Da tre anni
a questa parte,
il Sud è tornato
ad essere nucleo
di espulsione
demografica.
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Lemigrazione meridionale invade di nuovo il Nord. Negli ultimi
tre anni è stata come un fiume in piena: sono partite 221
mila persone. 72 mila solo del 2000. Per trovare lavoro, è
stato costretto a trasferirsi lequivalente di unintera
città come Lecce.
Il primo effetto è stato quello di uno sconvolgimento demografico.
Dal 1997 al 2000 la popolazione del Mezzogiorno è dimagrita,
accusando un calo di 95 mila unità. Ne ha beneficiato il
resto del Paese. La crescita demografica del Centro-Nord misura
370 mila unità. Questo vuol dire che il Sud ha perso quasi
due abitanti ogni mille residenti, mentre il Nord ne ha guadagnati
circa tre ogni mille.
Tutto questo si è verificato proprio mentre ripartivano i
consumi dellarea e si rimetteva in moto, anche se molto lentamente,
la macchina degli aiuti a favore delle regioni meridionali. Questa,
listantanea scattata dalla Svimez, nel Rapporto presentato
nello scorso luglio.
Soltanto grazie allelevata natalità il Mezzogiorno
è riuscito a contenere il calo della popolazione causato
dallemigrazione. Nel 2000, infatti, tra nascite e morti ha
guadagnato 34 mila unità, contro una perdita di 70 mila unità
del resto dItalia. In totale, quindi, considerando sia natalità
e mortalità sia emigrazione e immigrazione (soprattutto di
stranieri), il Mezzogiorno ha perso 18 mila persone.
La ricchezza del Sud, misurata dal Prodotto interno lordo, è
aumentata nel 2000 del 2,5 per cento. Si tratta di un punto in più
rispetto allanno precedente. Dal confronto con il Centro-Nord,
comunque, il Meridione risulta perdente. Nelle aree centro-settentrionali,
infatti, si è registrata una crescita del 3,1 per cento,
rispetto all1,7 per cento del 1999. E altre cifre sottolineano
ancora di più le distanze. Il Prodotto interno lordo delle
aree povere del Paese è stato pari, nel 2000, al 56,4 per
cento di quello che ha realizzato il Centro-Nord. Tanto più
che nel 99 si era registrata lidentica percentuale.
Da segnalare la ripresa dei consumi delle famiglie. Dopo il calo
del 99, hanno registrato un aumento del 3,2 per cento al Sud
e del 3,4 per cento al Centro-Nord.
Se si analizza il periodo 1996-2000, dunque, emerge che in questo
arco di tempo si è registrato un tasso medio di crescita
del Prodotto interno lordo dell1,9 per cento sia nel Centro-Nord
che al Sud. Secondo Svimez, questo dato va interpretato come un
allineamento, dopo il divario registrato nel corso degli
anni Novanta. Molise e Basilicata figurano ai primi posti nella
crescita del Pil. Negli ultimi anni considerati, la prima regione
lo ha incrementato ad una media del 2,5 per cento, la seconda ha
realizzato addirittura una crescita media del 4 per cento. La Campania
deve accontentarsi di una cifra positiva dell1,7 per cento.
In sintesi, questo il panorama del pianeta Mezzogiorno
allinizio del nuovo millennio: cresce la domanda interna,
aumentano gli investimenti fissi, in particolare nellindustria,
insieme con una forte ripresa delle esportazioni. E anche sul fronte
delloccupazione si colgono segnali di recupero. Il bilancio
è che il Sud ha cominciato a muoversi, ma non galoppa. In
altre parole: la distanza tra Mezzogiorno e resto del Paese non
diminuisce, semmai aumenta a ritmi meno veloci rispetto al passato.
Ma aumenta comunque. Un risultato che può non entusiasmare,
e che anzi diventa preoccupante se visto in prospettiva (basti pensare
agli effetti dellallargamento della Ue ad Est).
Il divario di produttività tra le imprese meridionali e quelle
del Nord, infatti, continua ad essere molto elevato, e negli ultimi
anni cè stato un incremento del costo del lavoro (dovuto
anche alla fine di alcuni benefici) che ha portato a un ulteriore
innalzamento del clup al Sud, soprattutto in settori tradizionali,
come il tessile. La competitività delle aziende meridionali
rischia quindi di ridursi ulteriormente.
Una conferma, sia pure indiretta, viene anche dai dati sulle esportazioni.
Nel settore manifatturiero, in particolare, lincremento è
stato molto elevato (+22,5 per cento, contro il 17,6 per cento del
Centro-Nord); tuttavia, ad aumentare sono state in particolare le
esportazioni verso le aree esterne alla Ue (Asia, Stati Uniti),
nelle quali le aziende hanno potuto far valere anche la debolezza
delleuro sul dollaro.
Lindustria a Sud, comunque, si è mossa in modo significativo.
