Dicembre 2001

IL LATO UMANO DELLA GLOBALIZZAZIONE

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Cresce
la povertà planetaria
James Wolfensohn Presidente della Banca Mondiale
 
 

 

 

 

L’immagine
del collasso delle Torri Gemelle
è l’immagine
dell’Afghanistan che sbarca
a Wall Street,
del Sud del mondo che piomba nella culla del Nord.

 

La povertà aumenta quando l’attività economica diminuisce. E ora sta diminuendo: turismo, trasporti, assicurazioni, azioni, hanno subìto l’impatto dell’attacco terroristico. Chi ha entrate medie riesce a resistere alle fluttuazioni economiche, chi è povero ha poche scelte: deve cessare di mangiare. Per chi sopravvive con un dollaro al giorno, la riduzione dell’attività economica ha conseguenze fisiche. L’ex ministro del Tesoro dell’amministrazione Clinton, Larry Summers, fu il primo a dire anni fa che l’arretramento dell’economia mondiale fa aumentare la povertà. Non è un concetto economico sofisticato, ma aveva ragione.
Ora ci si domanda se l’arretramento continuerà nel 2002. Ebbene: dipende dalla fiducia dell’opinione pubblica. Al momento arretra chiaramente il Giappone, arretrano gli Stati Uniti e anche l’Europa comincia a riconoscere di arretrare: insieme, sommano 24 mila dei 30 mila miliardi di dollari dell’economia mondiale; gli altri seimila miliardi vengono dai Paesi in via di sviluppo. Non si può guidare la crescita del mondo con seimila miliardi di dollari.
E’ molto chiaro che se i tre motori maggiori del pianeta continueranno a perdere colpi, i poveri ne pagheranno il prezzo. Se invece vi sarà una ripresa, le azioni torneranno a salire e gli investimenti raggiungeranno anche i Paesi poveri.
Afghanistan o meno, la guerra non sarà vinta fino a quando non affronteremo il problema della povertà e quindi le origini dello scontento. In Afghanistan, come nelle regioni vicine e in molti altri Paesi. La malattia è l’infelicità che alberga nell’Islam e, più in generale, nel mondo dei poveri. Vincere questa e altre guerre, significa occuparsi delle radici di questa protesta. Povertà, infatti, è ineguaglianza: non capirlo, significa chiudere gli occhi sull’origine del rancore dei poveri verso il Nord del pianeta. Aprire gli occhi significa che dobbiamo riconoscere innanzitutto che questo nostro mondo è uno e unito. Se c’è povertà in un posto, c’è ovunque. Se c’è miseria in Africa, c’è ineguaglianza nel mondo islamico, e quindi c’è un problema per gli Stati Uniti, per l’Italia, per i Paesi più industrializzati. E’ necessario abbattere il muro che separa il G-7 (più uno, la Russia, che è “osservatore”: dunque, G-8) e i Paesi industrializzati dell’Ocse dal resto del pianeta. Lo sostengo da tempo, ma gli eventi dell’11 settembre lo hanno evidenziato. Per me, l’immagine del collasso delle Torri Gemelle è l’immagine dell’Afghanistan che sbarca a Wall Street, del Sud del mondo che piomba nella culla del Nord.

