Dicembre 2001

FUGA DI “CAPITALE UMANO”

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I conti li paga il Sud
Renato Candido
 
 

 

 

 

Nel Duemila,
dal Sud sono
andate via
72 mila persone, che si aggiungono alle oltre 78 mila dell’anno
precedente.

 

Il Sud cresce, ma ancora troppo poco. La forbice con il Centro-Nord aumenta vischiosamente, e a tratti si ferma, ma l’obiettivo di una significativa riduzione del gap resta ancora lontano. Un quadro non entusiasmante, in cui da anni ci si imbatte, con implacabile puntualità, ogni volta che viene analizzato l’andamento dell’economia meridionale. E ad accentuare la preoccupazione delle sorti del Mezzogiorno c’è anche il venir meno di quelle che fino a ieri erano ritenute certezze, potenziali punti di forza nella prospettiva di una riscossa: la popolazione anziana delle regioni meridionali sta drammaticamente aumentando; il tasso di natalità diminuisce e l’Istat già prevede, a partire dal 2006, un saldo naturale negativo; parallelamente, va di anno in anno crescendo il flusso migratorio di giovani verso le regioni del Centro-Nord.
A lanciare l’allarme è lo Svimez, con il Rapporto 2001 sull’economia meridionale. L’analisi dell’Istituto coglie con estrema attenzione le variazioni avvenute al Sud negli ultimi anni, anche alla luce del nuovo sistema di contabilità “Sec 95”. Ma quest’anno lo Svimez ha voluto evidenziare proprio l’aspetto demografico e migratorio, i cui effetti possono essere decisivi sul futuro del Mezzogiorno. E non soltanto sul fronte del “capitale umano” a disposizione per il rilancio degli investimenti, ma anche sulla spesa sociale. Un capitolo, quest’ultimo, su cui si ripercuoteranno le scelte federaliste. Perché l’obiettivo dello sviluppo delle aree più deboli è «comunque condizionato dalla disponibilità di risorse finanziarie che potrebbe non essere assicurata ove – nella nuova struttura finanziaria dei vari organi istituzionali – venisse lasciato allo Stato uno spazio di autonomia insufficiente».

Dai dati contenuti nel Rapporto emerge che dalla seconda metà degli anni Ottanta il numero dei neonati al Sud è andato diminuendo di oltre 60 mila unità all’anno (dai 280 mila dell’85 ai 220 mila dello scorso anno). Dal ‘90 ad oggi, la popolazione in età 0-14 anni ha perduto circa 700 mila unità, mentre c’è stato un analogo incremento di quella anziana.
Una tendenza determinata anche dall’incremento del flusso migratorio dal Sud verso il Centro-Nord. Nella seconda metà degli anni Novanta, i trasferimenti di residenza dal Mezzogiorno al Centro e al Nord sono cresciuti con regolarità, passando dalle 104 mila unità del 1995 alle 129 mila del 1998. Nel Duemila, dal Sud sono andate via 72 mila persone, che si aggiungono alle oltre 78 mila dell’anno precedente. Una migrazione – chiarisce lo Svimez – fortemente legata al mercato del lavoro, che nel triennio 1998-2000 ha significato per il Mezzogiorno un saldo negativo complessivo della popolazione per un valore cumulato di circa 94 mila unità, e che va attribuito in massima parte agli appartenenti alla classe 20-30 anni di età, con un 40 per cento di giovani in possesso di scuola media superiore o di laurea.
Viceversa, il Centro-Nord registra negli ultimi anni un costante aumento della popolazione. Pur essendo confermato il saldo naturale negativo, c’è stato recentemente un incremento del tasso di natalità e in tre regioni (Lombardia, Veneto e Lazio) nel 2000 si è registrata un’inversione di tendenza, dovuta soprattutto alla forte presenza di stranieri (circa il 50 per cento di quelli regolarmente presenti in Italia).
Ecco perché, secondo lo Svimez, «in assenza di significative dinamiche di rafforzamento di una domanda di lavoro in ambiente locale, e nel caso di insuccesso delle politiche di adeguamento delle infrastrutture materiali e sociali al Sud, anche le politiche di flessibilità e di agevolazioni delle assunzioni – se territorialmente generalizzate all’intero Paese – potrebbero finire con il favorire più una dinamica in uscita delle componenti maggiormente motivate e qualificate nel fattore lavoro, piuttosto che una dinamica in entrata degli altri fattori mobili». Un riferimento, questo, diretto soprattutto ai capitali, e di conseguenza agli eventuali investimenti.
Il Rapporto conferma l’andamento positivo dell’occupazione: secondo la rilevazione del gennaio 2001 rispetto al gennaio precedente, l’incremento è stato di 656 mila unità, e l’aumento risulta relativamente più accentuato nel Mezzogiorno (3,7 per cento) che nel Centro Nord (3,0 per cento). Così come il Prodotto interno lordo, che nel 2000 segna un incremento del 2,5 per cento al Sud (un punto in più rispetto al ‘99), contro il 3,1 per cento al Centro-Nord (1,4 per cento in più del ‘99). A muoversi in modo significativo nel Mezzogiorno è stata soprattutto l’industria, che è stata interessata da un’evoluzione del prodotto (+4,4 per cento) relativamente più sostenuta di quella registrata nel Centro e nel Nord, con performance rilevanti dei comparti del legno, della lavorazione dei minerali non metalliferi e delle industrie del tessile-abbigliamento.
Svimez conferma anche i buoni risultati delle esportazioni, relativamente più intense al Sud che ha incrementato di oltre il 27 per cento l’uscita di merci, contro il 15,3 per cento del Centro-Nord.
Resta ancora tutto da scrivere, invece, il capitolo sul rilancio delle infrastrutture. Nonostante gli sforzi programmatici degli ultimi anni, le carenze infrastrutturali al Sud sono tuttora gravissime. Lo Svimez ribadisce, soprattutto per le grandi opere, l’esigenza di una revisione delle attuali procedure. Ma il Rapporto lancia anche un avvertimento: «Nel Mezzogiorno non è immaginabile un riavvio della grande infrastrutturazione, senza ricorrere a un sostanziale apporto della finanza pubblica».

   
   
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