Settembre 2001

DIETRO LE QUINTE DELLA STORIA

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Le sfide infinite
b. s.  
 
 

 

 

 

Con molta
probabilità,
Montedison
ha rappresentato
la preda più ambita nel panorama
delle imprese
della Penisola.

 

Si dice ancora oggi che Montedison abbia rappresentato la più ambita preda nel panorama delle imprese della Penisola; che sia stata uno degli strumenti di potere, non soltanto finanziario, lungo tutto il percorso della storia italiana. Molto probabilmente è stato così. Sicuramente, le cronache che hanno riguardato questo gruppo sono illuminanti chiavi di lettura per capire che cosa è successo nelle stanze dei bottoni pubblici e privati, dalla fine del XIX a quella del XX secolo, con le logiche proiezioni in questo inizio di millennio.
Tutto nacque con l’elettricità, dunque con la Edison, che nel 1883 accese le lampadine della milanese piazza della Scala, grazie alla “mitica dinamo Jumbo”. Fu una lunga vicenda di sviluppo dell’iniziativa privata, passata poi alla mano pubblica nel 1964 (per volontà di La Malfa e del centro-sinistra nato un anno prima). A questo punto, divenne una cassaforte di liquidità, con l’ex energia privata trasformata in denaro contante. Nel ‘66 il fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia, fu il regista di una delle grandi fusioni italiane: la Edison di Giorgio Valerio acquistò la Montecatini, l’unica azienda che aveva ospitato un Premio Nobel della chimica nostrana, Giulio Natta. Nacque il gruppo che controllava l’80 per cento della chimica nazionale, aveva 400 mila azionisti, fatturava oltre mille miliardi dell’epoca, era il primo aggregato industriale italiano. Si chiamava ancora Montecatini-Edison, quando si profilò il primo cambio della guardia. Cuccia guidò la scalata dell’Eni di Eugenio Cefis, manager forte dell’appoggio politico di Fanfani: rastrellamento da manuale, consumato in pochi mesi, e Iri che si trovò in pugno il doppio delle azioni dei privati.
Alba dell’era Cefis, e riflettori subito puntati in Borsa. Michele Sindona lancia la prima Opa ostile italiana su Bastogi, holding che ha in portafoglio il maggior pacchetto privato di Montedison; e Cuccia, che disprezza il finanziere siciliano, lo sconfigge, segnandone il tramonto.

Ma neanche Cefis dura a lungo. Al termine di un regno scandito da portaborse, bustarelle, conti in rosso e fondi neri, è travolto dai bilanci e se ne va in Canada. Lo sostituisce Giuseppe Medici, ma stratega diventa immediatamente l’amministratore delegato Mario Schimberni, che un paio di anni dopo, con l’appoggio di Cuccia, scala il trono della chimica. Montedison torna così in mani private: grazie sempre alla regia di Mediobanca, va alla Gemina, il nuovo salotto buono al quale hanno accesso Agnelli, Pirelli, Bonomi e Ormando. Schimberni viene dalla Snia, è uomo dell’industria, sembra il manager risanatore, si fa consigliare dal finanziere Giuseppe Garofano. E sarà la finanza a far battere cuore e polso del gruppo. Fino all’85, quando Schimberni scala la Bi-Invest, holding di Bonomi (un suo azionista!). Uno schiaffo che il “corsaro” ripete appena un anno dopo, quando fa il bis con Fondiaria. Freddo, Agnelli commenta: «Bi-Invest humanum, Fondiaria diabolicum». E’ la fine di Schimberni, ed è l’inizio di un’altra battaglia. Nell’87 un altro rastrellamento porta ai vertici del gruppo Raul Gardini, leader della Ferruzzi. Schimberni lo saluta come un alleato. Si sbaglia. Sostenuto da Mediobanca, Gardini lo licenzia.
Nuovi progetti, megagalattici. Gardini si indebita a livelli insostenibili, al grido: «La chimica sono io». Nasce l’avventura Enimont, joint venture con Eni. Lui la scala subito. Va alla rottura con l’Eni, con i politici, con la famiglia, mentre il moloch Enimont divora tutto. La società è in agonia, mentre irrompe tangentopoli. In rovina, Gardini lascia. Ed è suicidio. Montedison va a picco, trascinata sul fondo da 30 mila miliardi di debiti. Interviene ancora una volta Mediobanca, che organizza un consorzio di banche per il salvataggio, consegna la presidenza del gruppo dapprima a Guido Rossi, e poi, dal ‘95, a Luigi Lucchini. Affida la guida ad Enrico Bondi, un noto risanatore, che dismette, semplifica, taglia i debiti, riporta i conti in attivo. Col sostegno ininterrotto della banca d’affari meneghina, che al primo avviso di scalata si lancia nella difesa ed è obbligata a un’Opa, riduce quasi a zero il peso della chimica, frena la crescita nell’agroindustria e trasferisce sistematicamente il cuore del gruppo nell’energia. Nell’estate 2000, il passo più lungo: l’Opa su Falck. All’insegna dell’elettricità.
Quando muore Cuccia, per Mediobanca si apre la grande partita della governance, che coinvolge le partecipazioni strategiche in Generali e in Montedison. Il fronte delle banche si divide, la “rete” non regge più. Irrompe lo scalatore Romain Zaleski, che diventa il primo azionista della holding guidata da Bondi e che chiarisce subito che l’obiettivo è l’energia, cioè la Edison. Il varco, una volta aperto, si fa breccia larga. Attraverso la quale passa il gigante pubblico francese Edf.

   
   
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