Se riconosciamo che la povertà degli altri è un nostro problema interno, allora possiamo affrontarlo nella maniera giusta. Primo: i Paesi in via di sviluppo devono mostrare maggiore responsabilità. Secondo: il Nord deve aprire i mercati e incrementare l’assistenza economica. Terzo: bisogna creare le condizioni per lo sviluppo del settore privato. Il passo essenziale, però, è quello di aprire i mercati.
L’Unione europea ha cominciato a compiere dei piccoli passi verso l’Africa, ma prevede ancora sussidi per l’agricoltura per un valore di 350 miliardi di dollari all’anno, quasi un miliardo di dollari al giorno. Il totale degli aiuti elargiti è invece di 50 miliardi di dollari. Questo significa che, ogni giorno, l’Europa aiuta se stessa sette volte di più di quanto fa con i Paesi in via di sviluppo. Abbiamo di fronte, nei prossimi anni, negoziati difficili su agricoltura e tessili. Mi auguro che riusciremo a stabilire un calendario per la liberalizzazione del commercio e l’aumento degli aiuti dell’Unione europea dall’attuale 0,2-0,3 allo 0,7 per cento.
Guardiamo che cosa è accaduto e sta accadendo nel mondo, o almeno nei suoi punti caldi. Gli afghani sono stati molto concreti, hanno chiesto di affrontare subito le questioni dello sminamento del territorio, dell’educazione, della sanità, delle infrastrutture di base. «Non uccideteci dandoci subito troppi soldi», hanno detto. Bisogna ascoltarli. La ricetta per la ricostruzione non può venire da Washington, da Parigi o da Roma, ma dall’Afghanistan. Bisogna affidare a loro la gestione degli aiuti, obbligandoli in questo modo ad assumersene la responsabilità.
E ancora. Elemento fondamentale per la ricostruzione, nei Balcani come a Kabul, o in Cisgiordania e Gaza, è la creazione di un sistema legale di garanzie per chi investe e di un sistema giudiziario capace di combattere la corruzione. Inoltre, ovviamente, serve la stabilità. Lo sviluppo deve sommare più caratteristiche. Primo: presenza di un governo responsabile. Secondo: garanzia che lo sviluppo non leda i diritti umani e non favorisca la corruzione. In molti Paesi, nulla di tutto questo è presente. Guardiamo all’Argentina: per anni ha preso troppi prestiti, si è indebitata eccessivamente, tentando poi di tenere sotto controllo un bilancio disastrato. L’errore di fondo è stato che per anni questo Paese ha ignorato i segnali d’allarme per la sua economia, così come noi oggi rischiamo di ignorare i segnali d’allarme che ci vengono dalla povertà. I prossimi due miliardi di abitanti della Terra nasceranno nei Paesi in via di sviluppo, in India, in Cina, in Africa. Avremo a che fare con loro. Meglio occuparcene subito. O sarà tardi per tutti.

L’Istituzione

La Banca Mondiale è formata da 183 Paesi che la gestiscono attraverso il Consiglio dei Governatori e il Consiglio dei Direttori, con sede a Washington. Ogni Paese membro possiede delle azioni del Gruppo “Banca Mondiale”. La principale attività è l’aiuto ai Pvs (Paesi in via di sviluppo): istruzione, lotta alla povertà e alle epidemie, come l’Aids, sono tra le maggiori iniziative. Nel 2001 ha elargito aiuti per 17 miliardi di dollari, oltre 35 mila miliardi di lire. E’ presente in oltre cento Paesi del mondo. Nel quartier generale della Banca, a Washington, lavorano seimila persone provenienti da ogni parte del pianeta. Gli italiani sono circa settanta, fra loro due vicepresidenti: il bolognese Cesare Calari, nominato di recente, è alla guida del settore finanziario.

Lo zar della lotta alla fame

Economia, musica e scherma distinguono il curriculum di James Wolfensohn, nato in Australia nel 1933 e naturalizzato americano.
Specializzatosi ad Harvard, divenne responsabile degli investimenti della Salomon Brothers, vicepresidente della Schroeder Ltd e presidente della Henry Schroeder Bank di New York. Per l’Australia servì come ufficiale della Royal Air Force e come membro nel team olimpico di scherma. La prima elezione alla guida della Banca Mondiale arrivò nel 1995 e fu poi rinnovata nel 2000. Nel 1996 fu lui a lanciare l’iniziativa a favore dei Paesi più indebitati. Ha un debole per il violoncello: è presidente emerito della Carnegie Hall di New York.

   
   
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