Settembre 2001

DATI ISTAT

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Prove tecniche
di occupazione nel Sud
Roberto Cassinelli  
 
 

 

 

 

I diversi pezzi
dell’economia
meridionale, stanno cercando strade nuove, in una certa misura differenziate tra di loro.

 

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, a gennaio 2001 l’occupazione totale nel Mezzogiorno è tornata sopra i sei milioni di unità lavorative. E’ un dato che non si verificava dal lontano mese di gennaio del 1993. Dunque, è durato ben sette anni l’assestamento dell’economia delle regioni meridionali al grande shock provocato dai mutamenti radicali registrati nei primi anni del decennio scorso: dal fondamentale mutamento della politica fiscale alla sospensione e poi alla ripresa su basi del tutto nuove e diverse della politica per le aree in via di sviluppo, alla chiusura del ciclo dell’impresa pubblica, che pure, nel bene e nel male, aveva svolto un ruolo di prim’ordine nell’intervento straordinario nel Sud.
Com’è stato scritto, si è trattato di una lunga Quaresima. L’occupazione era precipitata fino ai cinque milioni e mezzo di unità all’inizio del 1996, poi aveva timidamente ricominciato a crescere. Ma si era trattato di una crescita molto vischiosa, tanto che tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999 aveva ricominciato a perdere colpi. Da metà ‘99 in poi, rilevazione statistica dopo rilevazione statistica, finalmente una discreta accelerazione, fino agli ultimi dati, che inducono un certo ottimismo. Fra gennaio 2000 e gennaio 2001, nelle regioni meridionali sono stati creati 216 mila nuovi posti di lavoro, con un tasso di crescita ritenuto eccellente, pari al 3,7 per cento, maggiore comunque della media nazionale.
Non erano mancati segnali anticipatori. I conti regionali diffusi precedentemente dall’Istat avevano evidenziato un Mezzogiorno in crescita produttiva più intensa della media nazionale già nel 1997 e nel 1998. Ma, coerentemente con le rilevazioni sulle forze di lavoro, i dati di contabilità regionale enfatizzavano una crescita più vivace della produttività e più modesta degli occupati. E c’era di mezzo il ‘99, anno quanto mai difficile.

Guardando soltanto ai dati d’insieme, dunque, si scoprono un motivo di delusione e uno di conforto. Per quel che riguarda la delusione: il Mezzogiorno ci ha messo sette anni, un tempo lungo, soltanto per recuperare i livelli di occupazione del 1993. I motivi, invece, di conforto: non era del tutto scontato che potesse farcela.

Tassi di disoccupazione
nelle regioni del Sud
Regioni
Gennaio 2000
Gennaio 2001
Abruzzo
8,7
7,1
Molise
15,2
16,0
Campania
24,5
23,3
Puglia
18,5
16,0
Basilicata
15,1
17,2
Calabria
28,1
27,6
Sicilia
25,1
22,1
Sardegna
22,1
18,6
Sud
22,1
20,3

Ma per fortuna c’è dell’altro. I sei milioni di posti di lavoro non sono gli stessi di sette anni fa. Una pluralità di dati e di informazioni (Ice-Istat, Osservatorio Bancaroma, Infocamere) già ci confermavano che sono di più, rispetto a un settennio addietro, gli occupati nelle imprese private, nelle imprese piccole e medie a capitale locale, nelle imprese esportatrici. In sostanza, che a parità di occupati totali, la situazione nel 2000 era migliore rispetto al 1993, dal momento che attualmente l’occupazione dipende assai meno, e forse pochissimo, da trasferimenti pubblici, da imprese assistite o da situazioni marginali.
Le rilevazioni sulle forze di lavoro nelle regioni meridionali ci consentono qualche misura più precisa, (ragionando su valori annui, depurati dai rischi della stagionalità). Ci dicono, ad esempio, dell’intensità delle trasformazioni strutturali: fra il 1993 e il 2000, l’agricoltura ha perso 250 mila posti di lavoro, a vantaggio del settore terziario. Ci mostrano poi una rilevante caratteristica dell’ultimo biennio: il modello di crescita dell’occupazione è infatti abbastanza diversificato fra le regioni. La ripresa dell’occupazione è più intensa nelle regioni adriatiche (in particolare nella Puglia) e in Sicilia; ma è più debole in Campania. In queste regioni è piuttosto positivo l’andamento della trasformazione industriale; continuano anche a spiccare gli ottimi dati della Basilicata, ma, ripetiamo, finalmente anche la Puglia ha risultati aggregati positivi. Nelle due isole è buono l’andamento dell’occupazione nel terziario, anche avanzato.
Pressoché impossibile dire altro, dal momento che abbiamo a disposizione dati molto aggregati. Ma non è escluso, anzi è assai probabile che sia avvenuta e stia avvenendo una forte ricomposizione occupazionale all’interno del settore manifatturiero; e una ricomposizione ancora più massiccia all’interno del settore terziario: qui i dati di contabilità regionale, che sono maggiormente disaggregati, già lasciano intravedere un fenomeno positivo. Cresce molto, ad esempio, l’occupazione connessa al turismo: e ancora una volta questo appare coerente con il forte e costante incremento delle presenze in numerose regioni del Sud.
Si può ipotizzare che, quando saranno disponibili i prossimi dati censuari, emergeranno dinamiche dell’ultimo quinquennio nei diversi sistemi locali meridionali piuttosto differenziati per intensità e composizione settoriale dell’occupazione.
Di tutto questo, una potenziale interpretazione: i diversi pezzi dell’economia meridionale, a lungo tempo tenuti assieme da una politica centrata sull’intervento pubblico diretto, e in seguito accomunati dal tracollo di quel modello di sviluppo, stanno cercando strade nuove, in una certa misura differenziate tra di loro. E se è così, il futuro è sicuramente assai più imprevedibile, e tendenzialmente positivo, del passato.

   
   
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