Settembre 2001

RI-PERCORSI

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Note in macchina
Sergio Bello  
 
 

 

 

 

Il treno,
la più spettacolare
macchina mai vista,
provocò una vera
e propria quantità
di pagine.

 

Per la copertina della sua Suite op. 22, Paul Hindemith schizzò lui stesso un disegno in cui sotto la scritta “1922 Suite für Klavier”, si agita l’immagine della città moderna: grovigli di fili elettrici incrociati contro il cielo, folle di pedoni che si scontrano al modo delle formiche, automobili, tram, e un ciclista che sfreccia di traverso tra ruote e gambe.
Ma a dare il tono moderno della composizione è ancora più chiaro il suggerimento: «Eseguisci questo pezzo molto energico di ritmo, come una macchina». Le ultime tre parole capovolgevano il secolare precetto: “Suona con anima”; si smobilitava lo spirito per fare posto alla modernità, prendendo ad esempio il suo totem, la macchina, persino nell’arte considerata più spirituale, più distante dalla quotidianità.
Naturalmente, Hindemith esagerava un tantino, volando incontro al futuro, con l’impazienza degli innovatori e con la spregiudicatezza dei pionieri. Aveva in testa un certo timbro, una sonorità percussiva, e la richiedeva al suo pianista, solleticandone la curiosità sperimentale.
In realtà, esempi di musica per pianoforte in cui sia necessario suonare come una macchina ce n’erano molti nella musica precedente. Già nel Settecento il genere del “perpetuum mobile”, con le sue catene veloci e indistinte di scale e di arpeggi, senza temi, senza espressione, senza anima, sembrava modellarsi sulla più grande macchina diffusamente attiva a quei tempi, vale a dire il telaio; e nel secolo successivo il filone continuò con Studi ed Esercizi, cui diedero esempi sommi proprio quegli Chopin, Schumann e Liszt, che alcuni ancora oggi si figurano indifferenti alla meccanica dei martelli e intenti solamente al tocco cantabile e sfumato.

La Toccata di Schumann inaugura uno stile “motoristico” (data un’idea, schiacciato un bottone, vale a dire il primo tasto, la composizione procede con meccanica regolarità fino alla fine), che avrà molta fortuna e che conterà fra gli eredi più illustri le rispettive Toccate di Ravel e di Prokofiev: perfetti organismi di bielle e di ruote dentate che esaltano il procedere del ritmo, la regolarità del movimento, la forza del tempo ingranato in orologeria.
Intorno al 1860, Rossini scrisse un pezzo “comico-imitativo” per pianoforte, dal titolo Un piccolo treno di gitanti, e anche Berlioz si era seriamente impegnato in un Canto della ferrovia per coro e orchestra. Il treno, la più spettacolare macchina mai vista, provocò una vera e propria quantità di pagine, che facevano leva sulla regolarità del movimento, tanto quanto sull’accelerazione matematica del ritmo.
Tanto più, all’epoca, la ricerca divenne promettente, quando i compositori incominciarono a curiosare oltre il suono, spingendosi di più in più verso il rumore, sotto la spinta di Luigi Russolo e dei futuristi. Gli Studi op. 27 di Alkan hanno La ferrovia come sottotitolo, e già Melesio Morales aveva scritto nel 1869 la fantasia per orchestra intitolata La locomotiva; ma più celebre di tutte, e per ottime ragioni, la locomotiva di Arthur Honegger Pacific 231, che non si limitò ad imitare la macchina a vapore, ma cercò persino di umanizzarla.

Poi vennero i giorni del volo e dell’aeroplano, esaltati già dagli aeropittori. L’aviatore Dro di Balilla Pratella, la Sonata dell’aeroplano di Antheil, Volo di notte di Dallapiccola, Rumori d’aeroplano per orchestra di Brusselmans. E quasi inevitabilmente si giunse alla grande fabbrica e alle ardite ciminiere che svettano nel cielo, ai confini delle metropoli, con i quartieri-dormitorio che vi sorgevano intorno: Fonderie d’acciaio di Mossolov, Macchine agricole di Milhaud, Cavalli vapore di Chavez, Ferriera di Wunsch, Fumo e acciaio di Frank Donovan. E altri titoli potremmo aggiungere, a decine.

Ogni generazione di musicisti ha avuto le sue macchine da smontare e da ricostruire sull’arco delle note: varrebbe la pena scoprire quanto di questa esperienza sia passata, trasformata e ovviamente metabolizzata, nella composizione senza etichette e senza titoli descrittivi.

   
   
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