Allora
non si lamentino,
se poi scoprono
allimprovviso
che il 20 per cento della più celebre
cassaforte italiana
è finito in mani
straniere.
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Ha scritto Carlo Bastasin che il grido di dolore non è proprio
nuovissimo: «Espropriate gli espropriatori» era infatti
lo slogan di Marx nel primo libro del Capitale, dovera previsto
che stesse per scoccare «lultimora della proprietà
privata». E si sa bene che fine ha fatto chi ha attuato
anche facendo ricorso al genocidio quellimperativo
ideologico.
E tutto questo viene in mente, nel momento in cui si riflette sui
modi e sugli argomenti con i quali in Italia politica e industria
hanno reagito all esproprio di Montedison da parte
di Edf: modi e argomenti che vanno evidentemente aggiornati. A pensarci
bene, sono almeno ventanni che lItalia fa fatica ad
attirare investimenti esteri di grandi dimensioni. Se fosse riuscita
a farlo, e meglio ancora, se avesse espresso la volontà politica
di farlo quanto la Gran Bretagna, oggi sarebbe il Paese più
ricco dEuropa. E appena il caso di ricordare, fra laltro,
che Edf produce energia che costa un terzo di quella italiana: la
scalata, dunque, ha giustamente messo pressione (era ora!) su un
mondo italiano delle imprese troppo compiaciuto di sé.
Chiariamo subito che il campo di gioco in cui si è presentata
la partita non è regolare, nel senso che non è regolato.
I princìpi di liberalizzazione dellenergia non vengono
applicati da un buon numero di Paesi e i Trattati comunitari sono
neutrali rispetto a regimi proprietari pubblici o privati. In un
caso o nellaltro, comunque, lItalia stenta a difendersi:
se il mercato francese è liberalizzato soltanto al 30 per
cento, il nostro lo è solo al 34 per cento. Se Edf è
proprietà del Tesoro di Parigi, Enel è ancora pubblica
e Edison gode di tariffe non tutte proprio di mercato!
Quello che è accaduto dimostra le colpe dei governi nazionali
che a Nizza e a Stoccolma fecero fallire la liberalizzazione. Fu
respinta anche la proposta del premier spagnolo, Aznar, attuata
con Edf in Spagna, di togliere i diritti di voto a monopolisti che
sbarcano allestero. LEuropa, però, non vive in
un vuoto di legge: la proprietà statale è parente
della scarsa liberalizzazione e delle chiusure dei confini. Bruxelles
giudica la garanzia, anche implicita, dello Stato come un aiuto
pubblico e quindi come una distorsione della concorrenza. Questi
sono i princìpi a cui appellarsi. Roma non sarà mai
credibile se rinnegherà mezzo secolo di europeismo, per invocare
la protezione nazionale di una qualunque impresa.
Sul piano dellorgoglio nazionale, daltra parte, la vicenda
Montedison ha già molto da insegnare. La scalata è
potuta avvenire perché gli azionisti erano deresponsabilizzati
da un sistema di controlli societari, intrecciati e oscuri, in cui
vige la pratica quotidiana della rissa. In Spagna vale la logica,
buona o cattiva, dei campioni nazionali: tre gruppi
stanno conquistando Europa e America del Sud. La Germania prospera
grazie a una ventina di leader industriali e finanziari attivi in
tutto il mondo. In Francia cinque grandi gruppi stanno imponendosi
perfino negli Stati Uniti dAmerica. LItalia è
lunico Paese in cui sulla logica del lasciar fare prevale
solo la logica del non lasciar fare a tutti coloro i quali non sono
miei amici.
Elettricità, ma non solo. La cosiddetta French Connection
(la definizione è del Financial Times) che sta investendo
gli equilibri dei mercati finanziari di mezzo mondo ha ambizioni
che vanno assai al di là della nota grandeur
francese. Certo, Edf è la punta di diamante del decisionismo
e del rigore cartesiano con cui i tecnocrati parigini hanno programmato
limpatto con i mercati globali.
Edf, forte degli enormi margini di vantaggio che garantiscono le
58 centrali nucleari che producono energia a costi inferiori alla
concorrenza, ha sferrato unoffensiva che copre la Gran Bretagna
(London Electricity), la Germania (Enbw), la Svizzera, e che ha
incontrato un primo alt soltanto in Spagna, dove il governo Aznar
ha sospeso i diritti di voto del colosso pubblico transalpino in
Hidrocantabrico. Ma il dinamismo di Edf, che ha promesso di spostare,
entro il 2005, il 50 per cento del fatturato oltre confine, non
è sufficiente a rubare spazio agli altri delfini di Francia.
Come trascurare la magnifica corsa di Messier, che in meno di cinque
anni ha trasformato unutility di rango, ma un po noiosa,
come la Générale des Eaux, nel ciclone Vivendi, risposta
europea ad Aol, dopo la conquista a Hollywood della Universal?
Negli ultimi tempi Messier, tipico frutto di quella fabbrica di
eroi industriali che è lEcole Nationale dAdministration,
si è aggiudicato Mp3, gettando le basi per il primato della
sua Universal nel mondo della musica Internet. E tanto per mettere
a profitto la sua trasferta americana, ha gettato le basi per lacquisto
della casa editrice Houghton Mifflin. Il prezzo? Unoccasione,
solo 1,7 miliardi di dollari. Ma anche Messier stenta
a conquistare tutti i giorni un titolo ad effetto sui media parigini.
Bisogna fare i conti con Serge Tchuruk, di Alcatel. In meno di sei
anni, costui ha trasformato una conglomerata che produceva un po
di tutto, dalle batterie dauto ai treni ad alta velocità,
in uno dei leader mondiali degli apparati per telecomunicazioni.
