Settembre 2001

INEDITI

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Due lettere
a Raffaele Gentile
aldo bello  
 
 

 

 

 

Vien da pensare
a quanta fama
pre-unitaria
e post-unitaria
li circondò finché vissero; ma anche quale totale
smemoramento
perduri per i frutti preziosi del loro
talento.

 

Dobbiamo per la pubblicazione di questi documenti epistolari alla generosa disponibilità dell’amico Filiberto Nassisi, schivo quanto formidabile indagatore della vita, delle opere, delle relazioni culturali e sociali del sommo (e a lungo negletto) scienziato matinese.
Leggendo la lettera dell’ingegnere Zambelli, milanese temporaneamente attivo in Terra d’Otranto, vien da pensare a quanta dedizione ebbero per gli studi matematici alcuni grandi spiriti dell’allora eccentrica, e pressoché ignota ai più, regione salentina (ci riferiamo naturalmente a Raffaele Gentile; oppure al galatinese Giacomo Candido), e a quanta fama pre-unitaria e post-unitaria li circondò finché vissero; ma anche a quale totale smemoramento perduri per costoro e per i frutti preziosi del loro talento: conseguenza, forse, proprio della rarità e della solitudine del loro genio, oltre che dell’atteggiamento di autori disinteressati (Gentile non vendeva, ma regalava i libri che pubblicava agli amici e a quanti ne facessero richiesta per occasionale notizia o scoperta), in una provincia ancora tutta immersa e quasi blindata nell’immobilizzante crosta della cultura contadina.
Eppure, alla fine dell’Ottocento, tutto un reticolo di nuovi fermenti investiva Terra d’Otranto e il Mezzogiorno, con studi di politica socio-economica e agraria, con indagini demografiche, con proposte di un sia pur elementare sistema di opere pubbliche, e, specularmente, con la presa di coscienza e conseguenti contestazioni delle “prepotenze” diffuse nell’universo tardo-baronale del latifondo a colture estensive, opprimente e parassitario, e con le rivolte silenziose e drammatiche delle emigrazioni transoceaniche.

Gli echi della condizione in cui versavano le popolazioni salentine si colgono tutti nelle righe e sopra le righe della lettera spedita da De Viti de Marco. Il creatore della Scienza delle Finanze sostiene che la gente ha riposto in lui speranze di giustizia sociale, e che non può trascurare gli studi accademici per dedicarsi alla politica militante. A meno che non glielo si chieda esplicitamente: gli è necessaria la sponda del voto popolare per portare avanti il discorso politico e di politica economica, anche se avanza una legittima suspicione: si riuscirà a raggiungere un obiettivo? e in che modo lo si potrà raggiungere? E la richiesta di consigli in merito ha tutto il sapore della chiamata all’impegno della parte creativa della società locale, degli intellettuali, appunto, che – soli – possono illuminare ed essere guida ed esempio per popolazioni abbrutite dalla fame, dalle perfidie della povertà e delle malattie, dall’immobilismo sociale, dall’analfabetismo, che ne fanno un coacervo indistinto di sudditi e non una classe cosciente di cittadini.
Lo “spirito radicale” che improntava di sé l’azione di De Viti de Marco tramontò con la morte del suo massimo ispiratore. Prevalse il fronte della conservazione, e allora la storia del Sud seguì tutto un altro percorso. Oggi, quell’«essere utile agli altri» come condizione per impegnarsi nella Camera dei Deputati, assai più che nella cattedra universitaria torinese, suona nello stesso tempo come amara lezione di comportamento e come caduta di un’illusione intellettuale. Altri sono gli stili degli uomini, altri gli interessi individuali, altri gli esiti della “Questione”. Forse per questo dietro ogni angolo di strada ci condiziona l’eterna risacca della storia meridionale.

 

Pregiatissimo Signore,

Ieri ebbi la rara ventura di vedere ed ammirare un lavoro della S.V. in casa del prof. Bitonti. Dilettante di studi matematici, desidero possedere quel libro, che mi vien detto non trovarsi in commercio e perciò prego la S.V., se ciò è possibile, di spedirmi il suo Supplemento al 1° Tomo del Corso di Matematica, del quale favorirà indicarmi l’importo nella unita Risposta, come pure se la S.V. desidera che io le spedisca anticipatamente in lettera raccomandata o vaglia postale l’importo suddetto, ed io mi atterrò strettamente alle di lei indicazioni.
Colgo quest’occasione per riverirla e dichiararmi sincero ammiratore del bel lavoro della S.V.

Ing.e Americo Zambelli (di Milano)
Ora in Lecce in missione governativa
per l’identificazione dei fabbricati

 

 


Lecce 76
Roma, Palazzo Orsini
2 aprile 97

Carissimo Professore,
Mi perdonerà Lei, mi perdoneranno gli amici tutti di Matino di essere partito senza averli prima salutati e ringraziati.
La mattina stessa del 21 ebbi notizie allarmanti sullo stato di salute di mia moglie, e, d’altra parte, mi si sollecitava di tornare presto a Roma per affari.
Io conto oramai di venire in seguito costà.
La impressione dell’accoglienza avuta a Matino mi resterà viva nell’animo per lungo tempo; come mi resterà vivissima quella di Galatone.
Io stesso, personalmente ignoto, non avevo diritto ad espressioni di così calda simpatia. Ho pensato che quei popolani aveano rimesse in me speranze di giustizia; ed in questo pensiero sono stato rafforzato dall’esito delle elezioni. Per me hanno votato coloro che subiscono prepotenza, o che vogliono reagire contro la prepotenza. Se questo è vero, io sento più che mai il dovere di non disertare il posto di battaglia.
Ella, caro professore, comprende che cosa questo senso di dovere significhi. Io non desidero di lasciare la scienza per la politica militante, la cattedra per la Camera dei Deputati; ammeno che non mi si dica, che io possa essere utile agli altri. Se questo mi si dice, io non posso retrocedere; vado avanti.
Ecco il consiglio che Ella, se ha tempo e voglia di scrivermi, dovrebbe darmi, da vecchio amico di famiglia.
Da Gallipoli, da Galatone mi si scrive che non debbo abbandonare gli elettori. Eccomi! sono a loro disposizione; ma si riesce a qualche cosa? E in che modo vi si potrà riuscire? Non posso mettermi nella via della prepotenza e delle vendette. Bisogna che una parte di coloro, che sono stati contro di me, mutino spontaneamente di opinione, e si persuadano, che io possa giovare al collegio meglio di come faccia l’on. Vischi.
Crede Lei che questo mutamento possa avvenire? Il Memmi, per esempio, che si era dichiarato per me uno dei primi, tornerà col tempo alla sua antica opinione?
Basta. La prego caldamente di ricordarmi uno ad uno a tutti gli amici di Matino, che hanno saputo fare una lotta virile e vittoriosa!
Con sentimenti di molta gratitudine sono di Lei devotissimo

A. de Viti de Marco

   
   
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