Un generale declino, che fa capo
alla natura stessa
del nostro sistema produttivo,
fatto in larghissima prevalenza di piccole imprese.
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Unampia parte delle Considerazioni del Governatore
Fazio è dedicata alla gestione della cosa pubblica. E
la parte più tradizionale e più seguita sia perché
in anni ancora recenti il risanamento finanziario rivestiva una
cruciale rilevanza ai fini della partecipazione alla moneta unica,
sia perché il settore pubblico aveva effettivamente un peso
dominante e invadente sul sistema economico, sia infine perché,
con il potere che aveva di determinare la politica monetaria, Bankitalia
aveva uninfluenza considerevole, talvolta decisiva, sul corso
delle vicende politiche.
Ciò nondimeno, e malgrado linteresse aggiuntivo dovuto
alla transizione da una legislatura allaltra, questa parte
delle riflessioni ha avuto poco di nuovo da dire. Era già
acquisito che da un anno a questa parte i conti pubblici tendessero
a deragliare dallo stretto e ripido percorso tracciato dagli impegni
europei; che, di conseguenza, di spazio per ridurre ulteriormente
la pressione fiscale per il momento non ce nè; era
già acquisito che ragioni demografiche imporranno di rimettere
mano al sistema previdenziale.
Meno scontata è, invece, la parte dedicata alle imprese;
non del tutto nuova, ma certo meno tradizionale. Qui è stato
sottolineato come la perdita di competitività sui mercati
internazionali sia essenzialmente riconducibile alla tipologia e
qualità dei prodotti: «Influisce la limitata presenza
del nostro sistema nella produzione di beni ad alta tecnologia».
Beni, la cui domanda cresce nel mondo ad un ritmo doppio di quello
degli altri beni, e la cui quota sul totale delle esportazioni negli
ultimi dieci anni è rimasta stazionaria all8 per cento
in Italia, mentre è salita dal 13 al 19 per cento nellUnione
europea e dal 26 al 29 per cento negli Stati Uniti.
Detto in altri termini: perché noi italiani dovremmo mantenere
un livello di vita più elevato dei coreani, dei brasiliani
o dei rumeni, se nel mondo offriamo cose che anche loro sono capaci
di offrire?
Ecco delineato il problema non solo della competitività,
ma di un più generale declino, che fa capo alla natura stessa
del nostro sistema produttivo, fatto in larghissima prevalenza di
piccole imprese, poco propense ad investire in qualità e
in innovazione, sia per carenza di mezzi finanziari, sia per unimpostazione
strategica nella quale i rischi della ricerca mal si conciliano
con lasservimento dellimpresa agli interessi familiari.
Con una disperante aggravante. Fatte salve le esigenze di consenso
e di concertazione, le soluzioni ai problemi posti dalla gestione
della cosa pubblica, quali un disavanzo superiore alle previsioni,
una spesa previdenziale troppo elevata, le rigidità dei mercati,
ci sono, si conoscono: si tratta di applicarle.
Ma i problemi che derivano dalla micro-imprenditorialità,
ossia da un fenomeno che ancor prima di essere economico è
una nostra peculiare e radicata connotazione sociale, come possono
essere affrontati e risolti? Questo non lo sa nessuno. E le analisi
confermano che, se non si risolvono, mantenere il passo dei Paesi
più avanzati sarà difficile e, forse, impossibile.
Se
il Distretto muore
s. b.
Il vero e proprio vincolo alla crescita delleconomia
nazionale è costituito dal nanismo delle imprese italiane,
(cui il Distretto industriale, comè stato osservato,
pone rimedio solo parzialmente); dallassoluta parsimonia
con cui le aziende investono in ricerca e sviluppo (lo 0,56
per cento del Prodotto interno lordo, ossia un terzo rispetto
alla media europea e un quarto rispetto agli Stati Uniti);
dalla conseguente incapacità di incorporare, con linnovazione,
maggiore valore aggiunto e di aggredire i settori tecnologicamente
avanzati.
Lultima della lunga serie di rampogne che da tempo sferza
il sistema produttivo nazionale, denunciandone le inadempienze,
riecheggia ancora dalla Banca dItalia, in parallelo
con quanto è stato dimostrato, prove alla mano, che
in nessuna parte del mondo cè un imprenditore
disposto ad investire in un habitat ostile, per carenza dei
prerequisiti: che dappertutto vengono predisposti dalla mano
pubblica.
Da queste prese di posizione emerge che lincapacità
di costruire lo sviluppo sulle tecnologie più innovative
non è un destino per le imprese italiane, ma è
linevitabile conseguenza della mancanza di lungimiranza
della politica. Queste affermazioni sono costruite per deduzioni
comparate.
In scena, ancora oggi, vanno infatti le case story
di aree che soltanto venticinque anni fa (ma in Germania e
in Taiwan soltanto sette-dieci anni fa) erano caratterizzate
da insediamenti industriali tradizionali, e di città
a vocazione amministrativa (come Washington), che oggi sono
diventate Distretti di eccellenza mondiale nei
settori di punta, intendendosi per Distretto unarea
vocata ad una certa attività, che fa di una conoscenza
diffusa sul territorio e di strette interrelazioni con le
istituzioni locali suoi punti di grande forza.
Infatti, che cosa aveva consentito alla Germania (e in questo
ambito alla Renania-Westfalia) di diventare numero uno in
Europa nel campo delle biotecnologie umane in soli sette anni;
a Washington di trasformarsi da città sostanzialmente
amministrativa (come del resto quasi tutte le capitali) in
terza regione al mondo per le biotecnologie e in prima per
linformation technology e per Internet; a Tolosa di
conquistare la leadership europea nellaeronautica e
nellaerospaziale (ma anche nelle scienze della salute);
o a Taiwan in uno dei primi centri asiatici dellelettronica?
Dietro tutti questi casi di trasformazioni straordinarie che
hanno saputo attrarre fiumi di capitali, valanghe di insediamenti
industriali di grandi e piccole dimensioni, moltiplicare in
curva esponenziale occasioni e posti di lavoro, e, in ultima
analisi, fare da volano ad una crescita robustissima delleconomia,
ci sono certamente le avventure personali di centinaia di
imprenditori; ma, per ammissione degli stessi protagonisti,
nulla sarebbe stato possibile se, a monte, il potere politico
non avesse creato le precondizioni: sul piano finanziario,
con cospicui programmi di investimenti in ricerca; sul piano
delle risorse umane, con università al passo con i
tempi, con scuole di alta specializzazione, e con grandi istituti
di formazione scientifica di primissimo ordine.
In modo spontaneo (come negli Stati Uniti con gli investimenti
della Difesa, e con le grandi Agenzie federali di ricerca,
pubbliche e private), o con scelte lungimiranti e con unattenta
programmazione da parte dei governi nazionali o locali (come
in Francia, in Germania e a Taiwan), e con una stretta collaborazione
tra pubblico e privato, si sono concentrati denaro e sforzi
formativi su obiettivi specifici: e gli obiettivi sono stati
centrati.
Inutile chiedere limpossibile alle imprese nellItalia
che vede la ricerca pubblica quasi inesistente, e per di più
distribuita a pioggia; e dove luniversità, con
rare e pregevoli eccezioni, rischia di trasformarsi in esamificio.
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