quotidianamente si trova ad operare. L’operatore bancario deve essere quindi in grado di gestire se stesso e la crescente complessità del contesto nel quale opera.
La centralità della figura del cliente (sia interno che esterno) impone, tra l’altro, un affinamento delle abilità relazionali. Il peso negoziale assunto nel contesto attuale dal cliente e la cresciuta sensibilità di quest’ultimo a valutare la qualità e la convenienza dell’offerta impongono, infatti, l’assunzione di un atteggiamento “attivo” dell’operatore bancario, in cui il “saper ascoltare” si trasformi, prima, nel “saper intuire” le esigenze del cliente, quindi, nel “saper proporre la soluzione”, in un processo che deve necessariamente tendere al miglior risultato sia per la banca che per lo stesso cliente.
Per quanto riguarda l’ambiente relazionale “interno”, il processo di maturazione porta necessariamente a sviluppare l’attitudine al lavoro di gruppo, nell’ambito del quale ciascuno deve sentirsi impegnato non solo ad offrire il proprio contributo al risultato, ma anche a mettere a disposizione degli altri – in un rapporto di interscambiabilità – il proprio bagaglio di esperienze, informazioni e idee.
Le condizioni affinché questo possa avvenire sembrano, in parte, già esserci. Si pensi all’informalità che sempre più caratterizza le comunicazioni fra le strutture e le persone che ne fanno parte; oppure al progressivo ammorbidimento della concezione gerarchica del rapporto capo-collaboratore, destinato, in prospettiva, a lasciare sempre più spazio ad un rapporto relazionale tra “professionisti”, molto più funzionale al vero obiettivo che si persegue, rappresentato dall’ottimale e proficuo utilizzo delle potenzialità e delle competenze di ciascuno. Il compimento del processo di maturazione delle risorse umane sinteticamente delineato si impone pertanto come opportuno, necessario e urgente.
Opportuno, per la constatata centralità del fattore umano nello svolgimento dell’attività bancaria e per l’avvenuta presa di coscienza da parte delle banche della totale inadeguatezza dei tradizionali valori e modelli comportamentali a garantire un appropriato livello delle prestazioni ed un confacente grado di competitività dei prodotti e dei servizi offerti (in termini di qualità/costo e redditività).
Necessario, per le prospettive che si vanno delineando riguardo alla stessa strutturazione del rapporto di lavoro e, in particolare, della retribuzione, in virtù del peso sempre maggiore che si attribuisce alla componente variabile di quest’ultima, legandola direttamente ai risultati aziendali e all’apporto produttivo effettivamente reso dai singoli.
In questo senso vanno estesi e rafforzati tutti quei meccanismi che tendono ad allineare gli interessi economici degli azionisti con le aspettative reddituali dei singoli lavoratori. A supporto di ciò sarebbe auspicabile, tra l’altro, un intervento governativo mirato ad un riequilibrio dei trattamenti fiscali e contributivi connessi alla partecipazione del personale dipendente agli utili delle Aziende.
Urgente, infine, per le conseguenze provocate sui livelli occupazionali dal forte cambiamento delle regole del mercato (e, più di recente, dalla comparsa dei competitori europei) e per gli inevitabili effetti che il venir meno di certezze tradizionali, quali la stabilità del posto di lavoro, possono provocare sul piano motivazionale e dell’impegno operativo.
Indubitabilmente, questo processo di crescita è difficile e complesso e presuppone da parte dell’operatore bancario grande disponibilità di capacità, di tempo e, soprattutto, di volontà; al contempo, però, offre nuove e concrete opportunità di crescita in termini professionali ed economici.
Il rischio nel non intraprenderla è quello di una progressiva dequalificazione professionale, che può comportare, oltre a serie difficoltà di riallocazione nel processo produttivo, l’inserimento in quel bacino di risorse destinate ad essere espulse dalle aziende, fenomeno la cui quantificazione è ancora oggi oggetto di differenti valutazioni e di profonde contestazioni, ma della cui esistenza ormai nessuno pone il dubbio.
