Un progetto di una complessità mai affrontata
prima dora nel mondo, una sfida
che qualcuno
ha definito
semplicemente inaudita.
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Lidea del Sud al tramonto? La denuncia è di Giuseppe
Galasso. Non è a rischio di sopravvivenza la società
meridionale in sé, è sul punto di estinguersi il termine
che lha indicata fino ai nostri giorni: il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno muore, trascinando con sé nella memoria storica
una civiltà, una cultura, unantropologia civile, tutto
un universo di lingue, di arte, di tradizioni, di miti, e un retaggio
di vicende, rapporti, relazioni che hanno profondamente contrassegnato
lidentità del continente Sud e della stessa penisola
Italia? E perché rischierebbe di svanire una categoria di
pensiero che fra gli ascendenti nobili può vantare narratori,
poeti, saggisti, storici di spessore europeo e persino planetario?
Sostiene Galasso: il Nord e il Sud dItalia si sono nuovamente
allontanati, dopo avere illuso politici, economisti, intellettuali
su un loro imminente riavvicinamento. Gli indicatori economici oggi
non lasciano spazi a dubbi: il divario, sulla base del prodotto
interno lordo per abitante, è tornato ad essere quello che
era negli anni Cinquanta; un meridionale crea ricchezza in misura
di poco superiore alla metà di un lavoratore del Nord (il
54,9 per cento, stima del 99), mentre nessuna regione meridionale
può vantare un reddito per individuo superiore a quello dellarea
più debole del Nord e persino del Centro. La disoccupazione
è almeno al 22 per cento, in termini reali, contro il 6,5
per cento del Settentrione, e se ci si limita a considerare quella
giovanile (56,6 contro 19 per cento), cè da mettersi
le mani nei capelli; neanche dalle statistiche sui consumi giunge
una notizia gratificante: sebbene cresciuti, quelli di una famiglia
meridionale restano pur sempre il 67,8 per cento di una del Nord.
Ma cè di peggio: perché, insieme con le speranze
di sviluppo europeo, una parte della cultura meridionale
starebbe smarrendo la sua stessa identità. Mezzogiorno addio:
merito, o colpa, delle crescenti differenze fra Puglia e Calabria,
fra Sardegna e Campania, ormai non più riconducibili ad una
realtà unica, se mai lo sono state. Non solo: esiste, a giudizio
di Galasso, una scuola di «studiosi e osservatori» ormai
insofferenti alla parola Sud. Sono coloro i quali sono
stati pronti a giurare che un Mezzogiorno unitario non esiste, e
che forse non cè mai stato.
Galasso oppone a questa tesi liquidatoria linnegabile dualismo
economico e sociale dellItalia del Sud, che comprende «un
terzo abbondante del territorio e poco meno di un terzo della popolazione»;
ricorda i frutti della politica meridionalista fra il 1960 e il
1973, quando per la prima volta si accorciarono le distanze e lemigrazione
segnò una massiccia battuta darresto. Merito della
soppressione delle cosiddette gabbie salariali, dello
Stato sociale, della tanto vituperata Cassa per il Mezzogiorno?
Non sembra esserci dubbio, anche se lo storico riconosce che negli
anni Settanta la politica straordinaria per il Mezzogiorno aveva
ormai esaurito le sue possibilità.
Le tesi galassiane non convincono tutti. Lo storico Paolo Macry,
fra gli altri, ad esempio, sottolinea un paradossale rovesciamento
delle parti: il Mezzogiorno non esiste più, mentre il Nord
si unifica. «Il Nord-Est e il Nord-Ovest si sono ormai collegati
anche in politica, e lo si nota anche nella composizione del nuovo
governo. Per il Sud vale esattamente lopposto: venti o trentanni
fa poteva riconoscersi nel meridionalismo e nella vocazione ministeriale;
oggi, in presenza di un Ulivo tosco-emiliano e di una Casa delle
Libertà lombardo-veneta, smarrisce il senso della sua unità.