Gli investimenti fissi lordi complessivamente hanno fatto segnare
nel Mezzogiorno un positivo 6,8 per cento (5,9 nel Nord), contro
il 2,5 per cento del 99. E nellindustria in senso stretto
lincremento è stato addirittura del 10 per cento, contro
lo 0,7 dellanno precedente. Quel +6,8 chiarisce Svimez
è stato prodotto in particolare dal forte aumento
degli investimenti in macchinari e attrezzature (+11,8 per cento)
e di valori sostanzialmente stagnanti per le costruzioni (+0,5 per
cento).
Anche le importazioni hanno registrato una crescita rilevante, facendo
registrare un 15,8 per cento sul totale delle risorse disponibili
nel Mezzogiorno per consumi e investimenti. Dice Svimez: «Un
livello che non si rilevava dallinizio degli anni Novanta,
da quando cioè prese lavvio il processo di risanamento
della finanza pubblica, con un deciso contenimento dei trasferimenti
verso leconomia dellarea». Le importazioni sono
tornate ad aumentare a partire dal 97, riflettendo così
«la progressiva ripresa del contributo esterno, sia pubblico
che privato, allo sviluppo economico del Mezzogiorno».
Se, infine, si analizza la crescita del Pil ai prezzi di mercato
nelle singole regioni, si scopre che per il Sud ci sono differenze
molto marcate. A guidare la classifica della performance fatta registrare
nel 2000 è il Molise (4 per cento), seguito dalla Basilicata
(3,7 per cento), dalla Calabria (3,6 per cento), dalla Sicilia (3,3
per cento), dallAbruzzo (3,1 per cento), e a distanza dalla
Puglia (1,8 per cento), dalla Campania (1,7 per cento) e dalla Sardegna
(1,4 per cento).
Allora: ripartono gli emigranti. Da tre anni a questa parte, il
Sud è tornato ad essere nucleo di espulsione demografica.
Lo hanno abbandonato in 77 mila nel 98, in 79 mila nel 99
e in 72 mila a fine secolo-millennio. Per trovare cifre analoghe
è necessario risalire al 1974, ad oltre un quarto di secolo
fa. In altre parole, lemigrazione degli opulenti anni Duemila
è linterfaccia di quella degli anni dellausterity.
Questo dato fa giustizia dei pregiudizi rifilati da stampa, imprenditori
ed economisti di schieramento, secondo i quali i giovani del Sud
non si muovono, preferendo il lavoro sotto casa. E non
a caso nessun giornale del Nord ha riportato notizie e dati forniti
da Svimez, probabilmente perché avrebbero dovuto smentire
se stessi e le campagne strumentali condotte negli ultimi anni.
Il fatto è questo: i meridionali che si trasferiscono oggi
lo fanno per cercare un posto qualificato, adatto al loro livello
professionale, e non un lavoro qualunque. Ciò porta leconomista
Adriano Giannola a sostenere che questa ripresa dellemigrazione
impoverisce lequilibrio sociale del Mezzogiorno e il suo capitale
umano: «Poi non ci si lamenti che al Sud manca una cultura
imprenditoriale».
Sta di fatto che (ieri in nome della fame, oggi in nome del valore
professionale e culturale) lemigrazione resta una costante
per le genti meridionali: in mezzo secolo il Sud ha perso cinque
milioni e mezzo di persone, dirette in gran parte nel Centro-Nord.
E se negli anni Sessanta si giunse ad esodi biblici, col record
del 1961 di 240 mila meridionali sui treni della speranza,
dopo il 1974 il fenomeno sembrava del tutto rientrato. Per tutti
gli anni Ottanta e per gran parte del decennio di fine secolo, infatti,
il flusso migratorio si era ridotto ai minimi termini, anche se
il numero di persone che abbandonava le regioni del Sud era sempre
superiore agli ingressi: tra il 1982 e il 1988 il saldo Sud-Nord
era negativo per il Mezzogiorno per sole 27 mila unità in
media allanno. Poi cera stata una ripresa, con una prima
accelerazione nel 1995 (55 mila unità), e una seconda nel
triennio appena trascorso.
Malgrado il saldo migratorio negativo, tuttavia, il Mezzogiorno
non aveva mai perso popolazione, grazie anche a un forte saldo positivo
naturale, vale a dire al fatto che il numero di culle superava quello
delle tombe. Negli ultimi tre anni, però, anche questo effetto
si è esaurito. Il saldo culle-tombe rimane positivo, ma non
compensa più lemigrazione. Sicché alla fine
il numero degli abitanti è in calo. Da un triennio, insomma,
il totale degli abitanti delle regioni meridionali è in diminuzione
proprio a causa della massiccia ripresa dellemigrazione. E
se una volta si perdevano miriametri di fasci muscolari, e milioni
di braccia e di bocche da sfamare, oggi il saldo negativo è
di materia grigia. Il Sud perde cervelli. E non cè
barba di filosofia politica, di ideologia o di strategia di parte
che possa giustificare, nel terzo millennio, questa emorragia.
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