Dicembre 2001

PROSPETTIVE

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Se il sistema
si dà una mossa
Flavio Albini - Riccardo Perni
 
 

 

 

 

 

Infrastrutture
e Mezzogiorno:
è su questi scacchieri
che si dovrà giocare
la prospettiva
psicologica e reale del futuro del nostro Paese.

 

Che l’Italia possa conoscere una fase di slancio dell’economia era auspicio che circolava nell’aria da un pezzo. Che lo stesso concetto si ripeta oggi, assume un significato particolare. E se il Governatore ha sorpreso un po’ tutti per la durezza con cui ha avanzato dubbi e sospetti sui conti dello Stato lasciati in eredità dalla legislatura scorsa, gli economisti incoraggiano la nuova a un programma in cui abbiano priorità tagli organici e permanenti alle spese pubbliche, i soli capaci di permettere una riduzione delle tasse, come è stato suggerito, di un punto percentuale all’anno, a partire dal 2002.
Ha seminato già l’allarme in Europa, a cominciare dalla Banca centrale di Francoforte, la previsione che il deficit pubblico nel 2001 eccederà in maniera rilevante l’obiettivo dell’1% del prodotto lordo concordato ufficialmente nel Piano di stabilità italiano. Che cosa vuol dire rilevante? Senza dubbio alcuno, ben più del 9-10 mila miliardi di lire fin qui previsti da osservatori indipendenti, forse anche dei 15 mila di cui continuano a parlare gli esperti economici nostrani: si riesce più o meno a capire che dovrebbe trattarsi di una cifra molto vicina ai 20 mila miliardi di lire.
Nell’immediato, nessuno consiglia una manovra correttiva. Sarà sufficiente che il Tesoro rallenti i pagamenti. Ma impostando la legge finanziaria per l’anno prossimo, il governo ha dovuto tener conto del fatto che la riduzione del carico fiscale proclamata anche per gli anni successivi dall’esecutivo uscito di scena non trova corrispondenza – come ha detto Fazio – nell’evoluzione della spesa. Prima ancora di pensare a nuovi sgravi, dunque, è bene progettare indispensabili interventi sulle erogazioni pubbliche, in un’ottica di medio termine.

I consigli su come tagliare le spese puntano sulla sanità, sulle pensioni, sugli enti locali, sull’efficienza dello Stato. Siccome per la sanità più che spendere troppo si spende male, sono consigliati soprattutto vincoli di efficienza, con verifica sistematica dei costi e delle attività delle singole unità che allineano le Regioni più sprecone a quelle che ottengono gli stessi risultati con meno soldi. Quanto alle pensioni, si valutano importanti le riforme dell’ultimo decennio, e si propone un sistema flessibile, fondato sulla libera scelta, che scoraggi chi lascia il lavoro presto, in modo da innalzare l’età media effettiva di pensionamento (non quella formale, dei sessantacinque anni).
Al decentramento di nuovi poteri alle Regioni, o come va di moda dire oggi, alla “devolution”, si è favorevoli, ma con l’avvertenza che deve accompagnarsi ad una più precisa responsabilità degli enti locali per le proprie uscite e le proprie spese, altrimenti si rischierà di non rispettare gli obblighi europei: il Patto di stabilità interno così com’è funziona poco, e va senz’altro migliorato. Inoltre, un trasferimento di risorse dalle aree più sviluppate a quelle più bisognose dovrà evitare squilibri nei servizi fondamentali a danno delle Regioni più povere. Quanto poi all’efficienza della Pubblica Amministrazione, negli ultimi anni si sono registrati buoni progressi, soprattutto con la semplificazione delle procedure, ma molto ancora resta da fare, anche a causa delle resistenze opposte dalla burocrazia.
I tagli alla spesa dovranno essere sufficienti a compensare non soltanto le eventuali minori tasse, ma anche nuovi investimenti in infrastrutture, in particolare nelle regioni meridionali. Come è stato fermamente sottolineato, l’annuncio e il concreto avvio di un programma di riforme della spesa pubblica e di una riduzione del carico fiscale agiscono positivamente sulle aspettative di crescita e sulle decisioni di investimento: vale a dire, se si sanno prendere decisioni anche impopolari all’inizio, il migliore andamento dell’economia consentirà poi di alleggerire gli oneri.
L’Italia dello slancio potenziale non è un Paese malridotto. La crescita economica nel 2001, per quanto al di sotto del 3 per cento programmato (dovrebbe aggirarsi intorno al 2,3 per cento), è in linea con la media dell’area euro in comune rallentamento; le nostre imprese non sono sfiduciate e oppresse, godono di una cospicua formazione di profitti (come ha riconosciuto lo stesso Fazio) che negli ultimi anni si è tradotta in un forte aumento degli investimenti, particolarmente in macchinari, nella razionalizzazione dei processi produttivi e nell’informatica. C’è la base per una più veloce crescita della produttività.
Infrastrutture e Mezzogiorno: è su questi scacchieri che si dovrà giocare la prospettiva psicologica e reale del futuro del nostro Paese. Un “New Deal” al passo con i tempi: con lo Stato che non può sopportare da solo il peso di un programma di così vaste proporzioni, e dunque con i privati coinvolti in forme di investimento produttivo, conveniente, capace di attirare capitali, di tradurli in infrastrutture e servizi vitali per l’Italia e per il Sud.
Abbiamo, di fronte a noi, lo sterminato mercato del bacino mediterraneo, dove i prodotti italiani incontrano un certo successo, da trasformare in conquiste sempre più ampie; e abbiamo il mercato dell’Est europeo, dove i tedeschi la fanno da padroni, ma che risponde bene alle esportazioni italiane, a patto che si tratti di prodotti di prima qualità e di alto livello. Sono questi i versanti sui quali puntare le carte per l’immediato futuro, con programmi pianificati per l’interno e per l’estero, a loro modo sincronizzati, paralleli. Compito arduo, certamente. Ma senza più alibi per nessuno, se tutto resterà come prima.

   
   
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