La costa adriatica abruzzese-molisana e pugliese, ad esempio, è
ormai inserita nel modello di sviluppo del Centro-Nord».
Una prova delleclissi del vecchio Mezzogiorno, o del Mezzogiorno
tout court? Lassenza di un leghismo meridionale: «Chi
ha puntato sulla propaganda anti-Bossi non è stato premiato.
La categoria meridionalista ormai non interessa più».
Sarà un bene o un male? Per Macry, gli aspetti assistenzialistici
della politica di intervento straordinario e speciale per il Sud,
a cominciare dalla Cassa per il Mezzogiorno, ne avevano stravolto
fin dallinizio limpostazione.
Anche lo scrittore Erri De Luca non rimpiange i carrozzoni
di celebre memoria. Dice: «Una volta esisteva davvero il Sud,
con una precisa linea di confine segnata da una mortalità
infantile altissima. Oggi quello stesso territorio meridionale lo
definirei una sfumatura del Nord. Ha maturato il diritto
di avere lo stesso numero di immigrati curdi».
Ma Galasso rifiuta di celebrare le esequie del meridionalismo: «Non
rimpiango affatto la vecchia politica. E giusto però
riconoscere che, malgrado tutte le differenziazioni interne, di
ieri e di oggi, il Mezzogiorno è nel complesso ancora diverso
dal Nord. Pura illusione statistica, questa differenza? Tutta riassorbita
dai fenomeni elettorali? Allora la Sicilia, con la schiacciante
vittoria di Berlusconi, non dovrebbe essere più collocata
oltre lo Stretto di Messina, ma nella valle del Po. Il che mi sembra
un po troppo, no?».
Per ora, fermiamo il discorso al reticolo dei dati statistici.
Sotto questo profilo, è ancora quello del Mezzogiorno un
problema aperto? Certamente lo è, a giudicare dagli indicatori
relativi al tasso di sviluppo, alla disoccupazione, alle infrastrutture
economiche e sociali, al sommerso, alle criminalità organizzate.
Ma lo è in termini relativi, rispetto al vecchio Sud. Il
che significa che, se è vero che gli standard di benessere
economico e sociale sono ancora lontani da quelli del resto della
penisola e dellEuropa, è anche vero che il Mezzogiorno
di oggi non è più quello di mezzo secolo fa. Non ha
ristretto la fatidica forbice, ma non è neanche
rimasto fermo. Il che lo rende potenzialmente idoneo, più
di quanto non lo potesse essere prima, per un nuovo ciclo di sviluppo.
Quello del Sud rimane dunque un problema aperto, ma in un contesto
irreversibilmente diverso rispetto al passato. Di conseguenza, necessariamente
diversi dovranno essere lapproccio e il corso politico per
affrontarlo.
Un primo elemento di diversità risiede nellormai diffusa
vocazione allautonomia, allautogestione politica e amministrativa,
alla responsabilità locale, ad un più diretto rapporto
tra amministratori e amministrati. Tutto questo lo chiamano federalismo.
E quel che vogliono al Nord, e per quello che se ne sa, è
anche quel che vorrebbero al Sud: realtà istituzionali interlocutrici
dirette del Governo Centrale ai vari livelli decisionali e senza
intermediari. Non un ritorno al passato, ma una prospettiva diversa,
basata su una sintonia delle Regioni con i dicasteri dellEconomia,
delle Attività produttive, delle Infrastrutture.
E qui un antico discorso va chiarito e uno attuale va ribadito.
