Si deve avere
il coraggio
di affermare che la coscienza europea risiede nella parte
illuminata
dellEuropa
che trascinerà
e comanderà
gli altri.
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Lavvenire delle Nazioni europee è lEuropa. Non
lEuropa effimera dei grandi conquistatori, quella di Cesare,
degli Absburgo o dei Borbone, di Carlo Magno o di Napoleone, ma
lEuropa libera, cementata dal consenso dei suoi componenti
quali la storia ci ha trasmesso, lEuropa rispettosa di una
diversità culturale che sarà il fondamento della sua
cultura, che sarà la sorgente di una fraternità fondata
non su un progetto giacobino di uniformazione, ma sulla valorizzazione
delle differenze.
Il fenomeno nazionale è recente e non durerà in eterno.
Il nazionalismo che si è sviluppato a partire dal secolo
degli Illuministi, e soprattutto dopo la Rivoluzione Francese, è
un principio ideologico che, come scriveva lantropologo ceco
contemporaneo, Ernst Gellner, «esige che si recuperino lunità
politica e lunità territoriale».
Il nazionalismo moderno si distingue dalle forme meno rigorose di
identificazione in un gruppo per il dovere di subordinazione dei
cittadini verso lo Stato, il quale ingloba e rappresenta la nazione,
vale a dire il gruppo etnico. Questa subordinazione è assoluta
in caso di guerra. Ma le etnie sono raramente pure.
Il nazionalismo reale ha assunto altri volti. In generale, le masse
popolari sono le ultime ad esserne toccate. Molto dopo la Rivoluzione,
questa modalità in qualche modo hegeliana di costruzione
nazionale è rimasta la regola.
Massimo DAzeglio, uno dei capi moderati del Risorgimento,
poteva esclamare nella prima seduta del Parlamento del Regno dItalia
nuovamente unito: «Noi abbiamo fatto lItalia e ora dobbiamo
fare gli italiani», e poco importava a coloro che discutevano
della questione polacca che la maggior parte dei cittadini
che parlavano polacco non si sentissero nazionalisti. Il maresciallo
Pilsudski diceva: «E lo Stato che fa le nazioni e non
le nazioni che fanno lo Stato».
Indubbiamente, gli intellettuali hanno contribuito alla costruzione
della identità nazionale. Con loro, soprattutto
gli storici. Questione europea e questione nazionale non soltanto
sono indissolubilmente legate, ma manifestano due espressioni dello
stesso interrogativo geopolitico. Per pensarla correttamente, la
cosa migliore è rifarsi a quanto dichiarato da Ernest Renan
nella sua celebre conferenza alla Sorbona dell11 marzo 1882:
«Che cosè la nazione?». Lautore della
Storia delle origini del Cristianesimo, allora allapice della
fama, attribuiva grande importanza a questo testo.
Renan procede in tre tempi. In primo luogo, si prodiga per ricostruire,
da storico, la genesi del fenomeno nazionale del XIX secolo, risalendo
alle invasioni germaniche. Poi diviene politologo e ricerca criteri
adatti a fondare lidentità nazionale, arrivando alla
conclusione dellimpossibilità di tale modo di procedere.
Da qui, il terzo tempo, in cui egli espone la sua teoria personale.
La nazione deriva dal connubio di due elementi: il primo appartenente
al passato leredità storica comune; il secondo
appartenente al presente la volontà odierna di vivere
insieme. Il testo è un manifesto di combattimento. Vi si
trovano elementi che risalgono al periodo rivoluzionario (la volontà
come fonte dellidentità nazionale), il vocabolario
di Michelet (la nazione come unanima, un principio
spirituale), o, ancora, le idee di Fustel de Coulanges: «Quello
che distingue le nazioni scriveva questultimo
non è la razza o la lingua. Gli uomini sentono in cuor loro
di essere uno stesso popolo quando esiste una comunità di
idee, di interessi, di sentimenti, di ricordi e di speranze».
