Sondaggi dopinione in diversi Paesi
europei occidentali dicono che questo movimento raccoglie le simpatie
e il sostegno di parti considerevoli
dellopinione
pubblica.
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Lincontro di Genova dei leader del G8 si è svolto
fra manifestazioni di protesta (degli antagonisti della globalizzazione)
che non hanno precedenti per dimensioni di massa e di violenza.
LEuropa occidentale non vedeva nulla di paragonabile dai giorni
del Maggio 68. Gli organizzatori del vertice si attendevano
le manifestazioni e vi si erano predisposti. Cerano già
state le dure esperienze di Seattle, di Praga, di Göteborg,
di altre città, dove i potenti del mondo avrebbero potuto
convincersi del fatto che stava crescendo nel pianeta un possente
movimento di protesta contro le politiche della globalizzazione
neoliberale. Portatori principali della quale sono individuati dai
contestatori, non senza buone ragioni, nel Fondo monetario internazionale
(Fmi), nella Banca mondiale (Wb), nellOrganizzazione mondiale
del commercio (Wto).
Si è ritenuto che sarebbe stato sufficiente mobilitare più
forze di polizia che nelle occasioni precedenti, proteggere il luogo
dellincontro con muri di cemento armato e con reti metalliche,
creare unimpenetrabile zona di sicurezza. E sembrato
agli organizzatori del vertice che tutto questo bastasse. Tuttavia
queste misure straordinarie di sicurezza, destinate a proteggere
i partecipanti al vertice non hanno fatto altro che inasprire lostilità
dei dimostranti e moltiplicare la loro determinazione a farsi ascoltare.
Ci sono stati eccessi, violenze, scontri durissimi, palesemente
creati da elementi estremisti che è ormai esperienza
comune di questi tempi si infiltrano in ogni manifestazione
di massa. Certo, ciò discredita le intenzioni positive e
le legittime proteste di centinaia di migliaia di manifestanti in
tutto il mondo. Sarebbe tuttavia un grave errore ridurre a questi
eccessi le azioni di protesta di coloro che (non so con quanta precisione)
sono definiti come antiglobalisti.
Tutte le rivoluzioni popolari del passato sono cominciate con manifestazioni
di massa che, a molti dei contemporanei, apparvero semplicemente
come convulse espressioni di masse cieche e tumultuanti. Occorre
invece cercare di capire le ragioni profonde che spingono persone
a muoversi per centinaia e migliaia di chilometri, in condizioni
di disagio acuto, e a rischiare la salute e talvolta la vita, impegnando
in questo tante forze, energie, mezzi, per una lotta che ad esse
appare importante e cruciale per lintera umanità.
Sondaggi dopinione in diversi Paesi europei occidentali dicono
che questo movimento raccoglie le simpatie e il sostegno di parti
considerevoli dellopinione pubblica. Sono milioni coloro i
quali provano angoscia di fronte alla prospettiva di vedere i loro
Paesi trasformati in poligoni sperimentali dellarbitrio di
potenti compagnie transnazionali. Altri e sono molti anchessi
avvertono il pericolo di perdere lavoro e sicurezza sociale.
E che dire dei Paesi in via di sviluppo, dove la globalizzazione
salvo che da gruppi ristretti è vista come
espansione dei Paesi ricchi e come nuova forma di colonialismo?
Giovanni Paolo II è tra le voci autorevoli che hanno messo
in guardia ripetutamente la coscienza internazionale.
In effetti, nellordine del giorno del G8 genovese erano finalmente
approdate, appunto, alcune delle questioni sollevate in questi anni
da coloro i quali, lo ripeto nuovamente, non so con quanta precisione
vengono presentati indiscriminatamente come antiglobalisti:
lotta contro la povertà, riduzione del peso del debito per
i Paesi meno sviluppati, difesa dellambiente di fronte alle
modificazioni climatiche, lotta contro la diffusione dellAids
e di altre gravi epidemie. A quanto pare, i leader volevano lanciare
un segnale allopinione pubblica internazionale: anche noi
siamo preoccupati di questi problemi, vogliamo affrontarli e siamo
pronti a rispondere alle ansie e alle domande della gente comune.
Ciò che è avvenuto nelle vie di Genova mostra tuttavia
che la credibilità di quel consesso politico è ormai
molto bassa. Non gli si crede, non li si accredita come sinceri
e desiderosi di mutare la situazione. Sono anni che si preparano
dichiarazioni su dichiarazioni, che di regola sono raramente seguite
da concrete decisioni.
Dopo la fine della guerra fredda, i leader occidentali hanno mostrato
di credere che il liberalismo economico aveva definitivamente vinto,
affrettandosi di conseguenza a celebrare il capitalismo mondiale,
globale, come la suprema realizzazione della civiltà umana.
Sta accadendo invece che, dopo la fine del comunismo, il sistema
capitalistico sia minacciato da un altro, imprevisto pericolo: uso
la definizione di George Soros, il «fondamentalismo di mercato».
Il movimento che si batte contro le attuali modalità della
globalizzazione è in sostanza una protesta contro il fondamentalismo
di mercato e le sue conseguenze sociali. I leader del G8, per quanto
ne so, sono coscienti di questo. Dunque, in primo luogo si richiede
loro un serio, ampio, onesto dialogo con lopinione pubblica,
con il mondo scientifico, con le diverse confessioni religiose,
attorno a tutte le questioni aperte dalla globalizzazione. Per un
simile dialogo, occorrono nuove e concrete forme: perché
possa realizzarsi tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo; tra
leader dei Paesi e la società civile mondiale, attraverso
le organizzazioni non governative. Alla fine di giugno ho partecipato
a Genova ad un simposium internazionale sui temi globali, assieme
a forze e ad esponenti di orientamenti anche molto diversi. In quella
sede ho proposto listituzione di forum permanenti,
dove determinate questioni possano essere affrontate e approfondite,
sistematicamente, dopo i G8 e al di fuori dei G8. In altri termini,
occorrono forme di dialogo che consentano lincontro di competenze,
sensibilità, esperienze, culture e ruoli diversi e permettano
di verificare al tempo stesso la realizzazione delle cose su cui
si concorda di agire.
Il comunicato finale del G8 di Genova esprime lintenzione
di un dibattito pubblico, trasparente, sui problemi che creano contrapposizioni
sociali di vasta portata. Lo si può interpretare come disponibilità
al dialogo con la società civile, inclusi i rappresentanti
del movimento di contestazione dellattuale globalizzazione
che non intendono confondersi con i metodi violenti degli estremisti.
Sarebbe stato di certo molto meglio se questo atteggiamento fosse
stato espresso ben prima di convocare il G8 di Genova. E se la stessa
città di Genova fosse divenuta per tempo il centro di un
grande dialogo con il movimento di contestazione. Loccasione
era preziosa. In ogni caso, sarebbe stato più democratico
e sicuramente più efficace che cercare come viene
annunciato ora per il futuro G8 luoghi dove ci si possa nascondere
dai manifestanti.
Inutile e sbagliato distanziarsi da ciò che è avvenuto
nelle vie di Genova come da qualcosa di sgradevole e di estraneo
ai problemi reali. Jacques Chirac ha ragione quando invita a prendere
in considerazione le esigenze dei manifestanti. Nella loro grandissima
maggioranza essi chiedono, in fondo, perfino candidamente, di certo
sinceramente, di umanizzare la globalizzazione.
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