La fine dei dialetti, già compiuta
in Francia
e in Spagna, in corso
di attuazione nella penisola italiana, può essere
anche vissuta
come un dramma.
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E impressionante lallarme lanciato poco tempo fa dal
linguista britannico David Crystal dalle colonne del Guardian. Impressionante
e insolito, ma non per questo da prendere sottogamba. La metà
delle seimila lingue parlate oggi nel mondo è destinata a
sparire entro la fine del nostro secolo. In tremila cifra
tonda coleranno a picco, trascinate dallomologazione
planetaria, dalle emigrazioni, dalle fusioni etniche, dalle nuove
tecnologie delle comunicazioni, e addirittura dalla scomparsa di
piccoli popoli e dalla conseguente crescita di un meticciato
razziale, che comporterà lassorbimento delle lingue
originarie, senza peraltro dar luogo a nuovi linguaggi, intesi nel
senso classico (al modo dellyiddish, per intenderci).
Lallarme è in sé e per sé necessariamente
vago, dal momento che, se sappiamo tutto o moltissimo delle lingue
di cultura, che sono generalmente scritte, molto meno, e persino
poco o nulla conosciamo di tutti gli altri idiomi, oggetto soltanto
in pochi casi di indagini scientifiche. Tuttavia, lallarme
di Crystal è giustificato, e non per nulla esistono già
enti, come la Foundation for Endangered Languages, che
tengono costantemente docchio la situazione, consapevoli che
ogni lingua è un raffinato prodotto della mente umana.
Le lingue
protette
Cè una legge per la tutela delle minoranze
linguistiche. Riguarda circa tre milioni di persone. Gli idiomi
locali considerati storici potranno essere insegnati nelle
scuole italiane e parlati negli uffici pubblici. Questa è
la mappa elaborata dal ministero dellInterno sulla presenza
nella penisola delle minoranze linguistiche da proteggere.
Albanesi: 98 mila persone presenti nelle regioni meridionali,
(prevalentemente in Calabria e in Molise, ma anche in Puglia,
in Sicilia, in Campania, in Lucania, con alcune presenze anche
in Abruzzo).
Altoatesini di lingua tedesca: 290 mila persone, la
maggior parte delle quali concentrata a Bolzano (65,43 per
cento).
Carinziani: Duemila persone, residenti a Udine e provincia
(0,38 per cento).
Carnici: 1.400 persone, sparse soprattutto nel territorio
veneto (a Belluno 0,66 per cento).
Catalani: 18 mila persone presenti soprattutto nellarea
sassarese di Alghero.
Croati: 2.600 persone stanziate in Molise (0,79 per cento).
Francoprovenzali: Novantamila persone presenti ad
Aosta (60 per cento), a Torino (0,89 per cento) e a Foggia
(0,23 per cento).
Francofoni: Ventimila persone in Val dAosta
(17,33 per cento).
Friulani: 526 mila persone, in maggior parte presenti
in Friuli (56,32 per cento).
Greci: Ventimila persone, grecanici nellarea
di Reggio Calabria (0,88 per cento) e grichi in terra salentina
(1,88 per cento).
Ladini: 55 mila persone presenti a Bolzano (4,19 per
cento), a Trento (1,69 per cento) e a Belluno (10 per cento).
Occitani: 178 mila persone presenti nelle valli di
Cuneo (4,76 per cento), a Torino, a Cosenza e a Imperia.
Sardi: 1.269.000 persone in tutta la Sardegna (77,48
per cento).
Sloveni: Circa settantamila persone sparse fra Trieste
(9,6 per cento), Gorizia (8 per cento) e Udine (3 per cento).
Rom e Sinti: 130 mila persone circa, non legate al
territorio.
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Dunque, parlare di morte delle lingue è in buona
parte soltanto una metafora, anche se ci sono lingue effettivamente
scomparse, con lestinzione di chi le parlava. E accaduto
lo ricorda lo stesso Crystal per la provincia di East
Saundaun, in Papuasia, sconvolta da un terremoto che ha ucciso migliaia
di abitanti e ha disperso gli altri in terre lontane. Ma il caso
più clamoroso è, appunto, quello dellyiddish,
lidioma a base germanica degli ebrei dellEuropa orientale:
esso rifletteva una cultura notevole e secolare, conosciuta ovunque
attraverso il teatro (che suscitava grande interesse in Kafka) e
la narrativa. Le persecuzioni dei nazisti hanno distrutto quella
civiltà. I pochissimi superstiti, e i molti emigrati per
tempo, in modo particolare negli Stati Uniti dAmerica, conservano
ancora oggi una lingua, ma ormai in condizioni preagoniche, perché
avulsa dal suo contesto naturale.
Daltra parte, basta dare unocchiata non del tutto superficiale
al globo terrestre: molte popolazioni africane e indiane sono in
via di estinzione, insieme con le loro lingue, per effetto del contagio
di malattie, come il morbillo, che, quasi innocue nei Paesi più
civilizzati, riescono loro letali. Per gli Innu del Labrador è
proprio la modernizzazione forzata che ha prodotto una
situazione igienica e sanitaria intollerabile.
Grazie al cielo, le lingue di solito muoiono per motivi meno luttuosi.
