Settembre 2001

RITMI DELLO SVILUPPO

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Un altro modello
Marcel de la Grange
 
 

 

 

 

Oggi le regioni
meridionali hanno inedite e originali
possibilità di mettere in moto processi
autonomi di crescita.

 

I dati della Svimez sul Mezzogiorno mostrano un’economia che fatica a tenere il pur contenuto ritmo di crescita del Centro-Nord, ma segnalano anche un considerevole miglioramento qualitativo dello sviluppo meridionale. Nel 2000, a fronte di un’accelerazione del Pil delle aree più sviluppate del Paese, il Sud ha segnato un limitato ritardo. Tuttavia, il bilancio dell’ultimo quinquennio non è negativo: il Mezzogiorno è cresciuto quanto il Centro-Nord, segnando in questo modo un recupero, dopo i netti ritardi degli anni precedenti.
Ma è soprattutto la qualità della crescita che lascia ben sperare. Nell’ultimo quinquennio lo sviluppo delle regioni meridionali è stato trainato soprattutto dagli investimenti industriali, mentre sono aumentate in misura non trascurabile le esportazioni dei prodotti meridionali. Anche l’occupazione, di conseguenza, sembra reagire positivamente.
Se confrontiamo questi dati con quelli della prima parte degli anni Novanta e con quelli degli anni Ottanta, allora possiamo constatare che siamo in presenza di una modifica sensibile del modello di sviluppo del Mezzogiorno, e la modifica è senza dubbio positiva. Nel passato, la crescita del Sud era largamente legata all’intervento dello Stato, sia attraverso una forte spesa pubblica di trasferimento, sia tramite le Partecipazioni Statali. Ne era derivato un modello di sviluppo vischioso e fortemente connesso alla domanda interna, e in particolare alla domanda pubblica. Questo modello è morto nel 1992, con la crisi finanziaria che derivò dalla svalutazione della lira, che impose un blocco dei pagamenti pubblici e avviò la privatizzazione di molte imprese a partecipazione dello Stato.
Il Sud soffrì molto di questa crisi, perché improvvisamente si trovò senza più risorse, tanto più che anche l’intervento pubblico si arrestò (la Legge 64) senza che venisse prontamente sostituito da un nuovo strumento che assicurasse il finanziamento pubblico, come nel passato. La crisi fu forte, ma salutare.

Gli obiettivi del programma di stabilità
(Dati in percentuale)
 
2000
2001
2002
2003
2004
Crescita Pil
2,8
2,9
3,1
3,1
3,1
Inflazione
2,8
2,3
1,5
1,5
1,5
Disoccupazione
10,7
9,9
9,0
8,3
7,6
Deficit / Pil
1,3
0,8
0,5
0,0
0,3
Avanzo primario
5,2
5,3
5,5
5,6
5,5
Interessi passivi
6,5
6,1
6,0
5,6
5,2
Debito / Pil
112,1
106,6
103,5
99,6
94,9

A partire dal 1992, a mano a mano che scomparivano le imprese mantenute dallo Stato, emergevano nuove imprese orientate al mercato. Inoltre, in assenza di risorse pubbliche da destinare al Mezzogiorno, lo Stato e gli enti locali si trovavano “costretti” ad utilizzare più efficacemente le risorse comunitarie. Poiché l’uso di risorse comunitarie è possibile a fronte di reali e fattibili progetti di investimento, si è anche assistito a un migliore uso del denaro pubblico.
Edotti da tali esperienze, è stata elaborata una nuova modalità d’intervento pubblico, basato più sull’automatismo che sulla discrezionalità: ciò ha accelerato e semplificato l’intervento pubblico, che è stato molto più efficace rispetto a quello precedente.
Il risultato di questi interventi è stato una modifica sostanziale del modello industriale del Mezzogiorno. Oggi sono prevalenti le imprese private, orientate al mercato interno e internazionale e quindi le regioni meridionali hanno inedite e originali possibilità di mettere in moto processi autonomi di crescita. L’importante è proseguire lungo questa strada, senza lasciarsi prendere dalle nostalgie di un passato, tanto generoso di risorse pubbliche, quanto nefasto in termini di risultati.
Se oggi il Mezzogiorno è più orientato al mercato, la ricetta per farlo crescere nel futuro è quella di accelerare la costruzione di un mercato competitivo in Italia e quindi anche (non solo) nel Mezzogiorno. In particolare, lo Stato deve completare le infrastrutture e far rispettare la legge, ricreando un clima reputazionale migliore di quello che oggi caratterizza in particolare alcune regioni meridionali. Una riduzione delle imposte e dei vincoli del mercato del lavoro in tutta Italia avrà effetti positivi soprattutto nel Sud, perché nelle regioni oltre la linea Gotica esistono ancora le possibilità di crescita che nel Centro-Nord sono limitate da fattori demografici e ambientali.
Infine, occorre saper bene utilizzare le risorse comunitarie per il piano 2000-2006, anche perché saranno le ultime di questa dimensione, prima dell’allargamento dell’Europa verso i Paesi orientali. Questa scadenza va vista senza drammatizzazioni e con spirito positivo, perché l’intervento pubblico (nazionale o europeo) è positivo soltanto se è transitorio. Nel 1992 la fine dell’intervento statale è stato il punto di avvio di un nuovo e migliore sviluppo per il Mezzogiorno. Siamo convinti che il 2006 sarà un anno di svolta positiva, perché imprese e istituzioni meridionali lavoreranno meno per accaparrarsi risorse pubbliche e più per aumentare le loro quote del mercato mondiale.

   
   
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