E negli ultimi tempi le attenzioni sono tutte per lui, visto che
ha messo gli occhi (e avviato trattative clamorose) per la fusione
e lacquisizione di Lucent, lex gioiello di At&t,
una delle bandiere dei primati tecnologici americani.
Gli esempi, a dir la verità, potrebbero durare quasi allinfinito:
Air France, forte di un risanamento completato in maniera a dir
poco brillante, è dietro langolo per lacquisto
(o la partecipazione azionaria consistente) di compagnie aeree europee
(Alitalia, in primis); Bernard Arnault guerreggia con un altro grande
di Francia, François Pinault, per conquistare prima o poi
il controllo di Gucci. Intanto, il tam tam di Piazza Affari dà
per certo che il patron di Lvmh (già alleato di Prada) potrebbe
concludere lacquisizione di Prada.
Axa, colosso assicurativo dOltralpe, ha intenzione di calare
nella Penisola, alla conquista di Generali. La preda è Azimut,
uno dei gioielli finanziari della scuderia Bipop (o forse una quota
nella stessa banca). Per non parlare della quota in Wind di France
Télécom.
Ma da dove trae tanta energia londa lunga parigina? Sicuramente,
ha il suo peso la tradizionale efficienza della burocrazia statale
parigina (oh, burosauri italiani!). Oppure, come sostengono i più
schierati in campo finanziario, la massa critica assicurata dal
sostegno incondizionato dello Stato ai colossi pubblici o ex monopolisti:
France Télécom è ancora sotto il controllo
del Tesoro, Edf sta utilizzando ogni pretesto per allontanare lappuntamento
col mercato o lapertura alla concorrenza. Ma giudizi del genere
sono ingenerosi. Vivendi, e soprattutto Alcatel, sono titoli ampiamente
diffusi presso i gestori di tutto il pianeta. Arnault, per citare
un esempio, è un ottimo caso di governance anglosassone,
capace di sottoporsi alla prova della trasparenza.
La Francia, nel suo complesso, si è aperta ai criteri di
giudizio richiesti dai mercati globali grazie anche allefficienza
di un sistema bancario che in alcuni casi (Société
Générale o Bnp-Paribas) ha saputo sfidare i maestri
della City sul loro terreno. E i moschettieri francesi
sfornati dallEna o acquistati col fiuto del talent scout (basti
citare la determinazione di Carlos Ghosn spedito in Giappone nella
mission impossible del risanamento di Nissan) hanno
dimostrato talento, coraggio e capacità di rispondere sia
ai richiami dello Stato sia a quelli del mercato.
Il segreto, insomma, non sta nella tutela dello Stato francese,
che pure ha il suo peso. Con ogni probabilità la formula
vincente sta nellaver capito che la tattica che paga, nel
mondo senza frontiere, consiste nel saper andare allestero
e conquistare spazi di mercato. Il catenaccio, attorno
a Piazzetta Cuccia o altrove, (basti pensare alle storie parallele
di Edf ed Enel), non paga. O per dirla tutta: non paga più.
La vicenda Montedison-Electricité de France suggerisce almeno
tre considerazioni, che riguardano la Commissione europea, che in
questa vicenda ha fatto la figura del vaso di coccio; le scelte
che lItalia dovrà fare nellimmediato futuro;
e lo scarso o nullo coraggio dei nostri capitalisti.
Al vertice europeo di Stoccolma, Francia e Germania, prevalendo
sulla posizione più liberista di Italia e Spagna, bocciarono
una proposta della Commissione per accelerare la liberalizzazione
dei mercati dellenergia. Il risultato è che oggi non
solo la Francia può rinviare sine die la privatizzazione
di EdF (non essendo obbligata da alcuna norma europea), ma EdF può
tranquillamente proseguire nella strategia di espansione allestero
finanziata con i profitti del monopolio. E in Germania, dove le
società elettriche sono regionali, il mercato continuerà
a rimanere chiuso agli investitori esteri, non per legge, ma per
la cintura protettiva con la quale il governo tedesco difende i
produttori domestici. Così, nella vicenda Montedison-EdF
né il commissario alla concorrenza né quello per lenergia
dispongono di alcun potere per bloccare lingresso in Italia
del monopolista pubblico transalpino. Anzi, se EdF partecipasse
direttamente allasta per la vendita delle centrali elettriche
dellEnel, e venisse esclusa proprio per il suo carattere pubblico
(come le regole dellasta prevedono), il commissario Monti
si vedrebbe costretto ad aprire una procedura di infrazione contro
il governo italiano, accusandolo di impedire la libera circolazione
dei capitali.
La seconda considerazione è che la politica estera conta
ancora, anche nelle questioni economiche e anche in Europa. Dovrà
tenerne conto la Farnesina, che dovrà essere abile negoziatrice
ed esperta nel sottile gioco delle diplomazie.
Lultima considerazione, che purtroppo non è una novità:
i privati italiani avrebbero potuto lanciare unOpa per rafforzare
la loro presenza sul mercato elettrico nazionale. E, a sentire alcune
voci, ci avrebbero pensato: unOpa su Montedison, ma lanciata
dallEni, cioè con i denari dei contribuenti! Il che
la dice lunga sul coraggio di chi preferisce portare allestero
una buona parte delle proprie attività, e pagare 200 mila
lire al mese un operaio rumeno o ungherese, albanese o turco, piuttosto
che investire in Italia o nel Mezzogiorno. E la legge del
mercato, è vero. Ma allora non si lamentino, se poi scoprono
allimprovviso che il 20 per cento della più celebre
cassaforte italiana è finito in mani straniere! Abbiano almeno
il pudore di smetterla con i loro ipocriti moralismi.
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