Settembre 2001

OPERE PUBBLICHE GRANDI (CON DUBBI)

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Quel ponte
tra Scilla e Cariddi
Roberto Bersani
 
 

 

 

 

Un progetto di una complessità mai affrontata prima d’ora nel mondo, una sfida
che qualcuno
ha definito
semplicemente inaudita.

 

Primo problema: trovare undicimila miliardi di lire su un mercato disposto a finanziare, realizzare e gestire, attraverso forme di parternariato pubblico-privato, la Grande Opera. Dopo di che, dovrebbe iniziare una delle imprese più ciclopiche della storia dell’ingegneria non soltanto italiana ed europea, ma planetaria. E portarla a termine in un giro ragionevole di tempo.
Con i 3.360 metri della sua campata centrale sarebbe il ponte sospeso a campata unica più grande del mondo, e secondo alcuni studiosi, destinato a restare tale per sempre, perché opera al limite delle possibilità tecnologiche. Gli studi, cominciati trent’anni fa con il contributo dei maggiori studiosi italiani, hanno portato in un primo tempo alla redazione di uno studio di fattibilità, e successivamente ad un progetto di massima (costo: 160 miliardi), approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nel 1998: un progetto di una complessità mai affrontata prima d’ora nel mondo. Una sfida che qualcuno ha definito semplicemente inaudita.
Dopo aver messo da parte varie soluzioni possibili, come il tunnel sotterraneo, (proposto fin dal lontano 1883), il tunnel sospeso in acqua, il ponte a due o a tre campate, il progetto approvato prevede un ponte sospeso in traliccio d’acciaio ad unica campata, lungo complessivamente 5.070 metri, a 64 metri sul livello del mare, sorretto da due torri appoggiate sulla terraferma, alte 380 metri. Sulle torri sono appoggiati quattro cavi, con una sezione di circa un metro ciascuno, lunghi oltre cinquemila metri e composti da ottantotto funi, ciascuna delle quali è a sua volta composta da 504 fili di 5,38 millimetri di diametro; complessivamente, ogni cavo è composto quindi da 44.352 fili.
Una volta fissati sulla sommità delle torri e ancorati sulle due sponde dello Stretto a giganteschi blocchi di cemento, i cavi si troveranno a un’altezza massima di 330 metri e minima di 100. Dai cavi, a distanza di trenta metri l’uno dall’altro, penderanno i tiranti che sosterranno il cosiddetto impalcato, composto da due cassoni laterali per la strada (tre corsie, più la corsia di emergenza per tutti e due i sensi di marcia) e un cassone centrale per la ferrovia a doppio binario. Complessivamente, 54 metri.

Uno dei problemi fondamentali, quello della resistenza al vento laterale, è stato risolto contenendo al minimo l’altezza del profilo dell’impalcato, appena 4,50 metri, contro i 15-20 di altri manufatti analoghi, e adottando per la costruzione una struttura a traliccio che offre al vento una superficie contenuta.
Numerosissime le soluzioni innovative adottate per superare uno o un altro ostacolo: sul bordo esterno dell’impalcato sono stati previsti dei deflettori che hanno lo scopo di deviare il vento laterale; per evitare che l’enorme pressione dei quattro cavi portanti si scarichi sulla testa dei piloni in un unico punto, ogni cavo, in corrispondenza dei piloni stessi, sarà ripartito nelle ottantotto funi che lo compongono, le quali perciò avranno altrettanti punti di appoggio; queste zone vitali dell’opera dovranno essere tenute sotto costante controllo, e per questo motivo alla sommità delle torri sono previste apposite cabine vetrate per gli addetti; infine, in tutti i punti della costruzione in cui la struttura forma ambienti chiusi sono previsti impianti di condizionamento, con lo scopo di deumidificare l’aria e impedire che si formi la ruggine (il costo dovrebbe essere ripagato dal risparmio sulle riverniciature). Secondo i progettisti, il ponte sarà in grado di resistere a raffiche di vento superiori ai 200 chilometri l’ora e a terremoti di 7,1 gradi della Scala Richter.
Tutto in quest’opera è colossale, senza alcun termine di confronto: otto-nove anni di lavoro, circa 12 mila occupati diretti o indiretti, circa 500 mila tonnellate di acciaio, capacità massima di 4.500 veicoli l’ora per ogni senso di marcia e di 200 treni ogni giorno. Altezza delle torri, 376 metri. Ciascuna delle torri peserà 54.100 tonnellate. Il peso totale dei cavi sarà di 166.600 tonnellate. Da una torre all’altra, la larghezza alla base sarà pari a 78 metri. Sul fondo marino, gli strati geologici interessati saranno quelli di formazione sabbioso-argillosa (Pliocene), di ghiaia sabbiosa dei depositi della piana costiera (Olocene), della ghiaia sabbiosa di deposito marino (Ghiaie di Messina, Pleistocene), del congelamento di pezzo e arenaria (Miocene).

