Il Sud rappresenta
un formidabile
mercato: se crolla
la domanda
di consumi,
le ripercussioni
si avvertiranno
in tutta la Penisola.
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LItalia è il Paese delle differenze e
la frattura fra regioni ricche e povere è in crescita. Lo
afferma lOcse nel Territorial outlook recentemente
presentato a Parigi: un accurato atlante delle tendenze dellaumento
delloccupazione e della distribuzione del reddito per ciascuno
dei Paesi industrializzati, che risulta sezionato per regioni. Lorganismo
internazionale sottolinea che «la ripartizione nazionale della
ricchezza mostra chiaramente due Italie: un Nord con un Pil per
abitante superiore alla media nazionale e un Sud con valori nettamente
inferiori».
In particolare, lOcse evidenzia il forte divario Nord-Sud
per quanto riguarda la dinamica delloccupazione nellultimo
decennio: «Con una disoccupazione così rilevante e
con una riduzione relativa dellofferta di lavoro, il riequilibrio
territoriale è compromesso, almeno nel medio termine».
Un dualismo che ci porteremo appresso a lungo, dunque, con un Nord
nel quale si distinguono Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto
Adige e Val dAosta, dove «la localizzazione delle grandi
imprese, la dinamica dei distretti industriali e la crescita del
settore turistico mostrano lalto livello del Pil per abitante».
Se si confrontano i livelli del Pil per abitante, nonché
i tassi di occupazione, emerge invece la dicotomia tra un Nord in
crescita e un Sud in declino. Tra il 1993 e il 1998, la Calabria,
alcune aree della Basilicata, la Campania e la Sicilia hanno registrato
una riduzione del 6 per cento del tasso di occupazione. «Con
una disoccupazione che supera il 15 per cento e si estende fino
al 25 per cento circa per la Calabria e per la Sicilia, le regioni
meridionali nel loro complesso accumulano gli handicap».
Ma unoccasione per discutere dellItalia e dei suoi
problemi strutturali è venuta anche dalla presentazione delloutlook
congiunturale recentemente pubblicato dallOcse. Vi si sofferma
a lungo sulla questione previdenziale e sui problemi del crescente
invecchiamento della popolazione, che costituiscono uno degli approfondimenti
contenuti nel Rapporto, nel quale si dà conto di un esercizio
di previsioni al 2050, elaborato da ciascun Paese industrializzato
sulla base di ipotesi governative tutto sommato ottimistiche:
un buon tasso di crescita, una maggiore partecipazione al lavoro
da parte delle donne, una ripresa della natalità, oltre agli
effetti delle riforme già realizzate. E con tutto ciò
per lItalia la spesa previdenziale sul Pil appare destinata
a crescere rispetto al livello attuale di circa tre-quattro punti
percentuali di Pil. Senza contare il fatto che, al momento di fare
previsioni a lungo termine, non è il caso di fidarsi della
possibilità di una maggiore crescita o di maggiori flussi
migratori.
Che fare, allora? «Uno degli elementi fondamentali da adottare
per la riforma dei sistemi pensionistici è linnalzamento
delletà pensionabile, perché di fronte alle
prospettive di invecchiamento della popolazione è necessario
intervenire ex ante, invece che ex post».
Per questo, «oggi è necessario prendere il toro per
le corna e, quindi, pensare a riforme delle pensioni che tengano
conto delle raccomandazioni fondamentali dellOcse. Mettere
cioè in moto un sistema creato su tre pilastri: quello pubblico
di base, una componente a capitalizzazione che deve essere obbligatoria
per i lavoratori dipendenti, e una parte affidata a un sistema di
fondi pensione volontari, che preveda invece libertà di adesione».
E di fronte alla devolution che cosa rischia il Sud?
Cè chi sostiene che, dal momento che un progetto di
riforma non si fa con gli slogan, e dal momento che i criteri di
finanziamento, i percorsi esecutivi e le vere finalità non
sono resi noti, a pagare il conto sarà ancora una volta il
Mezzogiorno. Una premessa: fondare una riforma federalista sul trasferimento
di competenze è un modo antiquato di affrontare il problema.
LItalia non è allanno zero. Nella scorsa legislatura
le regioni hanno ottenuto poteri da cui la Scozia, tanto citata
e portata ad esempio da Bossi, è lontanissima: basti pensare
che il governo inglese può riappropriarsi in qualsiasi momento
delle competenze.
Il problema vero è quali garanzie si offrono al Sud. La solidarietà
non è unelemosina concessa dalla parte privilegiata
del Paese: è il fondamento di ogni democrazia e di tutti
i sistemi federali conosciuti. Quel che rischia il Mezzogiorno è
evidente. Ma rischia anche il Nord. Il Sud rappresenta un formidabile
mercato: se crolla la domanda di consumi, le ripercussioni si avvertiranno
in tutta la Penisola.
Si parla tanto di autonomia fiscale. Allora, sarebbe
bene cominciare anche a pianificare una ripartizione del debito
pubblico, visto che le rendite finanziarie sono al 90 per cento
al Nord.
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