Dicembre 2001

CHE MONDO FARÀ

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E’ tempo di Keynes
Edward F. Reinhardt Economista del N.Y. Economy Institut
 
 

 

 

 

Un impasto
di orgoglio nazionale e di ricette
keynesiane può far uscire gli Stati Uniti dalla recessione.
E, insieme con essi, anche il resto
del mondo.

 

Abbiamo assistito (più che altro, grazie ad una televisione araba) ad una guerra di tipo nuovo, tanto nuovo che si è litigato persino sull’interpretazione della parola. E ancora oggi si discute su interventi militari, operazioni internazionali di polizia, e quant’altro. Ma l’economia non ha pazienza di aspettare la soluzione delle sottigliezze dei filologi della diplomazia. La finanza allora ha detto: era ed è guerra. E, avendo scelto il campo, ha posto in atto misure di risposta per impedire che la finanza e l’economia siano economia e finanza di guerra. E la prima cosa è stata impedire che sia l’una sia l’altra fossero dominate dall’emotività tremenda che la parola suscita. Si trattava e si tratta di impedire che quel colpo orrendamente bellico distruggesse e distrugga le conquiste liberali della civiltà globale. Così le autorità del mercato hanno fatto prima dei generali e hanno adottato interventi eccezionali di protezione tecnica e di tagli simultanei. In tal modo, la Federal Reserve e la Banca centrale europea hanno quasi evitato la catastrofe. Ma, purtroppo, non è stato del tutto sufficiente.
E’ una magra consolazione, dinnanzi all’ecatombe. Ma i terroristi puntavano anche a far crollare il castello delle carte figurate e delle valute. Le quali, finendo in polvere, non trascinano nella disperazione soltanto gli operatori finanziari (molti se lo meriterebbero), ma fanno morti reali tra chi nemmeno sa che esistano azioni quotate in Borsa; alla fine della fiera, infatti, ci rimettono sempre gli anelli più deboli e infelici della catena alimentare, com’è in natura e come vige anche tra gli uomini. Lo scopo era anche quello di buttar giù, di radere al suolo le Borse. C’erano complici di alto rango. Il fine non era soltanto di mettere in ginocchio l’America e l’Occidente, con l’esibizione in fondo antica di distruzione materiale del nemico. Colpendo lì, in quel punto insieme simbolico e reale delle Torri Gemelle, si mirava a trascinare nel sepolcro la possibilità stessa di continuare a lavorare, a commerciare. Il mercato si regge sull’etica, in fondo sulla fiducia: tu rispetterai il patto, tu vuoi guadagnare, ma non miri a fregarmi. La guerra fa saltare questa etica, chiude la globalità in piccole sfere, dove manca l’aria. Ci sono state strane speculazioni. Vedremo i risultati delle analisi e delle investigazioni degli specialisti. La risposta a questo terrorismo, che è stato un atto di guerra, ha imposto misure di guerra per impedire che si arrivi ad una finanza e ad un’economia in balia della guerra e del terrorismo. Dobbiamo attenderci successivi cambiamenti forti dei nostri modi di vita, drastiche riduzioni di mobilità in un mondo sempre più instabile e meno sicuro.

Che fare? Mi vengono in mente i consigli di John Maynard Keynes. Amava le provocazioni. La più celebre dice che perché l’economia giri e tutti si possa star meglio, si possono impiegare i lavoratori a scavare buche, pagandoli poi per riempirle. Dirò una cosa in apparenza orrenda e cinica, ma chi provi a riflettere dovrà dare atto che è proprio la diffusione di una simile consapevolezza che impedirà tracolli devastanti e portatori di ulteriori vittime. Ed è questa: la guerra crea buchi che vanno riempiti. La guerra è una condizione in cui l’economia americana è sempre, paradossalmente, cresciuta. Per esempio, un’escalation militare come quella del Golfo nel 1991 non ha provocato alcun cataclisma dell’economia: anzi, proprio durante il conflitto si è definitivamente avviato il grande boom americano. Insomma, a voler chiamare le cose con il loro nome, e senza ricorrere ad espedienti semantici o a circonlocuzioni ambigue: un impasto di orgoglio nazionale e di ricette keynesiane può far uscire gli Stati Uniti dalla recessione. E, insieme con essi, anche il resto del mondo.
La fiducia nell’economia, comunque, anche in momenti così difficili può rendere la guerra meno devastante e luttuosa. Niente panico, allora, anche nel nostro Paese, un po’ di patriottismo e di riforme strutturali ci faranno vincere anche la guerra del risparmio. Il buon padre di famiglia si preoccupa della sicurezza e della libertà dei propri figli. Ed essa passa per la sconfitta dei terroristi dovunque si annidino, persino in Borsa.

   
   
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