Su quest’opera c’è anche chi esprime forti riserve. Non soltanto di carattere ambientale, come gli ecologisti, (debitamente messi nel conto), non solo di carattere economico, come chi sostiene che il traffico reale sarà di gran lunga inferiore a quello previsto e quindi il ponte sarà in costante deficit, ma anche di carattere tecnico. Uno dei primi critici è Franco Di Maio, già docente di Costruzioni ferroviarie al Politecnico di Torino e padre del celebre “Pendolino”. Di Maio, oggi novantunenne lucidissimo, è l’ultimo superstite del gruppo di super-tecnici ai quali all’inizio degli anni Ottanta venne affidato il compito di valutare lo studio di fattibilità del ponte. Già in precedenza aveva contribuito a sgomberare il campo da una pregiudiziale ritenuta fino ad allora insormontabile: aveva dimostrato, insieme col Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, che, a certe condizioni, i treni potevano passare in sicurezza sui ponti sospesi, cosa ritenuta fino ad allora impossibile a causa della difficoltà di rendere compatibili le oscillazioni del ponte con quelle dei convogli ferroviari.
Lo studio di fattibilità, sostiene Di Maio, fu molto serio. Invece, sul successivo progetto di massima (115 volumi e 15 mila pagine in complesso) ha espresso «riserve pesantissime». Che riguardano in particolare l’impalcato, vale a dire il piano stradale e ferroviario. Per rendere minima la resistenza al vento, il progetto prevede una struttura molto sottile e interamente assemblata mediante saldatura, invece che con i più costosi sistemi di chiodatura a freddo o di bullonatura. Questo introduce nelle parti che vengono unite delle tensioni interne talvolta rilevanti che, sostiene Di Maio, sommandosi alle sollecitazioni provocate dal carico, renderà la struttura pericolosamente vulnerabile alle rotture per sollecitazioni di fatica.
Si tratta di osservazioni che lo studioso ha fatto presenti già in passato; tanto che, per eliminare ogni sospetto, sono state fatte prove di fatica su modelli in grandezza reale di elementi dell’impalcato. I quali, in effetti, si sono per la maggior parte rotti su sollecitazioni molto inferiori a quelle previste dai calcoli.
Ma le perplessità riguardano anche altri due elementi almeno: i giunti di estremità che «richiedono accorgimenti che non sembra siano stati sufficientemente approfonditi»; e le cerniere elastiche che devono consentire i movimenti orizzontali dell’impalcato nella zona della campata centrale «di realizzazione estremamente difficile e forse addirittura impossibile».
A queste osservazioni, a queste obiezioni i tecnici della società concessionaria hanno sempre risposto che con il definitivo progetto esecutivo si metteranno a fuoco tutte le questioni che sono rimaste ancora aperte. Cosa che non tranquillizza affatto Di Maio. Il quale è perentorio: con quest’opera, l’imprenditoria e l’ingegneristica italiana potranno acquisire grande prestigio internazionale, ma anche squalificarsi, se il ponte tra Scilla e Cariddi non dovesse rispondere alle attese.

   
   
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