Che questa situazione già oggi non costituisca solo un pericolo teorico lo confermano alcuni inconfutabili segnali. Anzitutto, il crescente ricorso delle banche al mercato del lavoro “esterno”, sulla scia di una constatata difficoltà a sopperire con professionalità “interne” alle sollecitazioni del mercato. Quindi, il progressivo innalzamento del livello di automatizzazione dei servizi bancari e l’irreversibile superamento di alcune posizioni “classiche” di lavoro che esso porta con sé (si pensi, per tutti, alla figura del cassiere tradizionale). Infine, il sempre più accentuato spostamento dell’attenzione dai processi di riconversione a quelli di uscita (sebbene agevolata) delle risorse in eccedenza, segno inconfutabile dell’esigenza delle banche di pervenire nel più breve tempo possibile ad un riequilibrio del costo del lavoro.
L’unico vero rimedio per scongiurare i pericoli di un calo di tensione motivazionale e di una radicalizzazione di culture non in linea con il nuovo contesto in cui si svolge l’attività bancaria è rappresentato, pertanto, dalla cosiddetta “integrazione”, cioè da un adeguato livello di partecipazione delle risorse umane al processo evolutivo in atto.
A garantire il buon esito di questo processo è chiamata la funzione del Personale, alla quale – abbandonate definitivamente le vecchie logiche gestionali poco orientate all’efficienza e alla redditività – è assegnato il difficile compito di porre in essere tutti gli interventi necessari per assicurare, oltre ad un accettabile livello di interiorizzazione dei valori e degli obiettivi aziendali, un adeguato sviluppo professionale delle risorse in perfetta coerenza con le nuove esigenze del mercato e, soprattutto, con gli indirizzi aziendali.

E’, quest’ultimo, un aspetto essenziale dell’intera vicenda. Infatti, la probabilità per un’azienda di vedere realizzati i propri piani strategici è strettamente legata alla capacità di favorire uniformità tra dinamiche organizzative (nel senso ampio del termine) e dinamiche del personale: il che implica, ove già non sia avvenuto, il riconoscimento alla funzione che governa le risorse umane di un ruolo da protagonista nella definizione dell’assetto organizzativo aziendale in tutte le sue rappresentazioni (strutture, sistemi operativi, attività e processi).
D’altra parte, è indubitabile che un’efficace azione di sensibilizzazione delle risorse umane sull’opportunità dei cambiamenti e delle innovazioni (condizione essenziale per un corretto allineamento dei comportamenti) è inscindibilmente legata al grado di “visibilità” dei valori e delle logiche che hanno ispirato il disegno aziendale, che è tanto maggiore quanto più diretta è stata la partecipazione alla fase decisionale.
Sul piano attuativo, la “gestione del cambiamento” deve necessariamente far leva sullo strumento della Formazione. Ad essa, e alla sua capacità di incidere sui comportamenti e sulle competenze, è affidato il fondamentale compito di supportare e rendere concrete le trasformazioni in atto, nonché sancire la definitiva affermazione di una nuova mentalità orientata al cliente.
L’impegno, in questo senso, è rivolto non solo verso quelle risorse che gestiscono direttamente il rapporto con il cliente, ma anche verso le risorse delle strutture centrali, che, in una logica di rapporto con il “cliente interno”, sono chiamate a fornire un efficace sostegno ai primi.
Il contributo richiesto presuppone la progettazione e l’erogazione di interventi mirati, in primo luogo, al potenziamento delle capacità commerciali e tecniche del personale, nell’obiettivo di favorire – in coerenza con le esigenze espresse dal mercato – opportuni processi di riconversione in attività a maggior valore aggiunto e l’allineamento dei profili e delle competenze ai nuovi compiti e ruoli professionali.
Per altro verso, alla stessa Formazione viene richiesto di accelerare il processo di sviluppo delle capacità manageriali, funzionali al contesto che si va affermando, caratterizzato, come accennato in precedenza, da uno spiccato decentramento decisionale e da una sempre più diffusa responsabilizzazione degli individui.
L’intervento sul piano della crescita manageriale, peraltro, offre in concreto l’opportunità di favorire la diffusione di un nuovo modello comportamentale in cui, rimossa la vecchia e consolidata logica del merito legata a comportamenti di tipo prescrittivo, trovino definitiva affermazione i valori dell’autonomia e dell’iniziativa, collegati allo spirito di gruppo.
Il successo della Formazione è, evidentemente, legato alla qualità e completezza dei contenuti e alla tempestività e capillarità degli interventi.
Sotto il primo profilo, la continua evoluzione degli scenari di riferimento dell’attività bancaria, oltre a determinare la rapida obsolescenza dei contenuti della formazione, accresce in maniera esponenziale l’esigenza di interventi specialistici di aggiornamento e di riqualificazione.
