Dicembre 2001

PROSPETTIVE

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Battere la recessione
Mario Sarcinelli
 
 

 

 

 

 

L’Europa è ancora
in una situazione
di disavanzo corrente
che il rallentamento
economico
ha aggravato
soprattutto
in Francia,
Germania, Italia
e Portogallo.

 

Imprenditori e consumatori sembrano essudare ancora pessimismo circa le prospettive della crescita. La regolare caduta nel grado di fiducia delle imprese che era stata osservata nella prima metà dell’anno aveva costituito un preciso segnale: la recessione era in agguato. Più di recente, il settore industriale, pur continuando a riflettere attese di deterioramento, sembrava indicare che era in vista un punto di minimo: tutto ciò, ovviamente, prima degli orrendi attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono.
Il settore dei servizi, invece, indicava chiaramente uno scivolamento verso il basso, foriero di una nuova fase di debolezza dell’economia. La forte caduta nella fiducia dei consumatori, almeno di quelli americani e giapponesi, è in gran parte da ascrivere al deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro e alla caduta delle quotazioni azionarie. Gli effetti negativi degli attacchi terroristici sono stati già registrati dalle indagini sull’atteggiamento dei consumatori negli Stati Uniti e in vari Paesi europei.
Perché il quadro degli atteggiamenti psicologici possa stabilizzarsi e il mondo degli affari incorporare pienamente il mutato sentire dei consumatori, sono necessari ancora alcuni mesi. Nel frattempo, sbizzarrirsi in previsioni sulla durata e sulla profondità della recessione è ancora più pericoloso del solito, ma che il mondo industrializzato vada a essa incontro è opinione ormai diffusa, anche perché, contrariamente al passato, tutte le economie stanno rallentando simultaneamente. Il sincronismo nel rallentamento rende comune la responsabilità nel contrastare la recessione.
Del mondo industrializzato, gli Stati Uniti sono stati il motore della crescita per quasi tutti gli anni ‘90, se si eccettua la breve recessione del ‘91-‘92; anche il precedente decennio aveva visto l’America in espansione. Soprattutto il recente boom di Borsa aveva abituato il risparmiatore-consumatore ad attendersi altri ritorni sul proprio capitale, sicché oggi considera insoddisfacente un rendimento del 5 per cento. Sino a quando le attese non torneranno a livelli più compatibili con l’esperienza storica, è probabile che l’investimento – soprattutto finanziario, ma anche reale – non possa partire. I consumi, d’altro canto, sono negativamente influenzati dall’alto livello d’indebitamento delle famiglie, dall’aumento della disoccupazione, dallo shock temporaneo delle abitudini (viaggi, divertimenti, ecc.).
E’ alla politica economica che è passata la responsabilità per riavviare la fase della crescita. Da tempo quella monetaria ha agito in modo aggressivo; dall’inizio dell’anno, il tasso-guida per il mercato interbancario (federal funds rate) e il tasso di sconto sono stati tagliati, portando il livello reale dei tassi a breve in territorio negativo e la curva dei rendimenti a diventare molto rapida. Non solo, quindi, le condizioni monetarie sono estremamente permissive, ma esse non hanno prodotto l’effetto di evitare il peggioramento delle aspettative, né il miracolo di stabilizzare i mercati azionari.
Del rischio che la medicina monetaria possa rivelare la propria potenza con il consueto ritardo di alcuni trimestri e sfogarsi in spinte inflazionistiche, Greenspan è pienamente consapevole. Da ciò deriva la sua iniziale riluttanza verso la politica fiscale e le successive raccomandazioni a contenere la dimensione e la composizione del pacchetto. Altri ha avversato l’uso di questo strumento o per pregiudizio anti-keynesiano o temendo che la “retta via” della diminuzione delle tasse e del debito pubblico possa essere abbandonata.
Poteva, il presidente Bush, opporsi al Congresso che aveva già concordemente varato 40 miliardi di dollari per aiuti e spese di emergenza e altri 15 miliardi, di cui due terzi sotto forma di garanzie, per le linee aeree? Assolutamente no, per varie ragioni.

1) Il costo politico di una fiducia illimitata nelle autonome capacità di ripresa dell’economia americana e nella politica monetaria sarebbe stato enorme.

2) Il bilancio americano per l’anno finanziario appena iniziato ha una previsione di avanzo per 52 miliardi di dollari, senza tenere conto del proposto pacchetto di 60-75 miliardi per anticipare le riduzioni fiscali e dare aiuti ulteriori ai disoccupati.

3) L’accusa di keynesismo non ha peso nel Paese del pragmatismo, dove il presidente Reagan, eletto con un programma conservatore, fece una politica di riforme strutturali, ma di spesa in disavanzo.

4) La politica monetaria si sta pericolosamente avvicinando al punto in cui non potrà più tagliare i tassi e d’ora in poi è probabile che ulteriori riduzioni saranno effettuate per quarti di punto.

5) La lotta al terrorismo internazionale sarà lunga, i successi non facili da cogliere; soprattutto, se esso dovesse ancora presentarsi all’umanità col suo carico di morte e di distruzione, un senso d’impotenza potrebbe impadronirsi dell’opinione pubblica occidentale. E’ responsabilità dei Governi fare quanto è in loro potere per mantener alti il morale e l’attività economica.

Vale ciò anche per l’Europa? Certamente. Non basta offrire collaborazione agli Stati Uniti sulla base dell’articolo 5 del Trattato della Nato. Già la Bce, con un’azione concertata con la Fed, ha dimostrato di essere conscia delle sue responsabilità nel governo della stabilità finanziaria mondiale, fornendo liquidità e riducendo il costo del denaro. Spetta al governo economico dell’Europa, ancora in una fase embrionale, dimostrare che la comune responsabilità origina un comune atteggiamento di lotta alla recessione in un momento in cui l’inflazione non è preoccupante e i “signori del petrolio” sembrano cooperativi. L’Europa è ancora in una situazione di disavanzo corrente che il rallentamento economico ha aggravato soprattutto in Francia, Germania, Italia e Portogallo, ponendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi annuali di riduzione.
Non credo che alcuno chieda di abbandonare il Patto di stabilità e il limite del disavanzo di bilancio al 3 per cento del Pil, ma bisogna ricordare che esso è anche un patto per la crescita, sicché una rimodulazione dei tempi per il raggiungimento del pareggio è giustificata dalla specialità della situazione, da compensare con un’accelerazione in alcune riforme strutturali per evitare contraccolpi alla credibilità sui mercati. Se l’Europa vuole diventare un comprimario sulla scena mondiale, deve assumersi la sua quota di responsabilità, come gli americani hanno chiesto al G-7; se vuole che i cittadini di Eurolandia non ricordino come tempi magri quelli del passaggio dalle monete fisiche nazionali all’euro, bisogna allontanare lo spettro della recessione.

   
   
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