E può essere quanto mai utile fare ricorso al classico Conflitti
di lingue e di culture, di Benedetto Terracini, per fare un po
di chiarezza, (molte delle considerazioni di Crystal sono vicine
del resto a quelle del nostro grande linguista). Il concetto fondamentale
è questo: la morte di una lingua corrisponde ad un cambio
linguistico. Il cambio può essere sostituzione, come quando
il latino dellImpero Romano è stato adottato dagli
abitanti della penisola iberica, della Gallia, della Dacia, eccetera,
che pure hanno conservato particolarità di pronuncia, abitudini
sintattiche, termini dei loro idiomi di origine. Altre volte il
cambio è trasformazione, come nel caso del latino, che si
è trasformato in italiano, francese, spagnolo,
rumeno, eccetera; ad un certo punto si è dovuta riconoscere
la morte della lingua, intesa come latino classico; ma gli italiani,
i francesi, gli spagnoli, e così via, continuano in verità
a parlare latino anche se così trasformato da apparire irriconoscibile.
Trasformato dallapporto delle lingue di popoli invasori, come
i Franchi in Francia, o come i Longobardi in parte dellItalia;
o da tendenze generali, come quella allanalisi (per esempio,
abbiamo sostituito il futuro sintetico amabo con quello
analitico amare habeo, che dà in italiano amerò).
E propriamente attribuibile alla natura delle lingue levoluzione,
la trasformazione senza soste. Ma perché queste trasformazioni
ne condannano alcune, mentre ne favoriscono altre?
Qui entra in gioco il concetto di prestigio, astratto
ma comprensibile in forma intuitiva. Va detto che una lingua davvero
viva è in grado di dar voce a discorsi di svariati livelli:
quello scientifico e quello della quotidianità, quello letterario
e quello familiare, quello delle professioni e quello comune. Quando
accade che un altro idioma si imponga per le funzioni più
generali ed elevate (amministrazione e commercio, letteratura, arte,
scienze), si istituisce una fase di bilinguismo in cui lidioma
più prestigioso ruba via via spazio a quello di espressione
più limitata.
Questo è, oggi, il rapporto tra italiano e dialetti. Lidioma
perdente viene di fatto limitato allimpiego pratico e locale,
più tardi alluso quasi esclusivamente familiare, e
alla fine diventa una sorta di gergo, che verrà irrimediabilmente
abbandonato quando la sua ridotta utilità non ne giustificherà
più la conservazione. E i parlanti lo sanno benissimo, anche
se qualcuno tenta di ribellarsi a questi rapporti di forza.
La fine dei dialetti, già compiuta in Francia e in Spagna,
in corso di attuazione nella penisola italiana, può essere
anche vissuta come un dramma. Essa significa la perdita non soltanto
di un tesoro espressivo (ciascuno di noi vanta nel proprio dialetto
parole mai traducibili nella lingua, sfumature originalissime, espressioni
onomatopeiche preziose), ma di una concezione del mondo, di sentimenti
e di modi di vedere tramandati attraverso le generazioni, che costituiscono
elementi fondanti della nostra personalità. Proprio per questo
molti poeti contemporanei si sono dedicati al dialetto, anche come
reazione allappiattimento e alla schematicità propri
della lingua della scuola e della televisione.
Ma il destino dei dialetti è segnato, soprattutto per lallargarsi,
persino extraitaliano, dei rapporti commerciali, di lavoro, di cultura.
Anche per quanto riguarda le lingue alloglotte dellItalia,
cui ha inteso provvedere una legge recente, occorre riflettere sui
pericoli di una ghettizzazione di quei parlanti in un campanilismo
(quello del natio borgo, se si vuole anche selvaggio)
fuori della storia. Della storia del terzo millennio.
A questo punto ci si domanda: esistono grammatiche duso di
quelle lingue? Esistono persone in grado di insegnarle agli scolari?
Ed esiste, per ciascuna di queste lingue, una varietà generalmente
riconosciuta come modello da tutti i parlanti?
Crystal non ci dice, degli idiomi ormai in fare di agonia o in coma
profondo, quali saranno i sostituti. E tuttavia possiamo prevedere
che si tratterà di lingue importanti sullo scacchiere mondiale.
Il portoghese nella zona amazzonica del Brasile, lo spagnolo sugli
altipiani latino-americani, linglese o il francese nelle aree
africane, e via dicendo. Come possiamo pure affermare che linglese
dAmerica esprimerà sempre più prepotentemente
un imperialismo linguistico di scala e portata mondiale, sulla scia
di un primato politico, economico, industriale, commerciale che
è il motore, fra laltro, dellappiattimento cui
la globalizzazione ci va costantemente, ma forse irrimediabilmente,
costringendo.
E quanto mai difficile, comunque, datare il certificato di
morte di un idioma. Se lestinzione è il risultato di
una trasformazione, saranno i parlanti a prenderne atto: quando
gli italiani, i francesi, gli spagnoli, i portoghesi o i rumeni
si accorsero che la lingua che usavano non era più latino,
anche se costituita in buona parte di materiali latini, decisero
che la lingua latina era belle morta. Ma quando si tratta
di estinzione, la ricerca patetica del momento del
trapasso è senzaltro ingannevole. Quando scompare colui
che è ritenuto lultimo a conoscere un idioma, si dice
che questo è morto; ma come essere sicuri che non ci fosse
un altro conoscitore? E poi, un idioma vive nel dialogo, e non è
detto che qualche giovane non ne abbia raccolto qualche brandello.
Le prime notizie sullanno di morte del veglioto (isola di
Veglia) o del cornico (terre di Cornovaglia ) sono state smentite;
anche se ovviamente si è trattato soltanto di spostare un
po avanti la data di una fine fatalmente inevitabile. Perché
quando un idioma è diventato un gergo quasi personale, o
di club, ridotto a dimensioni minime, la sua sopravvivenza è
impossibile. Non resta che mettere il lutto. E, a denti stretti,
andare avanti.
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