La politica dualistica in Italia, checché ne dicano le anime
belle della politica e della cultura, è stata frutto di una
scelta scientificamente premeditata e cinicamente applicata. Storicamente,
quel poco o quel tanto di Sud che produceva a livello industriale
venne raso al suolo, subito dopo lUnità, nel nome di
un Nord produttore e di un Sud consumatore. In parti pressoché
uguali (ma con gravissime conseguenze socio-economiche per il solo
Sud) venne diviso soltanto il gigantesco debito contratto dal Piemonte
conquistatore e riconquistatore del fardello meridionale
e da Roma sabaudo-fascista creatrice e sostenitrice del non dimenticato
triangolo industriale del Nord. Lintervento straordinario
avviato da De Gasperi nel Mezzogiorno fece cose buone per i primi
dieci anni, poi degenerò, finendo in mano ai professionisti
dei finanziamenti, una categoria parassitaria formata in massima
parte da parlamentari dogni colore politico, che polverizzarono
i fondi con fini tangentizi e clientelari. In ogni caso, ne beneficiarono
ampiamente le imprese del Centro e del Nord, per una lunga stagione
uniche appaltatrici dei lavori varati dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Le mafie, poi: subito dopo il secondo conflitto mondiale, quando
erano ancora agrarie e ruspanti, potevano essere ricondotte alle
ragioni civili e morali dei popoli siciliano, campano e calabrese.
Invece, si preferì lasciarle rigenerare dapprima con luso
e labuso delledilizia urbana, e in seguito con il campo
libero del tabacco, degli stupefacenti e dellimmigrazione
clandestina, in cambio di massicci pacchetti di voti amministrativi
e politici. Oggi, per un conseguente fenomeno di partenogenesi,
sono emersi professionisti sofisticatissimi dellinformatica
in grado di manovrare impunemente a livello mondiale, riciclandoli,
capitali giganteschi.
Il discorso attuale da ribadire. In unEuropa che cresce e
che si allarga, con mafie germinate sullesempio delle navi-scuola
italiane, (in Russia, in Bulgaria, in Albania, nei Paesi dellex
Jugoslavia, in Turchia e negli Stati turcofoni, etc.), i cartelli
del crimine nostrani si traducono in un condizionamento civile e
sociale ormai insopportabile, doppiamente defatigante per il Sud
anche a causa di storie criminali recidive determinate da un eccessivo
perdonismo rifilato per recupero alla società di chi si è
macchiato di delitti di sangue singoli e multipli. Un coacervo di
leggi compromissorie, ambigue, lassistiche persino, è sfociato
nella spoliazione dei valori e dei significati primari della Giustizia
e nel sostanziale isolamento nella solitudine dei pochi, temerari
magistrati che si impegnano nella lotta alla criminalità
organizzata. Mezzogiorno addio, certamente, se linversione
di rotta fin qui seguita, e strumentalmente seguita, non sarà
di centottanta gradi.
Le cifre, infine. Abbiamo tempo fino al 2006 per ottenere decine
di migliaia di miliardi destinati alla maggiore area depressa europea,
il Sud dItalia, appunto. E qui non si tratta di puntare sul
Sud che è cambiato, ma sul Sud che stenta o non
riesce a cambiare da solo. E problema delle amministrazioni
regionali e statali creare staff che siano in grado di mettere in
campo capacità progettuali, anche interregionali, che possano
essere accolte positivamente dallUnione europea. Perché
niente è più remoto da Bruxelles della tentazione
assistenzialistica, così cara al trasformismo italiano e
meridionale; e niente è più criminoso, per gli amministratori
e per i politici del Mezzogiorno, della perdita di progettualità
creativa di sviluppo e di occupazione nei confronti di una Spagna
o di una Grecia. Abbiamo di fronte cinque anni, da una parte, e
le percentuali terrificanti della qualità della vita meridionale,
dallaltra.
Cè, fra laltro e ci ricolleghiamo a quanto
detto sopra un secondo elemento di diversità, costituito
proprio dallintegrazione con lEuropa. Nel Protocollo
di Roma del 1957, la Comunità Europea riservò allItalia
una posizione speciale esattamente in virtù del
suo Mezzogiorno, la sola grande area europea unita per estensione
territoriale e per popolazione, bisognosa di maggiori iniezioni
di sviluppo. Poi, con i successivi ampliamenti, le cose mutarono.
