Nel Duemila,
dal Sud sono
andate via
72 mila persone, che si aggiungono alle oltre 78 mila dellanno
precedente.
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Il Sud cresce, ma ancora troppo poco. La forbice con il Centro-Nord
aumenta vischiosamente, e a tratti si ferma, ma lobiettivo
di una significativa riduzione del gap resta ancora lontano. Un
quadro non entusiasmante, in cui da anni ci si imbatte, con implacabile
puntualità, ogni volta che viene analizzato landamento
delleconomia meridionale. E ad accentuare la preoccupazione
delle sorti del Mezzogiorno cè anche il venir meno
di quelle che fino a ieri erano ritenute certezze, potenziali punti
di forza nella prospettiva di una riscossa: la popolazione anziana
delle regioni meridionali sta drammaticamente aumentando; il tasso
di natalità diminuisce e lIstat già prevede,
a partire dal 2006, un saldo naturale negativo; parallelamente,
va di anno in anno crescendo il flusso migratorio di giovani verso
le regioni del Centro-Nord.
A lanciare lallarme è lo Svimez, con il Rapporto 2001
sulleconomia meridionale. Lanalisi dellIstituto
coglie con estrema attenzione le variazioni avvenute al Sud negli
ultimi anni, anche alla luce del nuovo sistema di contabilità
Sec 95. Ma questanno lo Svimez ha voluto evidenziare
proprio laspetto demografico e migratorio, i cui effetti possono
essere decisivi sul futuro del Mezzogiorno. E non soltanto sul fronte
del capitale umano a disposizione per il rilancio degli
investimenti, ma anche sulla spesa sociale. Un capitolo, questultimo,
su cui si ripercuoteranno le scelte federaliste. Perché lobiettivo
dello sviluppo delle aree più deboli è «comunque
condizionato dalla disponibilità di risorse finanziarie che
potrebbe non essere assicurata ove nella nuova struttura
finanziaria dei vari organi istituzionali venisse lasciato
allo Stato uno spazio di autonomia insufficiente».
Dai dati contenuti nel Rapporto emerge che dalla seconda metà
degli anni Ottanta il numero dei neonati al Sud è andato
diminuendo di oltre 60 mila unità allanno (dai 280
mila dell85 ai 220 mila dello scorso anno). Dal 90 ad
oggi, la popolazione in età 0-14 anni ha perduto circa 700
mila unità, mentre cè stato un analogo incremento
di quella anziana.
Una tendenza determinata anche dallincremento del flusso migratorio
dal Sud verso il Centro-Nord. Nella seconda metà degli anni
Novanta, i trasferimenti di residenza dal Mezzogiorno al Centro
e al Nord sono cresciuti con regolarità, passando dalle 104
mila unità del 1995 alle 129 mila del 1998. Nel Duemila,
dal Sud sono andate via 72 mila persone, che si aggiungono alle
oltre 78 mila dellanno precedente. Una migrazione chiarisce
lo Svimez fortemente legata al mercato del lavoro, che nel
triennio 1998-2000 ha significato per il Mezzogiorno un saldo negativo
complessivo della popolazione per un valore cumulato di circa 94
mila unità, e che va attribuito in massima parte agli appartenenti
alla classe 20-30 anni di età, con un 40 per cento di giovani
in possesso di scuola media superiore o di laurea.
Viceversa, il Centro-Nord registra negli ultimi anni un costante
aumento della popolazione. Pur essendo confermato il saldo naturale
negativo, cè stato recentemente un incremento del tasso
di natalità e in tre regioni (Lombardia, Veneto e Lazio)
nel 2000 si è registrata uninversione di tendenza,
dovuta soprattutto alla forte presenza di stranieri (circa il 50
per cento di quelli regolarmente presenti in Italia).
Ecco perché, secondo lo Svimez, «in assenza di significative
dinamiche di rafforzamento di una domanda di lavoro in ambiente
locale, e nel caso di insuccesso delle politiche di adeguamento
delle infrastrutture materiali e sociali al Sud, anche le politiche
di flessibilità e di agevolazioni delle assunzioni
se territorialmente generalizzate allintero Paese potrebbero
finire con il favorire più una dinamica in uscita delle componenti
maggiormente motivate e qualificate nel fattore lavoro, piuttosto
che una dinamica in entrata degli altri fattori mobili». Un
riferimento, questo, diretto soprattutto ai capitali, e di conseguenza
agli eventuali investimenti.
Il Rapporto conferma landamento positivo delloccupazione:
secondo la rilevazione del gennaio 2001 rispetto al gennaio precedente,
lincremento è stato di 656 mila unità, e laumento
risulta relativamente più accentuato nel Mezzogiorno (3,7
per cento) che nel Centro Nord (3,0 per cento). Così come
il Prodotto interno lordo, che nel 2000 segna un incremento del
2,5 per cento al Sud (un punto in più rispetto al 99),
contro il 3,1 per cento al Centro-Nord (1,4 per cento in più
del 99). A muoversi in modo significativo nel Mezzogiorno
è stata soprattutto lindustria, che è stata
interessata da unevoluzione del prodotto (+4,4 per cento)
relativamente più sostenuta di quella registrata nel Centro
e nel Nord, con performance rilevanti dei comparti del legno, della
lavorazione dei minerali non metalliferi e delle industrie del tessile-abbigliamento.
Svimez conferma anche i buoni risultati delle esportazioni, relativamente
più intense al Sud che ha incrementato di oltre il 27 per
cento luscita di merci, contro il 15,3 per cento del Centro-Nord.
Resta ancora tutto da scrivere, invece, il capitolo sul rilancio
delle infrastrutture. Nonostante gli sforzi programmatici degli
ultimi anni, le carenze infrastrutturali al Sud sono tuttora gravissime.
Lo Svimez ribadisce, soprattutto per le grandi opere, lesigenza
di una revisione delle attuali procedure. Ma il Rapporto lancia
anche un avvertimento: «Nel Mezzogiorno non è immaginabile
un riavvio della grande infrastrutturazione, senza ricorrere a un
sostanziale apporto della finanza pubblica».
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