Mi sembra che per lEuropa si possa seguire passo passo liter
di Renan e arrivare alle stesse conclusioni. Non è difficile
ripercorrere la genesi del fenomeno europeo, dallImpero romano
ai cataclismi del XX secolo. Non è difficile identificare
dei criteri dellessere europei e rifiutarli. Non è
difficile trovare la soluzione: lEuropa è la risultante
di una tensione tra un presente, un voler vivere insieme da inventare,
creare, e un passato che funziona come una miniera di ricordi comuni
da interpretare o reinterpretare costantemente.
Renan non esita a fare lelogio delloblio. «Loblio»,
afferma, «e io aggiungerei anche lerrore storico, sono
un fattore essenziale della formazione della nazione». Anche
in questo caso si potrebbe sostituire Europa a nazione.
Certo, un discorso siffatto non è politicamente corretto
in unepoca di dovere della memoria o di pentimento,
ma vale la pena meditarci.
Non si tratta, daltronde, di costruire sulla menzogna: Walter
Scott ha costruito la nazione scozzese su territori
intrisi del sangue di popoli e di re. LEuropa si costruisce
su territori intrisi del sangue delle nazioni. Il progetto nazionale
del XIX secolo è sfuggito ai suoi demiurghi e ha subìto
una degenerazione. Oggi è necessario riprenderlo, ma ponendolo
al posto giusto: lEuropa, non più la Nazione.
«La coscienza di una nazione scriveva ancora Renan,
questa volta nella Riforma intellettuale e morale risiede
nella parte illuminata della nazione, che trascina e comanda gli
altri. La civilizzazione allorigine è stata unopera
aristocratica, lopera di una cerchia ristretta (nobili e preti),
che lhanno imposta perché i democratici facevano appello
alla forza e allimpostura; la conservazione della civilizzazione
è parimenti unopera aristocratica». Lessenziale,
per lui, era sviluppare lo spirito e laristocrazia dellintelligenza.
Ai giorni nostri è difficile impiegare un simile linguaggio.
Eppure si deve avere il coraggio di affermare, trasponendo una volta
di più, che la coscienza europea risiede nella parte illuminata
dellEuropa che trascinerà e comanderà gli altri.
Non certo per costrizione, ma con la forza della convinzione e dellevidenza
e con quello che gli specialisti chiamano lingranaggio istituzionale.
La libera circolazione e la moneta unica riusciranno a fare di più
per popolarizzare lEuropa nei primi decenni del nuovo secolo
di quanto sia stato realizzato peraltro dopo il Trattato di Roma.
Quanto alle istituzioni, per parlare in maniera più precisa,
noi ci troviamo per lEuropa al punto in cui si trovava la
Francia quando Guizot e altri si interrogavano sul regime rappresentativo.
Spetta ancora alle élites intellettuali proporre soluzioni
sagge e perseguibili e alle élites politiche convincere i
loro popoli ad accettarle. Tutto questo, ovviamente, richiederà
molto tempo e comporterà tentativi ed errori. Le grandi opere
si edificano grazie ad una volontà protratta nel tempo. Noi
facciamo lEuropa, ci restano da fare gli europei.
Lavvenire della Francia è lEuropa. Eppure molti
dei nostri concittadini hanno timore di questa prospettiva e, lungi
dal vedere un progresso, temono una capitolazione davanti a forze
oscure. Di questa paura scorgo la causa più profonda nellimpatto
sempre rilevante del nazionalismo della fine del XIX secolo, spesso
mascherato con laggettivo repubblicano e che contrassegna
lacme dellideologia giacobina. Affinché la Francia
sia allaltezza del suo avvenire, cioè che essa assuma
pienamente un ruolo motore nelledificazione europea, è
necessario che i francesi scoprano la compiutezza della storia,
allargando il loro orizzonte di spazio e di tempo. Allora metteranno
lidea nazionale al suo giusto posto e potranno dire, insieme
a Victor Hugo: «Quello che la Francia ha dammirevole
è che essa è destinata a morire, ma a morire come
gli dèi, attraverso la trasfigurazione. La Francia diventerà
lEuropa».
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