Nel 1979 Pasquale Saraceno fu indotto ad introdurre un nuovo concetto:
il trialismo. Con questo neologismo denunciava lesistenza
di tre tipi di aree: sviluppate, a sviluppo insufficiente, ad economia
dualistica. LItalia, appunto. Ora, con il previsto allargamento
ad Est, il trialismo ritrova una conferma. LItalia rimane
ancora abissalmente dualistica. E il Sud la sua omogeneità
con lEuropa, a partire dalla fine del 2006, dovrà ricercarsela
da solo.
Comunque, ci sarà sempre un Mezzogiorno che non potrà
morire. Che non è quello degli ascari di tutti i tempi, ma
quello dei grandi spiriti di tutti i tempi. E vero che termini
come Mezzogiorno e meridionale sono stati
rimossi simultaneamente alla nascita del fenomeno sottoculturale
del leghismo, peraltro alimentato dallinsulsaggine di centinaia
di migliaia di meridionali emigrati nell Italia che
lavora e che produce; ma è anche vero che il ciclo
di ritorno è in atto e non può che montare, se non
si vuole rivivere una storia già nota. Così come è
vero che rinnegare la propria cultura può essere al massimo
un fenomeno transitorio, non un atto liquidatorio. Essa è
là, a testimoniare almeno un secolo di impegno di livello
altissimo sul piano politico-economico, sociale, intellettuale.
Ed è patrimonio inalienabile dellintero Paese, che
è stato europeo finché quel patrimonio di pensiero
si è dispiegato, al di là anche dei risultati pratici
raggiunti.
I testi pionieristici del meridionalismo che hanno segnato lidentità
culturale italiana portano i nomi di Leopoldo Franchetti (Condizioni
economiche e amministrative delle province napoletane), di
Pasquale Villari (Le lettere meridionali e altri scritti sulla
questione sociale in Italia), di Giustino Fortunato (Le
due Italie), di Francesco Saverio Nitti (Scritti sulla
questione meridionale), di Gaetano Salvemini (Scritti
sulla questione meridionale 1896-1955), di Salvatore Cafiero
(Tradizione e attualità del meridionalismo),
di Pasquale Saraceno (Scritti sulla questione meridionale),
e poi di Ettore Ciccotti, di Antonio De Viti De Marco, di Rosario
Villari, di Giorgio Amendola e degli studiosi marxiani, di Luigi
Sturzo e degli studiosi cattolici, di Benedetto Croce e degli studiosi
liberali, di Giorgio La Malfa e degli studiosi azionisti...Un grande,
complesso reticolo sudista ha innervato le più
alte categorie della cultura nazionale, anche quando per
unilaterale e in parte volontaristica delimitazione del territorio
di identità si è parlato e scritto di climi
e di atmosfere del Nord diversi e specularmente opposti rispetto
a quelli del Sud. Come se larretratezza descritta da uno Scotellaro,
da un Alvaro o da un Tomasi di Lampedusa sia diversa da quella narrata
da un Piovene, da un Pratolini o da un Pasolini. Nebbie e solarità
comprese. Vivere e philosophare inclusi.
E categoria universale dello spirito, il sudismo
; è coscienza critica del mondo; è tragico coro-personaggio
che testimonia di che argilla e di che cuore son fatti i campi di
cotone del Mississippi, i calanchi del Volturno, le banchise del
Volga, le terrazze dello Yang-tzé, i cimiteri abitati dai
vivi del Nilo, i mille affluenti vergini del Rio delle Amazzoni,
le desolate terre pannoniche del Danubio, i villaggi mobili sulle
rive velenose dello Zambesi. Non morirà, il Sud dItalia
e del mondo, fin quando un poeta saprà cantare «...la
rivolta / da Caio Gracco è stata rimandata / al duemila,
ogni tanto cè qualcuno / che la rigrida e cade (...)
/ e lontana / è lalba...».
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