Dicembre 2001

CHE MONDO FARÀ

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Non è tempo di Keynes
Milton Friedman Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

Molti dei consigli
di Keynes sono stati
estrapolati male
dai suoi seguaci,
che hanno fatto
del ruolo permanente
dello Stato
una bandiera.

 

Non condivido la necessità di adottare in questo momento politiche keynesiane, per una semplice ragione: l’unico strumento efficace d’intervento anticiclico è la politica monetaria, e mi sembra che la Federal Reserve abbia fatto e stia continuando a fare un lavoro eccellente. E’ risaputo sul piano empirico che stimoli di tipo keynesiano non hanno gli effetti desiderati, anzi possono essere controproducenti. Per vedere risultati positivi nell’economia americana è solo questione di tempo. Quando la Fed comunica le proprie decisioni, si parla di riduzione dei tassi di interesse, ma questa è soltanto la facciata. Sul piano tecnico, per ridurre i tassi la Banca centrale deve aumentare l’offerta di fondi federali, e per aumentarla deve condurre operazioni di mercato aperto, acquistando titoli del Tesoro. La Federal Reserve, insomma, stampa moneta, aumenta la quantità di moneta in circolazione. Dall’inizio dell’anno ad oggi, secondo i miei calcoli, l’aumento è stato del 10-11 per cento. E’ questo il vero stimolo all’economia, senza alcun bisogno dell’intermediazione del governo.
In linea teorica, puramente teorica, è possibile dire che pur aumentando la massa monetaria in circolazione, l’economia potrebbe non reagire. Ma da un punto di vista pratico non è mai successo. Ed è la stessa ragione per la quale ho detto nel 1954, e lo ripeto oggi senza cambiare una virgola, che l’economia industrializzata è a prova di depressione. La ragione della depressione degli anni Trenta va ricercata nel fatto che la Banca centrale allora ridusse di un terzo la quantità di moneta in circolazione, invece di aumentarla. Fra l’altro, si dice che furono le ricette keynesiane del New Deal a rimettere in corsa l’economia. E’ un assunto molto diffuso, ma errato. Le politiche del New Deal erano sbagliate. La controprova sta nel fatto che nel 1939 il tasso di disoccupazione era ancora pari al 20 per cento. Fu soltanto a cavallo fra il 1937 e il 1938 che si decise di ampliare la massa monetaria, e fu dopo il 1939 che le cose cominciarono a migliorare. Poi ci fu la guerra. Ma il fatto storico resta: lo strumento anticiclico per eccellenza è la politica monetaria.

Greenspan, dunque, non sta facendo bene, ma benissimo. Mi sorprende sentire ogni tanto critiche al suo operato vuote di contenuto. Quel che ha fatto è senza precedenti: ha giocato d’anticipo, ha offerto una risposta preventiva agli eventi. E aggiungo qualcosa di più: potrebbe anche raggiungere il suo obiettivo di un atterraggio morbido. Infatti, consideriamo da dove siamo partiti: da un boom straordinario e pericoloso dal quale si poteva precipitare in una caduta rovinosa. E’ possibile, guardando all’indietro, che questa attuale recessione sia anche cominciata nell’ultimo trimestre del 1999. Ma fino a questo momento si è trattato di una recessione abbastanza morbida. La mia impressione è che gli elementi per la ripresa siano già al loro posto e forse già nel secondo trimestre del 2002 ne vedremo i risultati. E’ pur vero, il tasso di disoccupazione aumenta, forse arriverà al 6-6,5 per cento, ma non dimentichiamo che la disoccupazione non è un indicatore previsionale, è piuttosto un indicatore che segue (lagging) le condizioni negative. E non credo che arriveremo all’8 per cento, come è successo in altre recessioni.
Dopo l’11 settembre qualcosa è sicuramente cambiato. Che fare? Intanto ci sarà bisogno di dedicare risorse alla difesa nazionale, per proteggerci. Prima di quella data, si aveva la sensazione di un problema, oggi riconosciamo di avere un problema. Questo si tradurrà in un livello più basso del reddito reale, come succede ogni volta che si utilizzano beni e capitali in qualcosa che non produce un ritorno sull’investimento. Secondo: il costo materiale dell’attacco terroristico è molto contenuto. Non credo che superi i trenta o quaranta miliardi di dollari. E’ anche un costo concentrato in un’area molto specifica. Dal punto di vista del Paese intero, insomma, il costo economico materiale è relativo. Terzo: c’è un costo psicologico, questo è vero, ma la gente in genere reagisce bene in condizioni di difficoltà. Il problema più serio dal mio punto di vista è quello dell’antrace, danneggia più dell’attacco alle Torri Gemelle, perché è percepito a livello nazionale e peggiora le condizioni di incertezza. Quarto: la crisi ha aperto le chiuse della spesa federale, e questo è negativo. I quindici miliardi di dollari stanziati per le linee aeree sono stati una follia. Si proteggono certi investitori a scapito di altri. Peggio, la coda dei questuanti si continuerà ad allungare e i politici di qualunque colore, lo sappiamo bene, non resistono alla tentazione di spendere.

Come si vede, non è che ce l’abbia con Keynes. Questo economista ha dato un enorme contributo alla teoria economica. Fra le sue opere, però, per me la più interessante non è la teoria generale, ma la sua pubblicazione sulla riforma monetaria con il resoconto di un controllo dei flussi monetari tra il 1923 e il 1925. Temo poi che molti dei suoi consigli siano stati estrapolati male dai suoi seguaci, che hanno fatto del ruolo permanente dello Stato una bandiera. Gli interventi statali spesso vengono introdotti per poi restare. Invece non ci deve essere nulla di permanente. Anche l’accomodamento monetario dovrà finire, per evitare il rischio di inflazione. Ho paura, però, che quando finirà si comincerà ad avere l’effetto espansivo dei tagli fiscali, e allora le cose potrebbero surriscaldarsi lo stesso.

 

   
   
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