Altrettanto critico, specie in relazione alla strutturazione organizzativa e territoriale tipica delle banche, è l’aspetto legato alla numerosità delle risorse da formare, che impone la ricerca di soluzioni atte a garantire la massima diffusione degli interventi, con l’attenzione, però, al contenimento dei costi che rappresenta inevitabilmente, nell’attuale momento storico, uno dei principali obiettivi del sistema bancario.
La presenza di tali criticità rende opportuno un immediato affinamento delle metodologie e degli strumenti oggi a disposizione.
In questo senso sono senza dubbio da condividere e intensificare, ad esempio, le iniziative di Formazione decentrata o “a distanza”, con il supporto delle moderne tecnologie informatiche, che hanno il pregio di evitare, oltre al disagio dello spostamento fisico, l’assenza prolungata dal posto di lavoro.
Probabilmente, però, è proprio il processo formativo che necessita di un salto di qualità: il fondamentale ruolo ad esso attribuito rafforza il convincimento che il suo fine ultimo non può più essere rappresentato solo dalla “trasmissione delle conoscenze tecniche”; a questa missione, infatti, devono associarsi tutte le iniziative per sviluppare nell’individuo non solo la coscienza di poter egli stesso essere formatore per i suoi collaboratori, ma soprattutto la capacità di mettere in moto il processo di apprendimento anche in contesti diversi da quelli formativi istituzionali.

E’ indispensabile quindi aggiornare e adeguare i “comportamenti” e le competenze professionali alle nuove sollecitazioni provenienti dal mercato, sfruttando al meglio le opportunità di automazione delle attività routinarie e a basso valore aggiunto e utilizzando invece le capacità intellettive e relazionali verso ambiti dove l’intuizione delle esigenze della clientela e la conoscenza profonda dei prodotti disponibili fanno il successo dell’Azienda.
Tali esigenze risultano tanto più pressanti se si pensa che – sotto il profilo macroeconomico – l’anno in corso rappresenta la fase più delicata dalla quale partirà la sfida dei prossimi tre-cinque anni.
Proprio il 2001, dopo la ricordata fase di crescita, si è presentato come un momento di particolare difficoltà; i forti ribassi delle quotazioni azionarie derivanti principalmente dal deciso rallentamento dell’economia USA – con ovvie ripercussioni su tutta l’area Euro – stanno penalizzando i volumi dei ricavi da servizi per commissioni da intermediazione, oltre a produrre un ridimensionamento significativo delle masse di risparmio gestito.
Sul fronte degli impieghi, il Sistema sta soffrendo dei profit warning ormai all’ordine del giorno soprattutto per le aziende che direttamente, ovvero nell’indotto, operano nel campo hi-tech o TLC. Proprio negli ultimi due anni, infatti, è aumentata notevolmente la richiesta di finanziamenti per l’avvio di nuovi progetti di sviluppo legati alle nuove tecnologie sia in campo informatico, sia nelle telecomunicazioni. Il generale rallentamento economico, amplificato ulteriormente dall’indebolimento delle Borse mondiali, ha imposto un ritracciamento dei tempi e degli obiettivi di tali progetti e sta comportando, nella maggior parte dei casi, un ampliamento del fabbisogno finanziario e una revisione al ribasso delle prospettive reddituali di breve periodo. La politica di riduzione dei tassi praticata dai Governatori delle Banche centrali statunitense ed europea potrà avere effetti tangibili solo nell’ultimo scorcio di quest’anno.
Ed è proprio nell’attraversamento dei cicli economici negativi che la qualità del fattore umano assume una rilevanza ancora maggiore.
Per concludere, quindi, gli interventi e le azioni da porre in essere per far fronte alla crisi devono tenere primariamente in considerazione le esigenze professionali e formative proprie del capitale umano di cui si dispone, attivando tutte quelle leve che mantengano alto il livello motivazione e il senso di appartenenza all’Azienda.
Questo tipo di investimento – valido in tutti i settori ma in particolare in quello bancario – potrà fungere da ammortizzatore e garantire agli azionisti il mantenimento di valori di rendimento adeguati al momento economico.
Solo la professionalità e l’impegno delle risorse umane possono mettere al riparo da pericolose e, talvolta, irreversibili perdite di quote di mercato che neppure la più efficiente organizzazione del lavoro o i prodotti più sofisticati sono in grado di combattere. Meglio contare sulla fiducia attenta e critica del cliente, conquistata con professionalità e senso etico del lavoro svolto.

   
   
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